Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 20 febbraio

La nostra testa brulica di pensieri: arriva in sala “Follemente” di Paolo Genovese, sorta di “Inside Out” in carne e ossa. “Il seme del fico sacro” racconta la violenza del regime iraniano e l’ossessione sempre più oscura di un padre di famiglia. “L’erede” di Xavier Legrand scava alle origini del Male

Marco Contino e Michele Gottardi
Il film "Follemente"
Il film "Follemente"

Dopo “Perfetti sconosciuti”, Paolo Genovese firma un’altra commedia corale (con super cast italiano) per raccontare cosa succede nella testa di un uomo e di una donna al primo appuntamento. Tutto procede “Follemente”.

“Il seme del fico sacro” di Mohammad Rasoulof è un film importante e necessario: non è solo denuncia del regime iraniano. È una discesa nell’ossessione di un padre di famiglia e un tentativo di ribellione femminile. Candidato all’Oscar per la Germania come miglior film internazionale.

Può il Male diffondersi come una tara ereditaria? Xavier Legrand, dopo “L’affido” torna a parlare di violenza famigliare con i toni più cupi e disturbanti del thriller.

 

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Follemente

Regia: Paolo Genovese

Cast: Pilar Fogliati, Edoardo Leo, Emanuela Fanelli, Claudio Santamaria, Claudia Pandolfi, Marco Giallini, Maurizio Lastrico, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Maria Chiara Giannetta

Durata: 97’

Piero (Edoardo Leo) e Lara (Pilar Fogliati) si danno appuntamento a casa di lei per una cena. Si piacciono ma si conoscono appena. Perciò stanno sulla difensiva, si incartano, si imbarazzano, si mostrano, spesso, per quello che non sono, seminando qua e là indizi di sincerità. Se solo i loro pensieri più profondi potessero parlare liberamente! Forse sarebbe un disastro o forse no …

La nuova commedia di Paolo Genovese - Follemente - sviluppa l’idea (non originale) che dentro la nostra testa si agitino emozioni/comportamenti dalle sembianze umane che fanno a gara per imporsi.

Nella specie, la materia grigia di Piero è abitata da Romeo (Lastrico) che rappresenta la sua parte romantica, dall’arrapato Eros (Santamaria), da un Super-io campione di razionalità (Giallini) e dal folle e paranoico Valium (Papaleo).

Nel cervello di Lara, invece, si punzecchiano Giulietta (Puccini), sognatrice e sensibile, l’imprevedibile Scheggia (Giannetta), l’ideologica e quadrata Alfa (Pandolfi) e Trilli (Fanelli) che pensa sempre al sesso. Inevitabile che il primo appuntamento tra un uomo e una donna delusi dall’amore scateni una tempesta cerebrale che svela tutte le contraddizioni di genere, cela i desideri autentici per le apparenze più presentabili, frena o accelera gli istinti.

Genovese mette in scena il duello amoroso tra Piero e Lara ma, soprattutto, la battaglia tra i loro “burattinai” mentali che, ad un certo punto, si ritrovano dentro la stessa arena immaginaria per scoprire che, forse, le sensibilità maschili e femminili non sono così diverse e neppure così lontane.

Se Genovese, con i suoi cinque sceneggiatori (Piccolo, Aguilar, Calamaro, Costella e Gressi) non inventa nulla, riesce, comunque a costruire una relazione sinaptica con lo spettatore, giocando con qualcosa che è familiare a tutti noi, soprattutto nelle relazioni con l’altro sesso, improntate (almeno inizialmente) al camuffamento, al voler fare bella figura quando l’istinto, invece, suggerirebbe altri comportamenti.

Ne esce un film abbastanza equilibrato (anche se le voci interiori finiscono, naturalmente, per congelare un po’ l’azione, facendo affiorare spesso la noia), con alcune sequenze esilaranti

(l’orgasmo, su tutti, memore di un celebre episodio di “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere” di Woody Allen) e Fanelli e Santamaria autentici mattatori a scapito delle altre “emozioni”.

Una commedia corale che, pur senza strafare, riesce anche a far riflettere sull’autosabotaggio che il nostro cervello, spesso, è in grado di macchinare tanto per seminare la vita di ulteriori ostacoli alla felicità. (Marco Contino)

Voto: 6

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Il seme del fico sacro

Regia: Mohammad Rasoulof

Cast: Soheila Golestani, Missagh Zareh, Mahsa Rostami, Setareh Malek, Niousha Akhshi

Durata: 168’

Il film "Il seme del fico sacro"
Il film "Il seme del fico sacro"

Nella prima inquadratura c’è già il senso di questo piccolo grande film di Mohammad Rasoulof: primo piano di due mani che scaricano una rivoltella, i cui proiettili rimbalzano sul tavolo, a fianco un foglio e una penna. Altre due mani firmano qualcosa, capiremo poi che si tratta della consegna della pistola.

Segretezza, insicurezza, violenza sottotraccia pronta a esplodere, difesa, attacco: in quei pochi gesti c’è tutto “Il seme del fico sacro”, ma soprattutto della situazione politica nell’Iran teocratico degli ayatollah.

