Il record del padovano Galvani, solo vittorie contro Nadal

Due vittorie a Siviglia e a Barcellona, il tennista di Albignasego è uno dei pochi al mondo a vantare zero sconfitte contro lo spagnolo

Nicola Cesaro
Il tennista Stefano Galvani
Il tennista Stefano Galvani

Rafa Nadal, qualche numero di fine carriera: 92 titoli totali con 22 Grand Slam, un record di 14 vittorie agli Open di Francia e l’oro olimpico in singolare a Pechino 2008. E poi... uno 0-2 contro Stefano Galvani, tennista padovano.

«Le ultime volte che l’ho incontrato lo prendevo in giro: “Rafa, 2-0”, gli dicevo mostrando le due dita e il pugno», ci scherza su oggi proprio lo sportivo di Albignasego, 47 anni, già numero 99 al mondo.

Ed effettivamente un record, il suo, lo è: nessuno al mondo pare possa vantare un ruolino di sole vittorie contro la leggenda spagnola che il 10 ottobre ha annunciato il proprio ritiro.

Galvani, una medaglia mica da poco…

«Dicono che nessun altro abbia tenuto Nadal a zero vittorie, non posso che andarne orgoglioso. In queste settimane mi hanno chiamato in tantissimi giornalisti dalla Spagna, hanno rispolverato la curiosità visto l’annuncio del ritiro. Pare essere un aneddoto famoso in quei posti. È sempre divertente raccontarlo».

E allora raccontiamolo di nuovo.

«Era il 2001, a Siviglia, e io ero tipo 160° in classifica Atp e arrivavo dalla prima vittoria in un Challenger. Nadal aveva quindici anni e proprio in quel torneo aveva raccolto i suoi primi punti, vincendo il primo turno del torneo (vittoria sul connazionale Matos-Gil, ndr). Ricordo che chiesi a un collega spagnolo, Rubén Ramírez Hidalgo, chi fosse quel ragazzino. “Sta attento, guarda che quello gioca bene bene”, mi disse. Ma era pur sempre un giovincello al debutto, e devo ammettere che la presi sottogamba. Risultato? Primo set perso 3-6, quanto basta per capire che dovevo cambiare atteggiamento: alla fine vinsi gli altri due 6-1 e 6-3».

Poi portò a casa il torneo e quello fu l’unico set perso della settimana.

«Nadal era giovane, ma l’intensità e l’energia che metteva nelle prime palle erano già da veterano. Quel giorno vinsi solo perché gli mancava ancora la tenuta sul lungo periodo».

E siamo a una vittoria. L’altra?

«Arrivò l’anno dopo, al Trofeo Conde de Godó di Barcellona, l’Open che poi Rafa ha vinto per dodici volte. Aveva già scalato numerose posizioni nel frattempo, e infatti arrivò un 2-0 per 6-2 e 7-5, punteggio chiaramente più tirato dell’anno prima. Per me fu una competizione straordinaria: non arrivai in finale, ma fermai atleti come Ivan Ljubicic e l’allora numero 4 del mondo Evgeny Kafelnikov. Ma quella gara contro Nadal la ricordo soprattutto per il pre-partita…».

Si narra di un “dissing” di riscaldamento tra voi due…

«Nella prima palla di riscaldamento Nadal rispose con un dritto di potenza, e così fece per altre due volte. Cominciai a fare lo stesso, gli spettatori erano tra il divertito e l’impressionato. A un certo punto mi fermai e gli dissi: “Cominciamo a palleggiare, per favore?”. Era chiaramente un messaggio di forza quello che voleva lanciarmi. Aveva carattere il ragazzo. Mi piacerebbe ritrovare i filmati di quel tempo, si pensi che poco tempo fa ho incontrato il tennista Albert Ramos-Vinolas: era sugli spalti e si ricordava ancora quello scambio».

Quello fu l’ultimo match con Rafa: le è andata bene così…

«Vista la carriera che ha fatto, direi di sì. Ogni tanto, incontrandolo di nuovo, gli ho ricordato del mio ruolino nei suoi confronti. Mezzo sorriso, nessuna risposta. Sono sicuro che avrebbe tanto voluto ritrovarmi ancora sul campo per pareggiare i conti».

Va detto che un Galvani all’apice di forma e carriera era comunque un osso duro da incontrare…

«Lo dico non per vanteria, ma perché me lo riconoscono ancora in tanti: avevo una delle migliori risposte al mondo. Giocavo un tipo di tennis che dava molto fastidio, fatto di anticipi e palle basse. Un tennis che non passa mai di moda, mettiamola così».

