Storia di Maria Seccardi e Pier Paolo Pasolini

Ronzani pubblica l’epistolario inedito di un idillio anticonformista: un amore in purezza rimasto nascosto per oltre sessant’anni

Francesca Schillaci
Maria Seccardi e Pier Paolo Pasolini fotografati dal pittore Giuseppe Zigaina
Maria Seccardi e Pier Paolo Pasolini fotografati dal pittore Giuseppe Zigaina

Un nuovo fascicoletto di lettere si aggiunge al corpus della corrispondenza di Pasolini. A 50 anni dalla sua scomparsa arrivano in libreria quindici lettere scambiate con la giovane ragazza friulana Maria Seccardi che, in vita, si rifiutò di pubblicare le lettere di Pasolini anche quando Nico Naldini la interpellò per la pubblicazione, nel 1986, del primo volume delle “Lettere”. Concesse alla figlia la facoltà di renderle pubbliche solo dopo la sua morte, avvenuta nel 2022. La storia segreta adesso appartiene a tutti.

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Un amore rimasto nascosto per oltre sessant’anni. Un nuovo epistolario che allarga, ancora una volta, i confini degli studi biografici su Pier Paolo Pasolini.

Esiste una donna amata (e che l’ha amato a sua volta): è Maria Seccardi, una fanciulla nata a San Vito al Tagliamento nel 1928, che per tutta la vita ha conservato dentro uno scrigno le lettere, le fotografie e le memorie di un amore intriso di tenerezza e riconoscenza, con la volontà che venissero pubblicate dalla figlia Valentina solo dopo la sua morte, avvenuta nel marzo 2022. Lettere a Maria Seccardi è una raccolta di inediti pubblicata da Ronzani Editore (pag.88, euro 18).

Quindici lettere e un telegramma che Pasolini scrisse a Maria Seccardi tra il 1948 e il 1959. Curata da Antonella Giordano con la prefazione del filologo del Gabinetto Vieusseux di Firenze Franco Zabagli, l’epistolario racconta un Pasolini «ai più sconosciuto nell’intreccio di relazioni e di affetti - spiega lo studioso» che amplia la prospettiva di conoscenza della sua biografia nei sui drammi e nelle sue bellezze, attenendosi ai documenti, lasciando spazio soltanto all’autenticità del vissuto.

All’interno dello scrigno conservato negli anni, Maria ha lasciato anche un diario nel quale racconta il loro tempo insieme, pubblicato qui col titolo “Quel profumo di viole”, documento e testimonianza che completano la raccolta. Ad ampliarne la portata documentaristica, sono anche due inserti fotografici che comprendono le foto scattate a Pasolini e Maria dal pittore Giuseppe Zigaina durante le gite che i tre fecero insieme ad Aquileia e Grado, e gli scatti di Tazio Secchiaroli dell’archivio Cinemazero che ritraggono i sopralluoghi per “Accattone”.

Si frequentavano con costanza, Maria e Pasolini, negli anni di gioventù che li vedevano insieme alle sagre di paese, ai balli festivi del “Sogno di una cosa” e nella contemplazione della natura di un Friuli che presto condanna il poeta per pederastia con lo scandalo di Ramuscello e lo costringe a lasciare «quei paesi che ormai rappresentano tutto il finito, il morto della mia esistenza» per ricominciare una nuova vita a Roma. Maria gli resta accanto.

Lo legge, gli scrive, lo osserva a distanza, vede la sua fama crescere, ma allo stesso tempo è testimone diretta delle sue confessioni più intime, nelle quali Pasolini abbatte le frontiere dell’animo per indagare l’amore di Maria che non può mai essere corrisposto, se non in forma di affinità spirituale. «Sono lettere dove incalzano le ragioni dell’impossibilità di amarla – scrive Zabagli – di corrispondere alle giuste speranze che una donna deve avere».

Non esiste, pure, un solo modo di amare. Queste lettere mostrano la purezza della relazione tra i due, entrambi punti di riferimento l’uno per l’altro, tanto da essere stati notati e citati anche nell’opera “Nei campi del Friuli” (1984) di Nico Naldini, riportata da Zabagli nella prefazione: «Delle donne che hanno circondato Pier Paolo, questa giovinetta ha portato con più freschezza la speranza di un amore e forse, per vie misteriose, sarebbe stata esaudita».

Molti sono i passaggi che mettono in luce l’affetto di Pasolini per Maria, un affetto che non scade mai in scabrosità, e talora si manifesta anche in un logorante senso di inadeguatezza di fronte alla fanciulla “forte” e piena di “grazia”, fedele al loro legame che supera i confini dell’amore passionale per rivelarsi più alto, più puro. «Sono responsabile dei tuoi sentimenti e indegno dei tuoi sentimenti. Potrei pronunciare condanna maggiore?»

Maria lo accoglie, lo ascolta e lo accetta, anche di fronte alla confessione della sua omosessualità; nonostante «la paura, con le mie parole, di farti male» Pasolini non si sottrae al dovere morale della trasparenza, l’assidua rincorsa all’onestà come forma di rispetto: «Per tutta la vita ho sentito il rapporto carnale con la donna come uno sconvolgente sacrilegio».

La corrispondenza si interrompe con il telegramma del 25 settembre 1959, nel quale Pasolini le comunica che il loro appuntamento a Venezia, in occasione di un congresso alla Fondazione Cini, non ci sarà. Si incontrano ancora, poi; Pasolini le offre un ruolo nel film “Accattone”, ma «non presi la cosa sul serio – scrive Maria nel diario – perché avevo la scuola e il provino non lo vidi mai».

