Il delitto Rothschild: una storia nella Storia

Le morti di Jeannette Bishop e della sua segreteria Gabriella Guerin da 44 anni sono avvolte nel mistero. Una vicenda fatta di intrecci, congetture e ipotetici legami con alcuni degli episodi di cronaca nera che hanno segnato il nostro Paese. E ora il caso è stato riaperto

Edoardo di Salvo
Jeannette Bishop, nota come baronessa Rothschild
Jeannette Bishop, nota come baronessa Rothschild

Paul Marcinkus e lo Ior, Emanuela Orlandi e Roberto Calvi, banditi sardi e commercianti di preziosi brasiliani. Nomi, ipotesi, collegamenti che a vario titolo sono apparsi nella vicenda del caso della morte della baronessa Rothschild e della sua segretaria, la friulana Gabriella Guerin. Una storia che si intreccia con la Storia, quella del nostro Paese, che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta attraversava una delle fasi più complicate dal dopoguerra a oggi.

I fatti

È il 29 novembre del 1980. Sui monti Sibillini una violenta tormenta di neve è il segnale che l’inverno appenninico è già alle porte. La nobildonna inglese Jeannette Bishop, nei salotti buoni conosciuta come baronessa Rothschild, essendo stata sposata in prime nozze con il finanziere Evelyn de Rothschild, si trova in una frazione di Sarnano, nel Maceratese, ai piedi dei monti Sibillini, dove ha da poco acquistato un casolare. La villa è fatiscente, ben lontana dall’eleganza anglosassone di cui la vita della baronessa era permeata.

C’è dunque bisogno di robusti lavori di ristrutturazione e l’occhio vigile della baronessa li sta seguendo passo dopo passo . Con lei, non a caso, c’è la fidata Gabriella Guerin, nata a Ronchis di Latisana, che era sua stata cuoca e governante durante il periodo di vita nel Regno Unito, e si trasformava in segretaria e interprete duranti i frequenti soggiorni in Italia. Una sorta di dama di compagnia, insomma.

Sono circa le 17 quando le due, incuranti del buio e dei sibili del vento gelido, salgono sulla Peugeot 104 della baronessa e si inerpicano sulle strade desolate dell’Appennino, dirette verso la montagna. Un appuntamento inderogabile, probabilmente. Quando arrivano nei pressi di Casa Galloppa, una piccola baita vicino al Santuario di San Liberato e all’Eremo di Soffiano, a circa 900 metri di altitudine, si fermano. Troppo ostile il clima per proseguire oltre.  Lasciano l’auto a bordo strada, chiusa a chiave. Da qui le certezze si dissolvono in ipotesi, i fatti trovano conforto solo in tracce e rilievi.

Sono questi ultimi a raccontare che le due trovano riparo nella baita, accendono il fuoco e riempiono lo stomaco con ciò che trovano in dispensa. Rimangono lì un paio di giorni. La sera stessa partono le ricerche, ma la bufera è troppo fitta per fornire risposte.

La neve cade incessante per una ventina giorni, proteggendo il mistero sul destino delle donne. Il primo segno della presenza delle due si ha solo il 18 dicembre del 1980, diciannove giorni dopo la scomparsa. Dall’elicottero i carabinieri vedono qualcosa. «Una macchia nera. Era il tetto dell’auto, sepolto sotto due metri di neve» ha raccontato a Il Resto del Carlino il colonnello Salvatore Forte, che all’epoca guidò le indagini insieme al giudice Alessandro Iacoboni.

