Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 24 aprile
In sala due film, profondamente diversi, sul rapporto genitori-figli. Se Ivano De Matteo prova a indagare il collasso di una famiglia di fronte a uno sconvolgente omicidio (Una figlia), Tony Goldwyn racconta il viaggio di reciproca scoperta tra un padre e un figlio autistico (In viaggio con mio figlio). Decisamente più concettuale il film “Arsa” firmato dai video-artisti Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, meglio conosciuti come “Masbedo”

Con “Una figlia” Ivano De Matteo riflette ancora sui rapporti tra genitori e figli: come nella recente serie Netflix “Adolescence”, una violenza sconvolgente apre abissi di incomunicabilità e dilemmi morali.
“In viaggio con mio figlio” è il racconto, on the road, di un padre alla (ri)scoperta del figlio autistico, senza trappole retoriche. Nel cast anche Robert De Niro.
Secondo film di fiction per il grande schermo del duo artistico Masbedo: “Arsa” esplora il tema del lutto e della perdita, scardinando i luoghi comuni.
Una figlia
Regia: Ivano De Matteo
Cast: Stefano Accorsi, Ginevra Francesconi, Michela Cescon, Thony
Durata: 103’
Ivano De Matteo torna a raccontare il mondo inquieto degli adolescenti ma anche quello dei genitori, chiamati a “scegliere” tra amore incondizionato e ragioni altre (che hanno a che fare con la giustizia e l’etica morale), sotto il peso di un opprimente senso di colpa per aver fallito nel loro ruolo di educatori (ma anche solo per non aver compreso disagi e problemi).
Tematiche attualissime, come del resto testimonia il dibattito sulla serie Netflix “Adolescence”.
“Una figlia” - liberamente ispirato al libro di Ciro Noja “Qualunque cosa accada” - estremizza una riflessione già portata avanti da De Matteo con i suoi precedenti lungometraggi (“I nostri ragazzi” e anche “Mia”), raccontando la vicenda della diciasettenne Sofia (Ginevra Francesconi) che, in un impeto di rabbia, accoltella a morte la compagna del padre Pietro (Stefano Accorsi), rimasto vedovo qualche anno prima. Per entrambi si spalanca l’abisso.
Quello di Sofia ha l’asprezza dell’internamento carcerario, tra compagne ostili e guardie penitenziarie ormai abituate alla violenza e, per questo, incapaci di mostrare empatia o di credere davvero alle finalità rieducative del carcere.
Quello di Pietro ha la profondità di un dilemma morale che, almeno inizialmente, l’uomo risolve con il totale rifiuto di rivedere la figlia, nonostante l’amica di famiglia (Michela Cescon), nonché legale incaricata di difendere Sofia, provi a farlo ragionare. Quando Pietro tornerà sui propri passi, il carcere e un altro evento inatteso avranno, nel frattempo, profondamente cambiato la ragazza e la sua prospettiva di vita futura. Non c’è dubbio che gli argomenti affrontati da Ivano De Matteo siano cruciali e anche urgenti in una società in cui genitori e figli possono anche parlarsi ma, forse, mai davvero capirsi.
Il problema di “Una figlia” sta proprio nell’arrestarsi sulla soglia di quello iato, soltanto suggerito. Il film, infatti, procede per accumulo di situazioni (l’omicidio – girato in modo quasi sconcertante nella sua superficialità – il carcere, le varie comunità di accoglienza, in una successione non sempre credibile) e, ovviamente, per schematizzazioni (lo smarrimento di Pietro, il cinismo dell’ambiente circondariale, la compassione indiscriminata degli assistenti sociali, la figura di Michela Cescon decisamente “fuori ruolo”). Il grumo di sofferenza paterna, le ragioni della rabbia della ragazza, i riflessi di un evento così traumatico nella quotidianità di tutti i soggetti coinvolti sembrano quasi evaporare in una messa in scena troppo lapidaria, più infiammata dall’urgenza che da una autentica volontà di addentrarsi dentro quell’abisso. (Marco Contino)
Voto: 5
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Arsa
Regia: Masbedo
Cast: Gala Zohar Martinucci, Jacopo Olmo Antinori, Lino Musella, Tommaso Ragno, Giovanni Cannata, Luca Chikovani
Durata: 96’

