Il ritorno di Elio: «Porto in teatro canzoni belle e libere»
Al Geox di Padova “Quando un musicista ride”, un nuovo capitolo del viaggio nel repertorio anticonformista degli anni ’60, ’70 e ’80 «Erano piene d’arte, oggi si punta solo al successo e ai soldi»


Sono “canzoni scanzonate” ma solo in apparenza, quelle che fra gli anni ’60 e ’80 hanno caratterizzato la produzione artistica di una generazione eccentrica e controcorrente. Gaber, Jannacci, Cochi e Renato, Dario Fo, Flaiano, Marcello Marchesi e alcuni altri hanno lasciato in eredità un repertorio seriamente comico, geniale, innovativo, anticonformista. Un inno alla libertà espressiva. Elio, senza le Storie Tese, ha iniziato a esplorarlo e a riproporlo: partendo da Gaber, è arrivato a Jannacci (con lo spettacolo “Ci vuole orecchio”) ed è tornato sul palco con un nuovo capitolo, “Quando un musicista ride”, che farà tappa al Gran Teatro Geox di Padova venerdì 14 febbraio.
Elio, perché si è estinto quel genere di canzone?
«Noi che siamo cresciuti ascoltandolo siamo gli unici eredi. Per noi esisteva solo quello, era il punto di partenza per inventarci qualsiasi altra cosa. Oggi, è vero, qualcosa del genere non esiste più. E spiegare perché mi costringerebbe a un lungo discorso sullo stato della cultura e della musica in questo Paese. Diciamo che non ci sono più le condizioni per avere quella libertà. Ci sono invece perché si produca la musica di merda che ascoltiamo».
Non è che fra censura e politicamente corretto il recinto della creatività si è ristretto un po’ troppo?
«Questi ostacoli sarebbero anche superabili, se non esistessero tutte le altre condizioni sfavorevoli. Io sono contrario a questa esagerazione del politicamente corretto. Il principio è giusto, ma esagerare porta a risultati opposti a quelli che si volevano raggiungere. Ed è un paradosso: viviamo nell’epoca che doveva essere quella della massima libertà ma non siamo liberi per niente. Le canzoni che io canto in questo spettacolo in questo senso fanno un effetto stranissimo, sembra avanguardia per quanto sono oltraggiose, provocatorie. Eppure è roba vecchissima. Chissà che qualcuno non faccia una riflessione su questo aspetto».
Lei è mai stato censurato o comunque si è sentito condizionato?
«No, neanche adesso. Ma oggi sento più il peso di questo clima. Mi capita di chiedermi cosa succederebbe se con le Storie Tese scrivessimo oggi canzoni come “Omosessualità” o “Essere donna oggi”. C’è intolleranza».
Perché dopo aver esplorato l’eredità di Jannacci ha voluto fare questo nuovo spettacolo?
«Dopo Gaber, che è stato bellissimo ma faticoso, ho voluto fare Jannacci, per puro piacere personale. Ed è andato alla grande, con più di 150 repliche. Così è nata l’idea di fare altro e questa è una specie di secondo atto. Partiamo ancora da Jannacci ma dentro c’è tanto altro».
Una generazione che si distingueva per originalità, libertà espressiva, ricerca nel linguaggio...
«Tutte cose che oggi non ci sono più. La parte artistica, nella produzione musicale di oggi, è totalmente assente. Non c’è più l’ambizione di creare qualcosa di bello, sono rimasti solo gli interessi economici, la ricerca del successo, dell’affermazione. Se ce la fai, sei figo. Ma uno può essere molto bravo anche se non si afferma. Ogni volta che ascolto e canto quei vecchi pezzi, ci sento dentro una voglia esplosiva di fare cose nuove, la voglia di stare assieme. Oggi invece c’è voglia di apparire, di essere celebri e di fare soldi. La bellezza non interessa più a nessuno».
Il gruppo che la accompagna è sempre lo stesso?
«Abbiamo perso e sostituito una sassofonista - che si è fatta sedurre dal successo, appunto - ma per il resto siamo gli stessi. Musicisti giovani e bravi».
Anche il regista, Giorgio Gallione, è lo stesso e ha detto che farete un altro spettacolo insieme. C’è già un’idea?
«No, ma io con lui lavoro sempre volentieri. Ci divertiamo molto».
E lei ha detto che ormai vuole fare solo cose che le piacciono...
«Ed è così. Ho appena finito di girare un film con Lillo e mi sono divertito molto. Anche fare questo spettacolo mi piace, amo la compagnia, il tour, vedere il pubblico in faccia, parlare agli spettatori. E poi ci esibiamo in teatri bellissimi».
Cosa succede quando un musicista non ha voglia di ridere ma deve salire sul palco e far finta di averla?
«È successo tante volte, per esempio quando è morto Feiez (polistrumentista degli Elio e le Storie Tese, ndr). Ma il palco è anche il posto giusto per esorcizzare il dolore. È difficile fare il primo passo, salirci, ma poi là sopra senti di avere tanti amici intorno e questo aiuta».
Sarà in scena nei giorni di Sanremo. Seguirà il Festival?
«Sanremo è sempre stato brutto e noi con gli Elii ci siamo andati proprio per quello. Ma allora era brutto e divertente, oggi è brutto, noiosissimo e immotivatamente lungo. Non trovo più un motivo per seguirlo. Rimpiango i vecchi festival, che duravano poco e giravano intorno alle canzoni - e infatti ce le ricordiamo ancora. Oggi l’obiettivo non è più ascoltare canzoni ma fare il record di ascolti. E il risultato è che fa schifo». —
Riproduzione riservata © il Nord Est