Giocasse oggi, Galvani andrebbe oltre il 99° posto Atp?

«Quello mi è difficile da dire, ma so per certo che se ci fossero stati i compensi di oggi, almeno dal punto di vista economico, sarei a posto per tutta la vita. Un esempio su tutti: quando partecipavi all’Australian Open, dovevi andare da solo perché spesso portare anche solo un membro dello staff costava troppo. Per andare a pari, dovevi vincere almeno un turno visto che il compenso per l’adesione era di 2 mila euro. Ora so che i colleghi incassano, anche perdendo subito, almeno 16-20 mila euro, e in più l’organizzazione rimborsa il viaggio. Ma è giusto così, era prima che qualcosa non quadrava. Vi immaginate gli atleti di oggi senza lo staff?».

Qualche passo indietro, i suoi inizi sono tutti padovani?

«Padovanissimi. Sono di Albignasego, di Mandriola, e ho vissuto a Padova fino ai vent’anni. Ho cominciato a 10 al Centro Sportivo 2000 con l’allora maestro Paolo Frasson, poi a 13 sono passato alla Canottieri Padova. Frequentavo il liceo Cornaro, poi mi sono iscritto a Scienze politiche a Padova. Un po’ perché in quinta superiore mi sono ritrovato a dover studiare quello che non avevo studiato prima, un po’ perché in Veneto era difficile trovare atleti di spessore con cui allenarsi, a un certo punto ho deciso di smettere. Lo dissi una sera a cena alla mia famiglia (papà Attilio, tecnico dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare a Padova, mamma Daniela e la sorella Martina, ndr) e loro si opposero. Mi stupirono, e quella reazione fu decisiva per il mio futuro di sportivo. Partii per Roma e mi diedi un’altra possibilità, fu fondamentale l’incontro con Giampaolo Coppo. Il vero ostacolo fu il servizio di leva…».

Non era agevolato in quanto atleta internazionale?

«Macché, anche quando ero alla “Cecchignola” di Roma ebbi vita difficilissima. Un’oretta al giorno di allenamento e non di più, pochi permessi, pochissimi tornei. Si pensi che fui ammesso a Wimbledon e il sabato prima mi fecero sapere che non avevo il permesso di andare: buttai via il biglietto aereo e feci una pessima figura, oltre a perdere punti e occasioni importanti».

Oggi di cosa si occupa Stefano Galvani?

«Vivo a San Marino dal matrimonio e lì ho anche partecipato con la nazionale ai Giochi dei Piccoli Stati d’Europa, una competizione davvero simile ed emozionante come i Giochi olimpici, ovviamente in salsa ridotta. Ho lavorato anche come tecnico nella Federtennis sanmarinese, ma ormai da tempo collaboro con la Ravenna Tennis Academy, una realtà straordinaria. Sono aiuto coach di Patricio Remondegui, ma stiamo parlando di un rapporto alla pari che mi sta davvero dando molto». Coach Galvani, l’unico a non perdere mai con la furia Nadal. —

Il padovano Galvani era n. 99 al mondo

Stefano Galvani è nativo di Albignasego, nel Padovano, ma ormai da qualche anno vive a San Marino, dove si è stabilito dopo il matrimonio. Ha 47 anni e per tredici anni ha giocato come professionista, inserito nel circuito Atp.

Nato sportivamente al Centro Sportivo 2000 e poi alla Canottieri Padova, ha dato una svolta alla propria carriera con il trasferimento a Roma e l’incontro con il tecnico Giampaolo Coppo. Ha raggiunto per due volte la posizione 99 del ranking, tra inizio e fine aprile 2007 (148° nel doppio).

Tra singolo e doppio, ha ottenuto 28 titoli in tornei Challenger e Futures. Nel circuito maggiore professionistico ha raccolto in carriera 18 vittorie e 37 sconfitte nel singolo, 1 vittoria e 5 sconfitte nel doppio. Vanta tre presenze in Coppa Davis (due successi e una sconfitta) in maglia azzurra.

A 44 anni, nove anni dopo il ritiro, è ritornato al tennis professionistico dopo essere stato naturalizzato per San Marino: con la maglia della repubblica Serenissima ha disputato i Giochi dei Piccoli Stati d’Europa, conquistando un bronzo e un argento. Oggi è tecnico della Ravenna Tennis Academy.

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