Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 14 novembre
Quasi 25 anni dopo il capostipite, “Il gladiatore 2” scatena ancora l’inferno. Dirige sempre Ridley Scott. Clint Eastwood a 94 anni firma “Giurato numero 2”, riflessione su verità e giustizia. “Da Singapore arriva “Stranger Eyes”: siamo tutti spiati... Per i romanticoni esce in sala una commedia alla Bridget Jones: “This Time Next Year”
“Al mio segnale scatenate l’inferno!”: quasi 25 anni dopo l’epopea di Massimo Decimo Meridio, Ridley Scott torna al “peplum” con “Il gladiatore 2”, in una vera e propria orgia di combattimenti.
Potrebbe essere il suo ultimo film: Clint Eastwood, a 94 anni, riflette con “Giurato numero 2” sui concetti di giustizia e di verità, attraverso il dilemma morale di un uomo chiamato a far parte di una giuria popolare in un caso di femminicidio.
“This Time Next Year – Cosa fai a Capodanno?” di Nick Moore è la commedia ideale per inguaribili romantici, orfani di Bridget Jones e della coppia Tom Hanks/Meg Ryan.
Era in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: “Stranger Eyes – Sguardi nascosti” del singaporiano Siew Hua Yeo è l’inquietante fotografia di un Paese (e di un mondo) in cui siamo tutti spiati.
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Il Gladiatore 2
Regia: Ridley Scott
Cast: Paul Mescal, Pedro Pascal, Connie Nielsen
Durata: 150’
Roboante ed enfatico, possente e insieme accattivante, il sequel de “Il gladiatore” ha sin dalle prime sequenze tutto quanto ti aspetti, tra grandi scene di massa, una realtà aumentata al computer, effetti speciali, mostri, antagonisti negativi ed eroi che prendono via via coscienza di sé e del proprio ruolo, verso un domani migliore.
E se nel primo, l’indimenticato Russell Crowe scatenava l’inferno, ma da generale diventava schiavo, qui assistiamo al percorso inverso del figlio Annone/Lucio, fatto fuggire e di fatto abbandonato nel profondo della Numidia dalla madre Lucilla, per salvarlo, che cerca di emanciparsi dalla sua schiavitù.
Tira una brutta aria a Roma con i due fratelli imperatori Caracalla e Geta, corrotti e imbelli. E quando la Numidia viene sconfitta, i suoi leader vengono trasportati in catene nel Colosseo per allietare i circenses. Tra questi Annone, che altri non è che Lucio Vero Aurelio, il figlio di Massimo Decimo Meridio, il gladiatore del primo film.
Da lì, una serie di vicende che si snodano tra lutti, congiure di palazzo e combattimenti epocali, in cui le deformazioni spettacolari di Hollywood vano ben oltre ogni attenzione filologica.
Ma a parte le scritte inglesi sul muro romano del Colosseo, gli squali sotto le navi nella battaglia navale nell’arena allagata, animali usciti da un bestiario medievale se non infernale, Ridley Scott, sempre lui, tratteggia alla fine un apologo libertario contro la corruzione dilagante della politica, nella speranza di un domani migliore e più giusto.
Sono passati ventiquattro anni dal primo e il mondo è cambiato, e anche l’industria cinematografica, ma fa sempre bello sentire un inno al melting pot e all’inclusione uscire da un peplum spettacolare come “Il Gladiatore 2”.
Alla fine il film si fa vedere, e le due ore e mezzo passano veloci, anche se Paul Mescal non è così sanguigno come Russell Crowe e il parallelo tra la politica di oggi e quella di ieri ammanta il film di un sapore allegorico un po’ forzato. (Michele Gottardi)
Voto: 6
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Giurato Numero 2
Regia: Clint Eastwood
Cast: Nicholas Hoult, Toni Colette, J.K. Simmons, Chris Messina
Durata: 114’
Sull’ultimo film del novantaquattrenne Clint Eastwood (e potrebbe, davvero, essere l’ultimo) è necessaria una premessa. Non è la sua carriera ad essere oggetto di giudizio. Se così fosse, il voto non potrebbe che essere altissimo. Il punto è se “Giurato numero 2” sia un buon film.
Per affermarlo, si deve sicuramente inquadrare anche quest’opera all’interno dell’articolato e lungo percorso cinematografico di un autore che non ha mai smesso di interrogarsi (realizzando anche grandi o grandissimi film) sul peso delle scelte, su fondamentali questioni morali, sul cambiamento e il mutamento di prospettiva.
“Giurato numero 2” si inserisce perfettamente dentro questa cornice: la storia del tragico dilemma morale di un giovane componente (Nicholas Hoult) di una giuria popolare chiamata a pronunciarsi sulla colpevolezza di un uomo accusato di femminicidio (non sveleremo altro, anche se nel film quel dilemma è il nodo gordiano della narrazione e viene manifestato sin da subito) consente a Clint Eastwood di riflettere sulle contraddizioni del sistema giudiziario, sulla dicotomia verità/giustizia, sulla umanità (intesa nel suo significato più profondo: cioè imperfetta) di una giuria composta, appunto, non da predestinati, ma da persone che hanno fretta di tornare a casa dalle proprie famiglie e non sembrano quasi mai sfiorati da un concetto di bene comune e superiore ma, semmai, gravati di un incarico di cui probabilmente avrebbero fatto a meno.