Una condizione dalla quale il regista è riuscito a prescindere, fuggendo in Occidente e presentando il film a Cannes lo scorso anno, dove ha vinto il premio speciale della giuria e ora è candidato all’Oscar per il miglior film internazionale, con la bandiera della Germania che l’ha coprodotto e accolto.

Teheran, autunno 2022: mentre in piazza si susseguono le manifestazioni popolari e femminili al grido di “Donna, vita, libertà”, per protestare contro la morte di Masha Amini e per l’emancipazione della donna, Imam riceve finalmente la promozione a giudice istruttore del tribunale della Guardia rivoluzionaria, ed è subito costretto a fare i conti con le contraddizioni e il peso psicologico del nuovo ruolo.

Mentre le sue figlie, Rezvan e Sana, sono scioccate e allo stesso tempo elettrizzate dagli eventi, la moglie Najmeh cerca di fare del suo meglio per tenere insieme la famiglia. Ma, quando Iman scopre che la sua pistola d'ordinanza è sparita, inizia a sospettare delle tre donne. Spaventato dal rischio di rovinare la sua reputazione e di perdere il lavoro, diventa sempre più paranoico e inizia, in casa propria, un'indagine in cui vengono oltrepassati tutti i confini umani e legali.

Sin dal titolo – che si riferisce a un tipo di pianta che si diffonde avviluppando e strangolando gli alberi con cui si marita, simbolo del regime teocratico iraniano - “Il seme del fico sacro” è un film intenso, militante si sarebbe detto in un tempo lontano, accorato e insieme lucido, che non denuncia solo, ma documenta, testimonia, divulga.

E ha il pregio di attraversare stili e generi diversi, partendo dal film politico e finendo come un horror maniacale e ossessivo.

Girato in clandestinità e completato in Europa, anche grazie a un cast impegnato e corale, “Il seme del fico sacro” mette bene in risalto il livello di paranoia e la sindrome di accerchiamento (interno ed esterno) in cui vivono gli uomini del regime. La perdita della pistola diventa l’occasione per Imam per far emergere la sua peggior natura, intrinsecamente connessa con la concezione elitaria e segregazionista che il regime ha della donna.

Ed è tanto più grave in quanto Imam è un “uomo buono” che prima di firmare le condanne a morte viene preso da rimorsi e sensi di colpa. Ma la risposta delle donne difronte alla barbarie dell’uomo mostra come solo un fronte comune tra generazioni e posizioni diverse permetterà alla Persia di andar oltre questo regime. (Michele Gottardi)

Voto: 7,5

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L’erede

Regia: Xavier Legrand Cast: Marc-André Grondin, Yves Jacques, Laetitia Isambert-Denis, Anne-Élisabeth Bossé

Durata: 112’

Il film "L'erede"
Il film "L'erede"

Dopo il dramma sulla violenza domestica (L’affido), doppio premio alla Mostra del Cinema di Venezia del 2017 (miglior regia e opera prima), Xavier Legrand torna a parlare di brutalità famigliare, con i toni ancora più cupi e disturbanti del thriller.

Ellias Barnès (Marc-André Grondin) è, come da titolo, “L’erede”. Professionalmente, è il successore, in qualità di direttore artistico, di una famosa casa di moda a Parigi e sta per essere incoronato come nuovo principe della haute cotture.

Ma proprio durante i giorni del suo “insediamento”, è costretto a volare in Canada dove è appena scomparso il padre. Ellias (il cui vero nome, quando abitava in Quebec, era Sebastian) è, di fatto, l’unico erede che possa occuparsi delle pratiche post mortem sebbene abbia tagliato i ponti con il padre molti anni prima (in una sequenza del film dirà di “aver fatto di tutto per non essere come lui”).

Di cosa potrà essersi macchiato quell’uomo per meritare l’oblio da parte del figlio? E cosa nasconde il seminterrato della casa paterna che Ellias/Sebastian deve svuotare? Di più non si può dire ma, in fondo, nemmeno il regista spiega tutto, anzi.

 

Al di là di una terrificante epifania, “L’erede” - ed questo l’aspetto più interessante del film – lavora quasi a livello inconscio, interrogandosi sull’origine del Male e su come lo stesso possa attecchire come tara ereditaria.

Sin dall’inizio, Ellias sembra in qualche modo l’incarnazione di un rimosso, di qualcosa che, avviluppandosi attorno a lui (come la spirale della sfilata di moda che apre il film), lo strangola, non facendolo respirare. Di una resistenza che sembra destinata a cedere … È una lenta e inesorabile presa di coscienza che, con il temuto arrivo in Canada, diventa persino fonetica, in quel “riprendersi” un accento perso o, meglio, seppellito anni prima in Francia.

Se in questa parabola del Male e sul Male (con echi da tragedia greca e giustizia del taglione: una figlia per un figlio …) Legrand dimostra di saper usare con intelligenza i codici del genere, l’incompiutezza generale del film (come punto di forza iniziale) si trasforma, allo stesso tempo, nella sua intrinseca debolezza, come se quella spirale non portasse, realmente, in alcun altrove. (Marco Contino)

Voto: 6,5

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