«Si è sposata e ha lavorato come insegnante alle elementari– dice oggi la figlia Valentina, – per tutta la vita è stata amata dalla comunità e dai suoi alunni: aveva il dono della riservatezza e una spontanea empatia verso gli altri. Non ha mai voluto diffondere le lettere di Pasolini per rispetto e riservatezza, ma prima di morire mi ha chiesto di rendere pubblica la loro corrispondenza dicendomi che le persone dovevano sapere quanta umanità avesse Pier Paolo. La sua devozione è stata proteggerlo da false interpretazioni. Credo che il loro sia stato un rapporto di purezza, perché svincolato dal compromesso e dalla rivalsa, pieno di reciproca tenerezza e gratitudine che lei ora dona a tutti noi». 

 

La lettera

«La tua è una lezione d’amore che non dimenticherò mai»

5 novembre 1949

Cara Maria, tu hai un’infinità di cose da perdonarmi; perdonami anche il silenzio e la lontananza di questi ultimi giorni. Ho avuto la testa altrove; il processo, il rinnovato dolore dei miei, la gente che mi circondava, nemica sia a destra che a sinistra. Ma tutto ciò non costituisce la sola ragione per cui mi sono tenuto lontano da te.

L’ultima volta che ci siamo visti a S. Vito, mi hai detto che dovevi andare a confessarti da Don Corazza; me l’hai detto con una faccia e una voce diversa dal solito. Io in quel momento ho avuto la nitida, precisa impressione, anzi la certezza, che tu avessi finalmente capito che io non sono degno di te: che la tua tensione amorosa si fosse allentata, o che cominciasse, almeno, la sua fase discendente. Sono stato un’infinità di volte per parlarti con chiarezza, e non l’ho mai fatto, un po’ per viltà, un po’ perché i tuoi occhi me lo impedivano.

Tu non hai mai amato “me”, Maria, ma un’immagine che te ne sei fatta con la tua ingenuità di giovinetta (io, non so, sono molto peggiore, o forse migliore di quello che tu ami; comunque sono diverso).

Ora ti accanisci, – sempre con una fedeltà e una passione di giovinetta il cui pensiero mi strazia, – ad amare il tuo amore. Io in principio, come ricorderai, ho cercato di chiarire il tuo equivoco: ma l’ho fatto male, si vede, cedendo a debolezze e a distrazioni, e più ti dicevo e ti dimostravo, che in me c’era il male, e più tu vedevi invece in me quel po’ di buono che rimane. Ottenevo risultati contrari; e tu ne soffrivi, sconvolta da tante contraddizioni.

Il tuo amore, poi, con l’andar del tempo, mi ha conquistato, mi ha fatto balenare una speranza: poteva essere, per me, che non ho amato nessuna donna, una specie di redenzione. E mi sono messo per questa strada, sperando. Ma per realizzare una speranza simile, le cose dovevano andare diversamente, intorno a noi doveva esserci la calma, la serenità, la benevolenza dei genitori. Comunque, ancora una volta ho sbagliato nel comportarmi: tutte queste cose dovevo dirtele subito, senza reticenze, sottintesi e silenzi, quei silenzi che tanto ti turbavano (ricordi il suono delle campane?). E poi pensavo che un po’ alla volta tu avresti visto l’abisso che c’è tra il Pier Paolo che tu ami e quello della realtà; e allora il tuo amore e la mia illusione si sarebbero dileguati insieme.

Ricordi che una sera, sulla strada di Savorgnano ti ho detto che una sola donna avrei potuto sposare, e questa donna eri tu? Ebbene, credo che sia vero; ma pur stando così le cose il mio non era ancora l’amore che supera tutto, cose e circostanze; anzi le cose e le circostanze l’hanno inaridito. Sarebbe un delitto che io continuassi a lasciare andare le cose come andavano: tu l’hai sempre saputo che in cambio del tuo grande, ingenuo e commovente amore, io potevo darti un amore riflesso, che non era “tutto” per me.

Le cose, ripeto, avrebbero anche potuto continuare a correre sul filo di rasoio della speranza, se ciò che ho meritato non mi fosse crollato addosso. Tuo padre in gran parte ha ragione: praticamente io sono un pessimo soggetto, non importa se mi resta, inattivo e sconosciuto, un certo capitale di purezza.

Prova a domandarti se tu amavi veramente questo giovane pervertito e abbrutito dalle circostanze, o non piuttosto quello che io forse sono stato, e di cui rimane in me solo qualche traccia. Non so cosa ne concluderai, comunque è certo che io non posso continuare a illudere te e me stesso. Vedi? Io sono spiritualmente marcio, come un personaggio di Sartre: sono schiavo della mia libertà. Non posso sopportare limiti alla mia libertà, nemmeno se questi limiti si chiamano amore. L’amore ormai per me, devo ammetterlo, non è che capriccio, frenesia dei sensi. Tu sei degna di ben altro; liberati di questo morbo che io sono stato per te, convinciti di quello che ti ho detto: che tuo padre praticamente ha ragione.

Quanto a me ho ricevuto da te un dono impareggiabile, una lezione d’amore che non dimenticherò mai.

Tuo Pier Paolo

Dattiloscritta con correzioni, firma e data autografe.

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