Gli investigatori perlustrano l’Appennino albero dopo albero, metro dopo metro. Ma delle due nessuna traccia. L’ eco della vicenda inizia così a propagarsi in tutta Europa, sul caso lavora anche Scotland Yard. Passa più di un anno, arriviamo al gennaio 1982. Il 14 il secondo marito della baronessa, l’imprenditore inglese Stephen May, lancia un appello televisivo per ottenere informazioni sulla sparizione, promettendo una ricompensa di 100 milioni di lire per chi avesse fornito informazioni sul destino delle donne. Il 27 sono due cacciatori della zona, Domenico Panunti e Corrado Ermini, a trovare gli scheletri in un bosco a Podalla di Fiastra, a circa trenta chilometri dal rifugio

È a questo punto che la pista dell’omicidio inizia a farsi strada soppiantando l’iniziale ipotesi dell’incidente. Troppi gli elementi che non tornano, una distanza non percorribile a piedi e in direzione opposta rispetto all’auto. Poi un particolare non indifferente: al polso della baronessa c’è un Omega automatico con un cerchio celeste sul quadrante. È fermo al 12 dicembre, segno che, considerata la carica di quel modello di orologio, la baronessa Rothschild era morta tra il 10 e l’11 dicembre, a una decina di giorni dalla scomparsa.

Le indagini

L’autopsia rivelerà che Jeannette e Gabriella erano morte nel luogo dove sono state ritrovate. Da qui partono le indagini per duplice omicidio, coordinate da Iacoboni della procura di Macerata. I primi indizi portano in Brasile, dove un commerciante di gemme preziose si starebbe vantando di aver ucciso due donne in Italia.

Si chiama José Rodriguez May,  e la pista sembra solida perché fisicamente somiglia molto all’identikit fornito da un testimone oculare, che nelle prime ore del pomeriggio, a Sarnano, aveva visto un misterioso uomo discutere animatamente con Jeannette. May viene arrestato e rilasciato dopo pochi mesi, quando ci si rende conto della sua totale estraneità ai fatti.

I legami con gli altri misteri

Il mistero si infittisce ed emergono inquietanti elementi che legano la morte della baronessa Rothschild ad alcuni dei casi di cronaca nera più oscuri dell’epoca. Il 30 novembre, giorno successivo alla scomparsa delle donne, la sede romana della casa d’aste Christie’s viene rapinata per 5 miliardi di lire, e a legare il furto con l’omicidio di Jeannette ci sono due telegrammi che riportano uno stesso indirizzo, in via Tito Livio a Roma, spediti lo stesso giorno alla casa d’arte e alla baronessa Rothschild. Le verifiche sul posto non portano a nulla, ma i casi iniziano a essere trattati insieme.

Nel furto, tra l’altro, secondo quanto scriveva il Corriere della Sera in quei giorni, ci sarebbe anche il pegno di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano ucciso e ritrovato appeso sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982. Altro filo rosso è quello che lega il caso Rothschild a Paul Marcinkus e a Emanuela Orlandi: Marco Fassoni Accetti, un fotografo romano che negli anni Ottanta frequentava gruppi religiosi interni al Vaticano e che nel 2013 si autoaccusò del rapimento della 15enne , nel 2010 ha dichiarato in aula che Jeannette era stata assoldata per orchestrare delle finte accuse di molestie sessuali nei confronti del potentissimo presidente dello Ior, l’arcivescono statunitense Paul Marcinkus

Secondo quanto racconta Accetti, è plausibile che qualcuno degli ambienti vaticani “deviati” fosse venuto a conoscenza del piano, decidendo di mettere a tacere per sempre la baronessa.

Accuse, in ogni caso, mai concretizzate in alcuna prova. Motivo per il quale nel 1989 il giudice Iacoboni è costretto ad archiviare l’inchiesta. «La prova in positivo dell’assassinio non esiste - scrive - ma è altrettanto certo che è ben lontana dall’essere raggiunta la prova sicura, o soltanto probabile, della morte bianca per incidente».

Dopo 34 anni di mormorii, ipotesi, congetture, la svolta (forse) è arrivata qualche settimana fa. All’inizio di novembre il procuratore di Macerata Fabrizio Narbone ha riaperto ufficialmente il caso. Nessuna scoperta eclatante, solo la convinzione che a 44 anni dalla morte delle donne  i racconti dei testimoni e la rilettura delle carte potranno fornire delle risposte.

 

 

 

 

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