David Lynch, in morte d’un visionario
È mancato il grande regista di Twin Peaks e Mulholland Drive, era malato di enfisema da tempo. Sperimentale e popolare, ha avuto un impatto unico
È labile il confine fra la vita e la morte nel cinema di David Lynch, ai personaggi capita d’attraversarlo come si spostassero fra una stanza e un’altra.
Da oggi, 16 gennaio 2025, anche il grande regista statunitense ha traversato quel limite, entrando nel corteo d’ombre che spesso nella sua opera continua ad aver a che fare con noi viventi da altre dimensioni, altri tempi, altri piani, altri mondi.
La famiglia l’ha annunciato, nel tardo pomeriggio italiano, con una pubblicazione sui canali social del regista:
«È con profondo dolore che noi, la sua famiglia, annunciamo la morte dell’uomo e dell’artista, David Lynch. Apprezzeremmo della riservatezza in questo momento. C’è un grande buco nel mondo, ora che lui non è più con noi. Ma, come lui avrebbe detto, “tieni l’occhio sulla ciambella e non sul buco”. È un giorno bellissimo di luce dorata e cieli azzurri».
Nello scorso agosto il regista aveva reso pubblica la malattia che gli era stata diagnosticata, un grave enfisema, che limitava fortemente la sua mobilità e quindi anche la sua possibilità di realizzare altri film.
Sintesi improbabile e azzeccatissima di cinema d’avanguardia e popolare, sperimentatore senza pari durante l’intero lungo corso della sua carriera, con Lynch la settima arte perde una delle sue menti più possenti, uno dei suoi volti più amati.
Nato nel 1946 a Missoula, Montana, si trasferì all’inizio degli anni Settanta a Los Angeles, dove iniziò a lavorare al suo primo lungometraggio “Eraserhead”, completato nel 1976: nonostante il flop iniziale, il film si rivelò poi un successo duraturo, e una delle pellicole più amate della sua produzione. Criptica e raccapricciante vicenda in bianco e nero, Lynch definì il film «la mia opera più spirituale». Richiesto dall’intervistatore di elaborare ulteriormente sul tema, rispose: «No».
Quali che fossero le energie liberate da David con quel film, dì lì a poco quel lavoro lo portò a dirigere “The Elephant Man”, che gli sarebbe valso la nomination a otto Oscar, consacrando Lynch tra nomi di punta di Hollywood.
Il successivo “Dune”, un altro disastro al botteghino, sarebbe a sua volta diventato un film di culto, che continua ad avere i suoi estimatori anche ai tempi dell’odierna trilogia.
Nel 1986 è il noir “Blue Velvet” a sancire il genio di Lynch, portandolo alla seconda nomination per l’Oscar. L’opera che lo rende un autore di massa, però, è la successiva: la serie televisiva “Twin Peaks”, scritta assieme a Mark Frost, è un compendio delle tematiche lynchiane, snocciolate in una ridda di episodi (complice anche l’avidità della casa di produzione, che impose un maggior numero di puntate). Nel 1992 seguirà il prequel “Fire walk with me”.
L’esperienza televisiva non impedisce a Lynch di continuare a lavorare al cinema, tanto che nel 1990 vince la Palma d’oro di Cannes con “Wild at hearth”, con Nicolas Cage e Laura Dern, musa di Lynch.
Seguiranno “Lost Highway” (1997) e “The Straight Story” (1999). Il grande successo torna a sorridere a David con “Mulholland Drive”, capolavoro che inizialmente sarebbe dovuto essere un’altra serie tv nello stile di “Twin Peaks”, ma che per questioni di produzione finì per avere la fortunata forma del lungometraggio. Seguirà nel 2006 il thriller “Inland Empire”.
Da lì in poi Lynch, che pure non smetterà mai di partecipare a progetti e ad elaborarne di suoi, si muove nelle retrovie del cinema, ascendendo al ruolo quasi mistico dell’uomo saggio. Praticante entusiasta della meditazione trascendentale, metodo alla cui diffusione Lynch ha dedicato molto impegno in tutto il mondo, aveva trovato nei social un modo surreale, criptico e divertente di comunicare ai suoi fan il suo approccio alla vita. Mancherà, a chi lo seguiva, il suo annuncio settimanale di benvenuto al venerdì.
Nel 2017, venticinque anni dopo la fine della seconda stagione, torna alla regia per la terza stagione di Twin Peaks: a dispetto delle aspettative che una simile operazione nostalgia avrebbe potuto generare, Lynch torna sul luogo del delitto alzando al massimo il livello di sperimentazione.
L’episodio onirico sulla bomba nucleare è probabilmente la singola puntata di serie televisiva più potente prodotta in questi decenni. A finale aperto, la serie che per decenni ci ha portato a interrogarci su chi avesse ucciso Laura Palmer si conclude con il suo ritorno, in qualche incomprensibile modo, alla vita. Ci veda o meno dall’altro lato del sipario, l’opera di Lynch continuerà ad agire in questo mondo a lungo ancora. —
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