Addio a Pino Guzzonato, l’artista che trasformava la materia in poesia

Morto all’eetà di 83 anni, era scultore pittore e incisore. Amico di scrittori e intellettuali, le sue ultime creazioni erano stati i “bio esseri” di argento

Sergio FrigoSergio Frigo
Pino Guzzonato nel suo atelier
Pino Guzzonato nel suo atelier

Nelle mani di Pino Guzzonato - morto il 30 dicembre 2024 a 83 anni all’ospedale di Santorso, dov’era ricoverato da una decina di giorni per i traumi di una caduta in casa - la materia diventava poesia. Scultore, pittore e incisore, era amico di molti scrittori e poeti veneti, a partire da Mario Rigoni Stern, Andrea Zanzotto, Luigi Meneghello, Fernando Bandini, coi quali aveva realizzato pregevoli libri d’artista, ma anche di intellettuali e registi quali Carlo Mazzacurati, Ilvo Diamanti, Marco Paolini, Francesco Bonsembiante, Giorgio Celli e Telmo Pievani, coi quali aveva avuto alcune collaborazioni e che spesso ospitava nel suo stupefacente atelier tra i boschi e i ruscelli di Acquasaliente, sulle alture del Tretto sopra Schio.

Nato nel 1941 a Marano Vicentino aveva manifestato fin da bambino il suo interesse per la manipolazione della materia: “Già a cinque o sei anni costruivo torri e case utilizzando il fango e accostando dei sassolini - aveva raccontato nel luglio scorso in una videointervista al Bo Live – Fin da allora vedevo delle cose che gli altri non vedevano”.

Diplomato a Venezia e a lungo insegnante alle superiori, aveva anche collaborato con le Università di Utrecht e Parigi, aveva partecipato alla 49° Biennale di Venezia, organizzato workshop internazionali, esposto in numerosissime rassegne ed esposizioni, oltre che in Italia in Austria, Slovenia, Francia e Giappone, con una personale all'Accademia di Weimar.

Non aveva mai interrotto però il suo confronto quotidiano coi materiali più vari, che gli aveva guadagnato una conoscenza profonda delle caratteristiche fisiche e chimiche dei metalli, delle pietre, del legno, della ceramica, della plastica e soprattutto della carta, che costituiva probabilmente il suo elemento più congeniale e che si produceva da solo ricavandola dagli oggetti e dai materiali più diversi, dagli ortaggi ai vestiti, ai… nidi di vespa abbandonati.

Ma accanto alla continua ricerca e sperimentazione sulle tecniche e i materiali Pino Guzzonato ha sempre affinato la sua creatività coltivando il confronto e la riflessione sulle questioni essenziali della vita umana e del suo rapporto con la natura, sviluppando un’acuta sensibilità ai temi ambientali e soprattutto del cambiamento climatico.

Anche le questioni più drammatiche trovavano nelle sue opere esiti poetici e talora umoristici, toni leggeri inversamente proporzionali alla loro tragicità e... all’imponenza della sua figura.

“Mi sento come un filtro – spiegava - attraverso cui passano elementi ancestrali provenienti dai depositi di sedimenti culturali e artistici prodotti dall’umanità nella sua storia”.

Una panoramica dei suoi diversi periodi artistici era stata allestita due anni fa negli spazi della Fondazione Benetton a Treviso, partendo dai suoi primi lavori ispirati al mondo naturale, come i famosi coccodrilli di carta, i libri d’artista popolati di alberi, foglie, montagne, le copertine di carta a mano realizzate appoggiandole ancora bagnate ai tronchi degli alberi, dei quali restituivano al tatto la rugosità e le asperità della corteccia, quindi le sculture in pietra e in metallo, le opere incentrate sulla nascita delle forme animali, in cui la fantasia di Guzzonato si ispirava alla mitologia o alle favole, ricreando però una molteplicità di configurazioni che contaminando natura e immaginazione rimandavano alla ricchezza della diversità dei viventi.

L’ultimo capitolo era dedicato ai suoi più recenti Bio esseri d’argento, concepiti da Guzzonato durante il periodo del Covid: un florilegio di forme sorprendenti che alludono al passato dell’evoluzione ma si proiettano in un possibile futuro, e in quanto tali possono divertire per la loro ingegnosità e inventiva, ma soprattutto inquietano, e in qualche caso persino spaventano: fra le più significative c’era una figura che tenta di sfuggire dalla lastra che la incatena, una statua ispirata all’Urlo di Munch, un ibrido donna-uccello incinti l’una del feto dell’altro, entità buffe o mostruose che sembrano uscite da un bestiario medievale riletto attraverso secoli di storia dell’arte e rivisto alla luce delle incerte prospettive del nostro tempo.

“Ma la gioia di vivere che emana da questi piccoli Bio esseri - osservava l’autore – continua ad ispirare fiducia in un qualche futuro”. 

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