Ma il discorso è più ampio perché non investe solo il ruolo dei giurati ma di tutti coloro che fanno parte di un sistema (i giudici, i procuratori, gli avvocati, le forze di polizia) che non è necessariamente corrotto, ma può agire per schemi, per inveterate consuetudini, per urgenze e carrierismi. Insomma, per motivi e convinzioni che non sono, in fondo, scindibili dalla stessa natura umana e che, inevitabilmente, generano compromessi, semplificazioni, distorsioni anche gravi.
Su questi temi Clint Eastwood, ovviamente, getta le basi di un film dalle implicazioni densissime sulle quali si potrebbe discutere per ore o, forse, per sempre, e, del resto, il pensiero (filosofico e politico) da secoli si interroga sui massimi sistemi della giustizia umana e divina e della verità processuale e sostanziale.
Esteticamente, però, “Giurato numero 2”, proprio quella stessa densità non può che diluirla in un film necessariamente più povero e semplice (sul piano drammaturgico con qualche forzatura nella sceneggiatura), con un simbolismo a volte estenuante (i brocardi delle aule di tribunale, la dea della giustizia con i piatti della bilancia mai davvero in equilibrio) e dialoghi ad effetto (il brindisi al “nostro sistema giudiziario... che non sarà perfetto ma è quello che abbiamo”) che, almeno in parte, sono riscattati da un finale sospeso in cui il suono di una sirena della polizia e lo sguardo del procuratore esprimono, meglio di qualunque altra parola, i sensi di colpa e la resipiscenza di sistemi imperfetti.
E, allora, il probabile commiato dal cinema di Eastwood è, senza dubbio, altissimo nei temi (persino urgente, il che suona paradossale e anche un po’ tragico per un autore di 94 anni) ed è comprensibile che questo “peso” della materia trattata e del suo regista influenzino il giudizio sul film. Che non è né un capolavoro né il miglior lavoro di Eastwood, come qualcuno ha detto e scritto in un impeto agiografico di cui, per fortuna, non è ancora arrivato il momento. È un traguardo (o, magari, ancora una tappa) più che dignitoso e molto classico di una carriera ineguagliabile. (Marco Contino)
Voto: 6,5
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This Time Next Year – Cosa fai a Capodanno?
Regia: Nick Moore
Cast: Lucien Laviscount, Sophie Cookson, Mandip Gill, John Hannah
Durata: 116’
Minnie Cooper (sì, quasi come la macchina) e Quinn Hamilton sono nati quasi alla stessa ora la notte di Capodanno nello stesso ospedale. Si ritrovano trent’anni dopo, per caso, proprio il 1° gennaio. Lui è un uomo realizzato: bellissimo, elegante, ricco ma ha lo sguardo malinconico di chi nasconde dietro le apparenze un passato e un presente difficili.
La vita di lei sta andando a rotoli: il suo negozio di torte di mele sta fallendo, il fidanzato è un cretino e la sfortuna sembra perseguitarla ogni maledetto compleanno dal giorno della sua nascita. Qualcosa li attrae e li respinge ma le coincidenze non sono finite…
“This Time Next Year” di Nick Moore è una graziosa commedia romantica molto british, consapevole di arrivare tardi (e i contrattempi e gli orologi disseminati nel film non fanno, in fondo, che rimarcarlo).
Dopo la coppia Meg Ryan/Tom Hanks, dopo Bridget Jones, insomma, alla fine di un immaginario decisamente saturo. Eppure, si lascia guardare con un certo piacere: una caccia al tesoro (il bacio) sì scontata (i tira e molla, il coro di amiche, i genitori che, alla fine, sono sempre un ancora di salvezza) ma con qualche guizzo (la sequenza della proposta di matrimonio della migliore amica di Minnie) e una sorpresa finale. Per chi non ne vuole sapere di rinunciare al romanticismo. (Marco Contino)
Voto: 6
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Stranger Eyes - Sguardi nascosti
Regia: Yeo Siew-Hua
Cast: Chien-Ho Wu, Lee Kang-sheng, Anicca Panna, Vera Chen
Durata: 125’
Anche se già Alfred Hitchcock sul voyeurismo aveva già detto molto, il tema del vedere ed essere visti oggi è più che mai d’attualità.
Anche “Stranger Eyes” del regista Yeo Siew-Hua, coproduzione francese, taiwanese e americana in concorso a Venezia 81, insiste sul tema, con un inizio molto hitchcockiano. A una giovane coppia viene sottratta la figlia di nemmeno due anni, mentre è al parco giochi.
I sospetti vengono indirizzati su uno stalker della coppia, il dirimpettaio che fa avere loro video delle sue incursioni voyeuristiche. Immagini che svelano vite parallele del marito, ma più in generale della coppia, e che insieme mostrano un quadro di sofferenza e di nevrosi, comune nella società contemporanea.
Quello di vedere e di essere visti è una routine giornaliera condivisa, in particolare a Singapore che ha una sorveglianza molto stretta, al punto da essere uno dei Paesi al mondo con più telecamere pro capite.
“Stranger Eyes” riesce bene nel mescolare i generi e i punti di vista: se all’inizio parte come un thriller e mostra la prospettiva dei giovani genitori, nel tempo diventa un film di sentimento, capovolgendo lo sguardo dalla parte dello stalker.
Si scoprono così rapporti irrisolti tra genitori e figli, ma emergono anche diverse stratificazioni, tutte relative all’osservazione e all’essere osservati, correlate assieme da un ottimo montaggio. (Michele Gottardi)
Voto: 6,5
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