La Santa Sede apre un padiglione-laboratorio a Santa Maria Ausiliatrice
Biennale di Architettura a Venezia, per sei mesi e mezzo il restauro dell’antico complesso sarà anche un cantiere di recupero delle relazioni sociali


Restaurare, ricostruire, ripristinare, rammendare. Sono verbi dell’edilizia e della sartoria, ma si possono utilizzare anche in un cantiere sociale, dove l’oggetto della riparazione sono le relazioni umane. Questo sarà per sette mesi “Opera aperta”, il padiglione della Santa Sede alla 19a Biennale di Architettura, che si insedierà nel complesso di Santa Maria Ausiliatrice, nel sestiere di Castello, proprio fra i Giardini e l’Arsenale, che il Comune di Venezia ha prestato per quattro anni al Dicastero per la cultura e l’educazione del Vaticano a condizione che sia mantenuta la sua attuale destinazione culturale e sociale. E questo sarà, per i sette mesi della Mostra e anche dopo, a prescindere dal restauro. Perché accanto al cantiere di restauro, il complesso eretto nel XII secolo sarà anche luogo di incontro, di formazione, di esibizione, di solidarietà.
«Un padiglione-parabola, ispirato a quell’intuizione profetica che è stata l’enciclica Laudato si’», così lo definisce il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura. «Il titolo di “Opera Aperta” lo presenta come un cantiere, come un processo in corso a cui tutti sono invitati a collaborare. Mentre si restaurano i muri e i dettagli architettonici dell’edificio, si ripareranno anche le relazioni di vicinato e l’ospitalità intergenerazionale, ricostruendo simultaneamente lo spazio fisico e lo spazio sociale». Tolentino de Mendonça, sulla scia dell’enciclica papale, parla di «revisione critica del modello di sviluppo fondato su forme ottuse di antropocentrismo che ostacola l’unica possibilità, ovvero essere avveduti curatori e tessitori di relazioni». E se fin qui sembra teoria, la realtà è che il padiglione della Santa Sede sarà probabilmente il più concreto fra tutti, con squadre di architetti, progettisti e operai al lavoro, con decine di associazioni (280 quelle censite nel centro storico e che si occupano di cura del prossimo) chiamate a farne una loro base operativa e un luogo di incontro. Ci saranno una serra e una cucina per pasti condivisi - e persone provenienti da comunità di recupero se ne occuperanno, saranno formate e infine avranno un lavoro - e ci sarà uno spazio dove gli allievi del conservatorio “Benedetto Marcello” potranno esibirsi e avranno anche a disposizione sale per provare e disponibilità di strumenti.
E dopo sette mesi di Biennale, il cantiere resterà aperto, perché così dev’essere, un’operazione in continuo divenire. «Opera Aperta è un processo collaborativo che coinvolge un team internazionale e collettivi locali», racconta Marina Otero Verzier, architetta e ricercatrice, curatrice del padiglione insieme a Giovanna Zabotti, che è direttrice artistica di Fondaco Italia e già curatrice del padiglione Venezia. «Insieme rivendichiamo la riparazione come pratica creativa e radicale, che trascende la forma architettonica per nutrire comunità, ecosistemi e i fragili legami tra di essi. Rivitalizzando una struttura esistente, valorizziamo le sue crepe e perdite non come difetti da nascondere, ma come aperture verso nuove possibilità. Queste soglie ci invitano a reimmaginare la relazione tra passato e futuro, crescita e decadimento, rottura e rigenerazione».
«In un mondo in cui le fratture e le divisioni sembrano amplificarsi, “Opera Aperta” si propone come un atto di “riparazione” e di intelligenza comunitaria», aggiunge Giovanna Zabotti. «Questo padiglione non sarà solo uno spazio fisico, ma un luogo di incontro dove la musica diventa un linguaggio universale capace di unire le persone. Ogni “riparazione” è un atto di giustizia sociale, perché ridà valore a ciò che è stato trascurato, offrendo una seconda possibilità non solo agli edifici, ma anche alle persone che li abitano». Il cantiere-laboratorio sarà aperto tutti i giorni, tranne di lunedì: nei tre edifici, 550 metri quadrati, si incroceranno, confondendosi tra loro, lavoratori, visitatori, residenti. Qualcosa resterà. E probabilmente la parte più importante non sarà quella più visibile. —
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