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Il mostro di Udine è ancora un cold case
Una serie di omicidi irrisolti tutti avvenuti a Udine tra il 1971 e il 1991. Le vittime sono tutte donne, persone fragili: un solo sospettato, un medico morto nel 2000. E un reperto del delitto di Maria Carla Bellone, 45 anni fa, che ha riaperto le indagini
“Buongiorno, il 16 febbraio sono 45 anni. Non ho nessun commento da fare. Grazie”. È la voce in questi tristi giorni di Barbara Bellone, sorella di Maria Carla, la diciannovenne assassinata a Udine nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 1980. Maria Carla fu uccisa barbaramente: un taglio alla gola che le provocò la morte. Sul suo corpo, nella zona addominale, le fu praticato un lungo taglio longitudinale. Fu ritrovata alcuni giorni dopo in un campo nella prima periferia, a Pradamano.
Sono passati 45 anni
Nella notte dell’omicidio era stata vista salire a bordo di una Mercedes di colore chiaro. La giovane Maria Carla, che a luglio avrebbe compiuto vent’anni, è la prima di una lunga serie di omicidi di donne fragili, menomate dalla vita, che colpirono Udine dal 1971 al 1989. Lei era una tossicodipendente.
Dalle carte ufficiali del tempo emerge: «Da circa sei mesi si prostituiva per procurare la droga a sé e al fratello Dario». Ma perché la sorella Barbara commenta: «Non ho altro da aggiungere»? Perché lo sconforto di tutti i familiari (e sono tanti) coinvolti in questa atroce vicenda è infinito; si perde tra carte, indagini, voci di esperti, ritrovamenti, casi archiviati e poi, dentro la speranza perché riaperti.
Piste dei carabinieri. Piste della polizia. Testimoni, falsità. Il sentito dire. Un unico sospettato della Udine Bene: un medico chirurgo (morto senza processo). Un mondo di parole e procedure, intorno a quello che è il primo caso del cosiddetto “Mostro di Udine” (se si esclude la Belletti del 1971): omicidi efferati a danno di persone deboli, di donne bollate dalla società, dove la parola “a carico di ignoti” pesa perché dopo un po’ fa archiviare il caso.
La riapertura del caso
Per l’assassinio di Maria Carla in realtà c’è ancora una speranza, perché nel 2019, grazie al lavoro dell’avvocato udinese Federica Tosel e a un ritrovamento – nei vecchi faldoni era conservato in Procura una busta con un mozzicone di sigaretta – il cold case della Bellone aveva subito una svolta.
Era stato riaperto e il reperto inviato agli esperti per le prove del Dna. (Stiamo ancora aspettando.) Così era successo anche all’omicidio di Maria Luisa Bernardo, nel 1976 uccisa “con una cifra stilistica” simile a quella della Bellone: i tagli nella zona centrale del corpo. Anche nel suo faldone è stata trovata una busta con i reperti del tempo, un preservativo usato e capelli, e anche per questo cold case era stata chiesta la riapertura. Ma non è ancora successo niente, che strano, succede sempre così.
Il caso del Mostro di Udine
Il caso del “Mostro di Udine”, così chiamato, è una di quelle vicende di cronaca nera italiana che scuote la coscienza. E’ il caso più barbaro che ci sia stato da queste parti. Se citiamo il Mostro di Firenze, ci vengono subito in mente inchieste, libri, colpevoli, ma di quello di Udine? Eppure è contemporaneo a Firenze, e ugualmente seriale. E soprattutto è altrettanto italiano.
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Le vittime
Le vittime, uccise a Udine e dintorni, dal 1971 al 1989, sono tredici; due le condanne. Le modalità omicida variano: strangolate, accoltellate, bruciate. Quattro, forse cinque sono però assassinate con la stessa modalità: sgozzate, presentano uno o più tagli sul ventre. “A forma di esse, richiama un taglio cesareo”, si disse. E’ la firma dell’assassino. Nel 1995 viene realizzato un dossier a firma Carlo Moreschi, che analizzando le relazione autoptiche relativi agli omicidi di Maria Carla Bellone (15-16 febbraio 1980), Luana Giamporcaro (24 gennaio 1983), Aurelia Januschewitz (2-3 marzo 1985), Marina Lepre (25-26 febbraio 1989) stabilisce che essi «sono opera di un unico autore». E chi è? Il sospettato è sempre stato soltanto uno.
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L’unico sospettato
Due giorni dopo l’omicidio della Lepre, quest’uomo, un laureato in medicina e specializzato in ginecologia, viene trovato sul greto del torrente Torre, assai appartato luogo del delitto, intento a pregare. I carabinieri lo interrogano, lui comincia a mentire, e da lì, attraverso perquisizioni, controlli, accertamenti telefonici che dureranno anni, sarà il candidato numero uno.
Il personaggio è schizofrenico, ex paziente in clinica, è stato pure visto mimare un’operazione chirurgica sul greto di un altro corso d’acqua. Morirà agli inizi degli anni Duemila, senza un processo, perché reali prove contro di lui non ci sono. E morto il reo, come ci insegnano, si estingue il reato. Così ancora oggi, nel 2025, si continua a cercare
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