Vangelo e rugby, Padre Federico riporta l’ovale in parrocchia: è lui il patron del club Excelsior

«Se avesse fatto sport, Gesù avrebbe scelto questo: come mediano di apertura, quello che crea il gioco»

Leandro Barsotti
Padre Federico Lauretta
Padre Federico Lauretta

Padre Federico Lauretta, parroco di Santa Giustina, ci pensa un attimo e dice: «Sì, io penso che Gesù se avesse fatto sport avrebbe scelto il rugby».

Poi, nel campetto dietro la sua Basilica di Prato della Valle, prende in mano un pallone da rugby lasciato dietro la porta da uno dei suoi giocatori: «E’ sgonfio», dice, «Aspetta che vado a gonfiarlo».

Padre Federico, come è diventato il patron dello storico club Excelsior Rugby?

«Dieci anni fa alcuni parrocchiani del centro mi hanno chiesto di ridare vita a questa gloriosa società. Fino ai primi anni ’90 le principali squadre di rugby di Padova erano tutte in centro storico: Petrarca, Tre Pini, Virtus, Excelsior. Riportare una realtà sportiva storica dentro le mura cittadine mi è sembrato un bel progetto, è anche il nostro slogan. In questa società sportiva nel cuore della città ha iniziato a giocare anche il grande Vittorio Munari, lo sapevate? Ma adesso dobbiamo riportare i bambini».

Quanti atleti avete oggi?

«Abbiamo solo la prima squadra che gioca il campionato di Serie C, con 32 giocatori, e la squadra di touche rugby, composta anche da universitari stranieri, che è vice campione d'Italia.Prima del Covid c’era il settore giovanile, ma dopo i ragazzini non sono più venuti, e la nostra sfida più grande è questa adesso, riportarli nella squadra del patronato della basilica di Santa Giustina».

Pensa ci sia un legame tra il rugby e il Vangelo?

«Ci sono valori simili. Per dire, nel rugby si attacca e si difende in 15, lo spirito di squadra è fondamentale e ognuno è importante per il risultato. Non ci sono prime donne. Tu conti in funzione di quello che puoi dare agli altri: e questo non è Gesù? Poi, nel rugby si corre avanti e si passa indietro la palla, per portare su tutta la squadra. Chi è dietro di te, è importante. Non è il Vangelo? Penso anche alla mischia che richiama valori come il legame, l'unità, il sostegno reciproco e l'avanzare insieme. Quando sposo i giovani, paragono spesso il matrimonio alla mischia. E te ne dico un’altra: il terzo tempo. Alla fine della partita non ci sono nemici, solo avversari che hanno vinto o perso, ma tutti uguali a te. Si mangia e si beve insieme. E nel Vangelo lo stare a tavola è sempre occasione di incontro e di amore».

Per questo pensa che Gesù sia un mancato rugbista?

«Sono convinto che avrebbe fatto rugby, proprio per i valori che incarna. Lo vedrei bene come mediano di apertura, quello che crea il gioco, o forse anche come estremo, per avere una visione d'insieme».

C'è una lunga tradizione di legame tra rugby e mondo cattolico qui a Padova?

«Direi di sì. Oltre al parroco, anche Innocenzo Negrato, storico abate di Santa Giustina, era appassionato di rugby. Una cosa che pochi sanno è che nei primi anni '60 è stato lui a tradurre il regolamento del rugby dal francese all'italiano. E poi qui a Padova molte realtà rugbistiche sono nate in ambito parrocchiale perché questo è uno sport di valori» .

E’ vero che la sua Excelsior ha i colori sociali bianco e azzurro per un motivo preciso?

«Ovviamente: sono i colori della Madonna! (ride)».

Padre Federico, qual è il suo rapporto personale con il rugby?

«In realtà io vengo dall’hockey, sono originario di Feltre, ma il rugby mi ha sempre appassionato. Sono sempre stato tifoso del Petrarca. Mi piace perché è uno sport di squadra, che coinvolge, unisce e ti fa sentire parte di un mondo ».

Il rugby è uno sport di contatto, a volte anche duro. Insomma, ci si fa anche male. Cosa ne pensa?

« È vero, ci vuole fisico per giocare a rugby. Ma non lo considero uno sport violento, se penso all'hockey, per esempio, credo lo sia di più. Nel rugby il rispetto è fondamentale, soprattutto verso l'arbitro. Quando guardo le partite internazionali alla tv, mi stupisco di come si accetti senza protestare ogni decisione».

Dal rugby si può imparare molto, spiegato come lo spiega lei.

«Dal rugby si impara molto praticandolo».

Lei diceva che ha notato un calo di bambini che frequentano la parrocchia per fare sport.

«Sì, è un tema delicato. Molti bambini restano a giocare a casa con il computer o magari scelgono sport individuali. Mi dispiace perché qui offriamo un ambiente tranquillo e protetto. Il rugby è uno sport educativo che insegna a giocare con gli altri, il rispetto dei valori e aiuta a far uscire la personalità di un bambino».

Questa è la sua personale sfida?

«Sogno di far tornare i bambini all'Excelsior. Vorrei dire ai genitori del centro storico che qui c'è una realtà dove i loro figli possono fare sport e crescere sani. E come allenatore potremmo avere ancora con noi Arturo Bergamasco, il papà dei due grandi ex Azzurri. Lui i talenti li riconosce da piccoli». 

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