Alessandro Preziosi: un tempo per Re Lear
Attore e regista nello spettacolo coprodotto dallo Stabile del Veneto, da mercoledì a Padova : «Ho voluto offrirgli un margine per maturare». In scena le opere di Pistoletto
Attore nello stesso tempo popolare e colto, Alessandro Preziosi ha alternato in questo periodo i panni di Yanez nel nuovo Sandokan che andrà in onda nel 2025 su Rai1e quelli di Re Lear nello spettacolo “Aspettando Re Lear”, coprodotto dal Teatro Stabile del Veneto, che sarà a Padova al Teatro Verdi da 20 al 24 novembre. In questo allestimento Preziosi è sia attore che regista.
“Aspettando Re Lear” presenta una versione parziale del testo shakespeariano. Perché questa scelta?
«Nasce dalla voglia di mettere a fuoco il rapporto fra padri e figli, concentrando la narrazione. Il mondo della politica, degli intrecci ideologici, tutti i passaggi obbligati che ci sono nelle quattro ore della rappresentazione integrale diventano uno sfondo messo al servizio del riconoscimento fra padri e figli, dell’incontro fra loro, un tema che mi appassiona e che trovo estremamente moderno».
Il titolo gioca con l’“Aspettando Godot” di Beckett. È solo una citazione?
«In Lear c’è una condizione letterale di attesa che il re ritorni ad essere re, ma un re diverso, un re più maturo, che prima ancora di essere re sia uomo e quindi padre. L’assonanza con “Aspettando Godot” nasce da una frase di Beckett che mi ha molto colpito e che diceva “Nasciamo tutti pazzi, solo che molti lo restano”. Questo concetto di follia che viene descritto nelle opere di Beckett si coniuga con una attesa nichilista che ci spinge a passare una vita ad aspettare qualcosa che non arriverà mai. Quindi un punto di partenza dell’allestimento è la morte del linguaggio, il “niente” che Cordelia dice a Re Lear quando mette sulla bilancia amore e eredità determinando uno stato di annichilimento del tutto, fino al ritrovarsi finale, al riconoscersi, al riabbracciarsi. Così si conclude il nostro allestimento, non c’è nessun epilogo tragico».
“Re Lear” è una sfida che gli attori affrontano da anziani.
«La vera sfida era quella di immaginare un Re Lear non più vicino alla morte, ma capace di comprendere quali sono stati i grandi limiti che hanno segnato i momenti tragici della sua vita, il rischiare di invecchiare prima ancora di essere maturo. Il motivo che mi ha spinto quindi a interpretare Re Lear a cinquant’anni invece che da anziano è quello di dargli un margine per maturare e non semplicemente per affrontare serenamente la morte».
C’è qualcosa di personale in questo tema della maturità?
«Io sono diventato padre molto giovane, a vent’anni, quindi volente o nolente, la maturità nella mia vita è arrivata in maniera molto precoce. Questo passaggio alla maturità mi interessa molto, ma come percorso artistico, nel senso che non uso gli spettacoli per trovare risposte che non trovo nella vita: si rischierebbe di confondersi, di crearsi illusioni che diventano frustranti se poi uno non le realizza».
Cosa rimane di Shakespeare?
«Tutto. Ci sono, concentrate, le sue tematiche: c’è l’invidia, c’è ci sono le credenze che ingannano, c’è l’odio. Non abbiano vampirizzato Shakespeare, abbiano lavorato un anno girando anche un documentario per entrare nel testo. Semplicemente, limando le ridondanze ci si concentra sull’essere umano, andando in profondità. Non dimentichiamoci che Re Lear è anche un testo in cui si avverte con forza il contrasto tra mondo medievale e umanesimo, con la centralità posta appunto sull’individuo e sull’evolversi della genitorialità».
Una delle caratteristiche di questo allestimento è l’uso in scena delle opere di Michelangelo Pistoletto. Come è nata questa collaborazione?
«La casualità ha voluto che incontrassi il maestro durante una sua personale al Chiostro del Bramante proprio mentre stavo pensando a questo spettacolo. Guardando le sue opere alla mostra mi è venuto in mente che potevano essere un elemento decisivo per lo spettacolo e ora posso dire che è stata una sfida estremamente riuscita. Quando avevo pensato lo spettacolo all’inizio ero terrorizzato e annichilito dal trovarmi davanti un letto, uno specchio, un tavolo, una cornice, una sala da pranzo: non funzionava. Invece facendo visitare queste opere dagli attori l’interazione è diventata assolutamente credibile e ha dato al testo quella contemporaneità che cercavo. Le opere restituivano l’immediatezza delle cose che si dicevano».
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