I Batisto Coco compiono 40 anni e fanno fiesta a Cuba

L’orchestra che canta testi in dialetto su ritmi latinoamericani festeggia in tour. Fino al 20 gennaio è a L’Avana. «Suoniamo i classici della canzone italiana»

Michele Bugliari
I Batisto Coco festeggiano i 40 anni di attività con un tour a L'Avana
I Batisto Coco festeggiano i 40 anni di attività con un tour a L'Avana

Batisto Coco, orchestra pioniera del mix tra ritmi latinoamericani (salsa, mambo e cha cha) e testi ironici in dialetto veneziano, festeggia in questi giorni i quarant’anni di attività con un tour a L’Avana, capitale di Cuba, che è partito il 7 gennaio e proseguirà fino al 20. Fanno parte della spedizione sette componenti su undici: Massimo Bellio (voce), Patrizio Hidrobo (voce), Eddy De Fanti (timbales), Marco Musoni (basso), Giorgio Schiavon (sax), Antonello Del Sordo (tromba) e Lorenzo Cozzarini (congas). Da citare anche gli altri quattro membri: Paolo Vianello (piano), Paolo Busolin (bongò), Cesare Pasqualetto (tastiere) e Maurizio Pegoraro (congas).
 

I Batisto Coco sono un'orchestra di undici elementi
I Batisto Coco sono un'orchestra di undici elementi

«Siamo stati per la prima volta a Cuba nel 2018 su invito della Egrem, casa discografica cubana», racconta De Fanti. «Quest’anno ci è arrivato un invito per una nuova tournée con cui festeggiamo i nostri quarant’anni condividendo il palco con una famosa orchestra cubana, Gran Septeto Habanero. Siamo felici di incontrare il popolo cubano che nonostante le difficoltà sorprende per la forza con cui affronta la vita».

Nelle valigie dei Batisto Coco hanno trovato posto alcuni regali. «Ci hanno chiesto di non donare soldi perché con l’embargo non saprebbero cosa farsene. Così abbiamo portato materiale che per loro è introvabile: corde per violini, chitarre e contrabbasso; ance per oboe e clarinetto; bocchini per trombe; bacchette per vibrafono, marimba e batteria; pelli per tamburi e microfoni. Abbiamo chiesto aiuto al Conservatorio Marcello di Venezia e ai musicisti dell’orchestra dell’istituzione. Abbiamo ricevuto talmente tanto materiale che c’è stata qualche difficoltà per il trasporto». È stato molto più facile scegliere cosa suonare per i cubani. «Non solo i nostri brani ma anche i classici della canzone italiana, arrangiati in versione latinoamericana», dice De Fanti. «Sono canzoni che abbiamo registrato negli album “Salsa ’60”, come “Io che non vivo (Senza te)” del veneziano Pino Donaggio e i successi di Jimmy Fontana, Tony Renis e Domenico Modugno».

Il traguardo dei 40 anni è anche l’occasione per raccontare la storia dei Batisto Coco. «Con l’Orchestra della Fenice ero andato a suonare a Copenaghen, dove in un negozio ho trovato un metodo per strumenti latinoamericani a percussione», ricorda De Fanti. «Il negoziante mi disse che Birger Sulsbrück, l’autore, era di Copenaghen, così l’ho invitato a fare un seminario nella mia scuola di musica, al Parco Albanese, a Bissuola. Da quelle lezioni, tenute nel 1982 o nel 1983, sono nati i Batisto. All’inizio eravamo un ensemble di percussionisti poi gradualmente siamo diventati un’orchestra». La prima canzone ha segnato il repertorio: «Ce l’ha suggerita “Café” di Jorge Santana, fratello di Carlos», prosegue De Fanti, «ho scritto un testo in veneziano, “Café San Tomà”, e ho notato che gli accenti del dialetto si sposavano perfettamente con la musica latina. Così è nato il nostro stile. Il primo concerto è stato a Punta Sabbioni nel luglio 1985. Quando è scoppiato il boom della musica latinoamericana noi eravamo già pronti. Il primo album “Batisto Coco” conteneva “Bombe”. Abbiamo cominciato a fare le nostre canzoni in veneziano, puntando sull’ironia dei testi, accanto a delle cover. La gente ha cominciato a ballare ai nostri concerti e nei primi anni Novanta siamo diventati di colpo popolari, dopo essere stati un gruppo di nicchia».

Da lì i concerti sono stati tantissimi. «Ne ricordo tre in Svizzera, dove abbiamo conosciuto un musicologo, che ci ha proposto di finanziare un nostro album con riferimenti ai compositori di musica colta del Novecento. Così abbiamo fatto “Acqua alta” con citazioni di Boulez, Stockhausen, Ravel, Milhaud, Stravinskij, Debussy, Satie, Cage e Schöenberg. Poi, abbiamo realizzato un progetto simile ma dedicato al barocco: “BaroccoCoco”». Ma l’album più bello, per tutti è l’ultimo: «“Oro benòn”, nato durante il periodo del Covid, è curato nei minimi particolari. Le più grandi soddisfazioni? Ai nostri concerti vengono ancora tanti ragazzi. I nostri pezzi sono molto popolari. E “Bombe” non è mai stata attuale come oggi».

 

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