Nicolò Massazza (1973) e Iacopo Bedogni (1970), in arte Masbedo, vivono a Milano e lavorano insieme dal 1999. La loro attività artistica, tra le più importanti in Italia nel suo genere, si manifesta attraverso video arte e installazioni, con linguaggio diversi che spaziano dalla performance al teatro, dalle installazioni alla fotografia e ora attraverso il cinema, grazie anche ad “Arsa”, secondo film di fiction per il grande schermo, presentato alla festa del cinema di Roma 2024. La loro riflessione principale è incardinata attorno al tema della incomunicabilità e anche “Arsa” mostra di muoversi secondo questa logica, per piani paralleli non sempre intersecantisi.
Arsa è una giovane donna che vive di pesca agli antipodi della civiltà, in una riserva naturale sull’isola di Stromboli, recuperando gli scarti che il mare restituisce alla terra e trasformandoli in qualcosa di nuovo e significativo.
Orfana di un padre artista che ha dovuto fare l’artigiano per necessità, Arsa vive di natura e di mare, un po’ selvaggia e un po’ sirena, senza telefono o altri contatti col mondo, escluso un binocolo con cui scruta i turisti da lontano. Un giorno sull’isola arrivano in villeggiatura alcuni ragazzi, tra cui Andrea, che condivide con lei lo stesso trauma della perdita del padre e della mancata elaborazione del lutto, un arrivo che muta il suo fragile equilibrio. E poi c’è il convitato di pietra, una statua antica individuata sul fondo del mare proprio da Arsa, che diventa sinonimo di un obiettivo di quell’emancipazione che tarda a venire per entrambi i ragazzi.
Il duo Masbedo si affida a silenzi, narrativi più dei dialoghi, brevi e rarefatti, utilizza un’estetica che è etica nel non concedere nulla oltre allo sguardo e alla riflessione che da esso scaturisce nello spettatore, con grande coerenza e rigore, e dove colori, erba, acqua e, in genere, natura, sono percepiti come parte integrante della storia.
Ma questo lavoro di scardinamento dei luoghi comuni, che Masbedo opera sulla scia della vita di Arsa, unito alla riflessione psicanalitica di fondo, porta con sé inevitabilmente il calo dell’attenzione dello spettatore poco avvezzo a opere così concettuali. (Michele Gottardi)
Voto: 6.5
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In viaggio con mio figlio
Regia: Tony Goldwyn
Cast: Bobby Cannavale, Rose Byrne, William A. Fitzgerald, Robert De Niro
Durata: 101’

Il racconto della genitorialità, di un essere genitore con o senza problemi è uno dei temi classici del cinema. Meno comune se investe il complesso rapporto tra due genitori separati e il figlio autistico, uno di quei ragazzini in bilico tra le fobie e la geniale marginalità dell’autismo, che lo porta a imparare a memoria i libri che legge e le battute che ascolta.
Max Brandel (Bobby Cannavale), è un comico fallito che cerca di tornare in scena. Dopo aver rovinato carriera e matrimonio con Jenna (Rose Byrne), si ritrova a vivere con suo padre Stan (Robert De Niro), un uomo burbero, ma affettuoso, dal sarcasmo pungente e un cuore più grande di quanto voglia ammettere, un ex chef che dopo aver fatto baruffa col mondo intero ora fa il portiere di un condominio di lusso.
Al centro della vita di Max c'è suo figlio Ezra (William A. Fitzgerald), un bambino speciale di undici anni con un'intelligenza brillante e un modo tutto suo di vedere il mondo, determinato dall’autismo.
Quando Ezra viene espulso dall'ennesima scuola, Max e Jenna si scontrano su come affrontare la situazione: lei è favorevole a un nuovo istituto per bambini con esigenze particolari, mentre lui teme che questo significhi etichettare suo figlio come “diverso”. Quando Ezra scappa di casa e ha un incidente, i medici sospettano che il bambino abbia cercato volontariamente il pericolo (in realtà lo fa dopo aver ascoltato delle frasi del nuovo boy-friend della mamma) e propongono una terapia farmacologica per aiutarlo.
Max, spaventato all'idea di vedere Max perdere la sua autenticità sotto l'effetto dei farmaci, prende una decisione drastica: lo porta via per un viaggio attraverso gli Stati Uniti, in cerca di un’alternativa che nemmeno lui conosce.
Girato senza retorica, ma con leggerezza e ironia da Tony Goldwyn, attore figlio d’arte da qualche tempo passato dietro alla mdp, il film evita le trappole melense e drammatiche della fuga e dell’inseguimento dei due, mostra come sia facile e imprevedibile trovare equilibri impensabili a tutta prima, critica di striscio (ma non tanto) le facili soluzioni di istituzioni scolastiche, medici e detective, e soprattutto per l’abilità di stare in scena del giovane esordiente William A. Fitzgerald.
L’on the road dei due protagonisti (ma anche di madre e nonno lanciati all’inseguimento prima che arrivi l’Fbi) è un viaggio alla scoperta reciproca, ma anche un itinerario di Max alla rimozione di problemi mai risolti come l’abbandono della madre, scomparsa dalla sera alla mattina quando era piccolo, o il rapporto irrisolto col padre: errori e traumi che non vuol far ricadere sul suo fragile figlio. (Michele Gottardi)
Voto: 6.5
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