In balia del mare: tre storie di naufragi di velisti del Nord Est

Dal triestino Paolo Rizzi all’udinese Andrea Romanelli, passando per il padovano Antonio Voinea. Avventure simili, destini diversi: le vicende dei navigatori di queste terre che si sono trovati a tu per tu con l’Atlantico

Edoardo di Salvo
Da sinistra, Andrea Romanelli, Paolo Rizzi e Antonio Voinea
Da sinistra, Andrea Romanelli, Paolo Rizzi e Antonio Voinea

Uniti dalla passione, dall’esperienza, dalle emozioni. Divisi dal destino, più clemente con alcuni, senza appello per altri. I naufragi, si sa, sono tragedie dal sapore particolare. Sono retaggi di altre epoche, in un mondo in cui si sa tutto e si ha il controllo di tutto ci mettono di fronte all’ignoto, al mistero, all’impotenza nei confronti del mare. Quel mare che, ancora tutti i giorni, si prende tante, troppe vite.

Sono diversi i velisti del Nord Est che, loro malgrado, sono diventati protagonisti di drammatici naufragi oceanici, dai quali, alcuni di essi, non sono più tornati. D’altronde si parla di genti molto legate, storicamente e culturalmente, all’arte dell’andar per mare

 

Paolo Rizzi, salvo dopo sette giorni su una zattera 

Il primo, in ordine cronologico, ad andare incontro a questo destino, è stato Paolo Rizzi, lo skipper triestino naufrago nell’Atlantico insieme al conterraneo Andrea Pribaz nel maggio 1993. La loro è una vicenda da film. Sette giorni su una zattera in balia di onde alte venti metri. Salvi.

 

Rizzi ha più volte raccontato la sua incredibile vicenda sulle pagine de Il Piccolo: «Ho visto l’acqua azzurra, poi blu e il buio. Per fortuna erano le due del pomeriggio. Una volta riemerso ho visto la barca con la chiglia sottosopra, sono riuscito a prendere delle cime che galleggiavano e, sfinito, sono tornato a bordo. La barca aveva uno squarcio sulla fiancata. Andrea era sottocoperta.

«Abbiamo recuperato quello che potevamo, lanciato in mare la zattera di salvataggio e abbandonato Vento Fresco che stava affondando».

Andrea Romanelli, inghiottito da quel mare che amava

Sei anni dopo tale destino tocca ad Andrea Romanelli. Nella storia del velista friulano manca però il lieto fine: la tempesta atlantica se l’è portato via per sempre. È la notte del 3 aprile 1998, l’ingegnere e progettista navale udinese si trova a bordo della Fila, insieme ad altre quattro persone, tra cui Giovanni Soldini

Insieme stanno tentando di battere il record di velocità nell’Atlantico. Ma tra loro e l’impresa si frappone un’onda. Alta, troppo alta. Si spezza l’albero, la barca si rovescia e due uomini in coperta vengono scaraventati in mare. Si tratta di Andrea Tarlarini e di Andrea Romanelli. Il primo riesce a tornale a bordo, quest’ultimo scompare per sempre, inghiottito dalla burrasca di fronte alle coste francesi. Così lo ricorda l’amico Giovanni Soldini:

«Lui cercava la verità nelle cose, doveva capire tutto»

 

Antonio Voinea, un mistero nell’Atlantico

Più nubi si celano dietro la scomparsa di Antonio Voinea. Il velista padovano, insieme, allo skipper Aldo Revello, il 7 aprile del 2018 parte dal porto di Martinica in direzione La Spezia. Passa un mese, poco meno. Il 2 maggio si trovano a largo della Azzorre, il meteo è buono, nulla che possa far presagire la tragedia.

Il giallo dei velisti dispersi nell’Atlantico: il caso Bright e l’indagine che non deve essere chiusa
La redazione
+++ Rpt +++ Ripetizione con l'aggiunta del nome della seconda persona ritratta nella foto, Antonio Voinea ..Una foto profilo tratta dal profilo Facebook della 'Compagnia del Bright' mostra Aldo Revello (D), lo skipper spezzino disperso tra le Azzorre e Gibilterra, insieme all' amico marinaio, Antonio Voinea, con lui nella foto. Genova, 4 maggio 2018. .. +++ ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++.

Attorno alle 14 viene però attivato il radiofaro, che lancia a terra un segnale di emergenza, con l’indicazione della posizione dell’imbarcazione.  Ma dopo un minuto e mezzo il dispositivo di sicurezza cessa le trasmissioni. Forse una collisione, forse la rottura del bulbo. L’unica certezza è che da quel momento del “Bright” e del suo equipaggio si perdono per sempre le tracce. 

 

 

 

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