I fari di Trieste: la storia dalle origini a oggi
Ormai rappresentano dei veri e propri monumenti ricchi di significati, a partire dai siti che li ospitano a Gretta e in Sacchetta
Un faro “per la protezione dai fondi pericolosi di Grado e la sicurezza dei naviganti”. Gli Asburgo ordinavano con queste motivazioni, nel 1816, la costruzione del nuovo Faro oggigiorno noto come la Lanterna di Trieste. L’azione era in realtà il compimento di un lungo processo che aveva permesso la trasformazione di quell’ala delle Rive in una zona edificabile.
Se oggigiorno i Fari di Trieste costituiscono infatti una parte dello skyline cittadino, assolvendo alla stessa funzione della Tour Eiffel a Parigi o della Torre di Pisa, un tempo i “Fanali marittimi” erano una componente chiave dello sviluppo di un porto.
Antonio Tribel, nel 1884, ipotizzava “Ai tempi dell’imperatore Traiano il porto ricinto da vasti e comodi moli e protetto dal Faro”, recuperando in ciò gli studi di Pietro Kandler dove si ricostruiva ai tempi di Nerone il porto nella zona di Campo Marzio, immaginando sullo scoglio dello Zucco “un alto fanale che additava il porto ai naviganti”.
Occhi vigili del porto
I fari pertanto sono sempre stati un elemento connotante Trieste; e solo in età contemporanea ci si è posti il dilemma di un riutilizzo svincolato dal ruolo di “occhi vigili” del porto. Il doppio riferimento giuliano, ovvero alla Lanterna e al Faro della Vittoria, offre esempi diversi, ma con alcuni parallelismi.
Se un tempo i Fari erano isolati dal nucleo cittadino, oggigiorno entrambi i manufatti appaiono in aree soggette a trasformazioni urbane: nel caso della Lanterna per i piani del Nautaverso ad opera di quella stessa Camera di Commercio che, due secoli fa, aveva costruito i Fari austriaci e nel caso della Vittoria per il passaggio futuro della cabinovia e per la “fame” di ville con affaccio sul mare manifestato dal mercato immobiliare straniero, specie austro-tedesco.
La risoluzione programmatica del 1749, emanata dalla sovrana Maria Teresa, ordinò la costruzione di un molo volto a collegare lo scoglio, di nuovo con funzione militare. I lavori, durati oltre vent’anni, furono tra i più esosi per le casse austriache, a tale punto che Napoleone ironizzò, mezzo secolo dopo, se questo era il molo “del quale ogni pietra era costata a Maria Teresa uno zecchino”.
Ordine da Vienna
Il conte Karl von Zinzendorf perorò la causa del Faro sul molo teresiano tra il 1770 e il 1780, ma tra lungaggini burocratiche e le tre diverse occupazioni napoleoniche si dovette aspettare il 1816, prima che l’ordine partisse da Vienna. L’architetto Pietro Pertsch propose diverse versioni di Faro; infine il consigliere aulico Pietro Nobile approvò la “torre Massimiliana” che riuniva in sé la funzione militare e marittima. La struttura presentava infatti un basamento dove disporre l’artiglieria e una torre con il “fanale”.
La costruzione delle fondamenta richiese, essendo in parte sul fondale fangoso antistante lo scoglio, l’utilizzo di pali di rovere similmente a quanto già avvenuto presso il molo San Carlo e Palazzo Carciotti. Cionondimeno, dopo tre anni di lavori, il Faro emetteva il 12 febbraio 1833 la sua prima luce: un lampo ogni trenta esatti secondi grazie a un innovativo meccanismo di orologeria.
Oggigiorno sede della Lega Navale di Trieste e vicino all’omonimo stabilimento balneare, il Faro della Lanterna è in stato di buona conservazione, ma soffre l’affollarsi di edifici e casupole caratterizzanti la zona: ne deriva un ridimensionamento visivo che stupirebbe i triestini d’un secolo fa.
Il colossale Faro della Vittoria
Rimane invece nell’ambito del colossale il Faro della Vittoria: 67,85 metri di altezza, 116 metri dal mare, 35 miglia di luce dal fanale, 8500 tonnellate di peso, oltre 5 milioni di lire di costruzione. Faro “combattente”, perché l’appalto fu gestito dai veterani freschi delle trincee della prima guerra mondiale: il Consorzio Cooperative ex-combattenti per la costruzione del Faro Monumentale seguì infatti passo dopo passo il progetto dell’architetto Arduino Berlam.
Considerato nel 1927 “il secondo faro del mondo: secondo, dopo la famosa statua della Libertà nel porto di New-York”, il manufatto sorgeva sulla precedente fortezza Kressich, “quasi che questo nasca dall’aggiogamento dell’opera nemica” raccontò la Rassegna mensile dei combattenti.
Monumento commemorativo
La posizione sullo sperone della collina di Gretta e le stesse dimensioni sostituirono il ruolo che era stato della Lanterna, configurandosi però all’interno delle opere commemorative della prima guerra mondiale.
Non a caso il Faro avrebbe dovuto essere collocato a Salvore, onde ricordare Nazario Sauro; e oltre a Berlam collaborò lo scultore Giovanni Mayer per la statua della Vittoria Alata in rame sbalzato e per l’effige del Marinaio Ignoto.
Si tratta di statue che, trasposte in un cimitero del primo dopoguerra, risulterebbero a proprio agio; qui il Faro diventa un monumento (funebre), getta luce sui caduti. Rientra in questa religiosità laica l’ancora appesa del cacciatorpediniere Audace e l’iscrizione che recita “Splendi e ricorda i caduti sul mare MCMXV – MCMXVIII”.
Struttura solida
Tuttavia l’approccio decorativo non detrasse dalla solidità della struttura: i fratelli Raffaello e Beniamino Battigelli, ingegneri triestini volontari di guerra, utilizzarono il cemento armato onde garantire la resistenza alla Bora “la quale esercita talvolta una pressione di 300 kg. per mq. di superficie” e “all’ipotesi di scosse telluriche di 5º grado della scala Mercalli”.
Se il basamento fu realizzato con blocchi di pietra grigia presi dalla casa del Vallone goriziano e il corpo principale in pietra da taglio di Orsera, “la bella pietra bianca che ha ornato tutta Venezia”, l’interno ebbe un’ossatura in cemento armato, al cui interno c’era un ascensore “simile a quello del campanile di San Marco”.
Meta turistica
L’ipotesi di utilizzare il Faro quale meta turistica era già presente nelle menti del Consorzio, specie all’interno dei pellegrinaggi laici nei luoghi dei combattimenti; e venne ribadita a seguito dell’inaugurazione avvenuta alla presenza del re Vittorio Emanuele III il 24 maggio 1927. Raggiungibile con il bus 41 e 42, il Faro è tutt’oggi visitabile da aprile a novembre con ingresso gratuito; e la struttura si è conservata nel complesso bene, sfuggendo alle devastazioni della seconda guerra mondiale (dipinto di verde per sfuggire ai bombardamenti alleati). Tuttavia l’impianto è rimasto fermo al 1927; non vi è mai stato ad esempio il tentativo di recuperare il sottostante fortilizio Kressich, né di ampliare l’intersezione tra civile (il faro) e militare (il monumento) offerto dalla struttura.
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