Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 7 novembre
Arriva in sala “Anora”, l’ultima Palma d’oro a Cannes firmata da Sean Baker, commedia scatenata con morale politica. Michele Placido racconta il “suo” Luigi Pirandello in “Eterno visionario”, tra ossessioni, fantasmi e infelicità che si fa arte: viscerale ma scomposto. Tra bugie e pregiudizi, esce in sala, distribuito dalla padovana Trent Film, l’opera prima di Una Gunjak, “La gita scolastica”, menzione speciale a Locarno, designata dalla Bosnia-Erzegovina per l'Oscar 2024. Incantevole “Flow – Un mondo da salvare” del regista lèttone Gints Zilbalodis: film di animazione che ha per protagonista un gatto, metafora di una nuova solidarietà che, agli umani, non appartiene più (e, forse, li ha fatti estinguere). Dopo l’anteprima di Halloween da un milione e mezzo di euro di incasso, “Terrifier 3” invade i cinema con il suo sadico protagonista Art il clow: slasher movie dal successo inspiegabile, ma non chiamatelo “cult”
Anora
Regia: Sean Baker
Cast: Mikey Madison, Mark Eydelshteyn, Yuriy Borisov, Karren Karagulian
Durata: 94’
Sean Baker è un regista indipendente - il precedente lungometraggio, “Tangerine” l’ha girato con l’IPhone – che è approdato all’Universal, ma che mantiene totalmente i requisiti del cinema indie, imprevedibilità, temi morali svillaneggiati e destrutturati, come i generi cinematografici dai quali attinge a pieni mane, anche in questo film, un mix divertente e agrodolce tra “Pretty woman” e i bravi ragazzi di Martin Sorsese.
“Anora” (Mikey Madison, una delle ragazze di Manson in “C’era una volta a… Hollywood”) è una spogliarellista che arrotonda offrendo sesso a pagamento, anche all’arrapatissimo Vanya, ragazzo russo pieno di soldi perché figlio di un oligarca, un po’ efebico e un po’ molto nerd, 21 anni contro i 23 di lei che pare ne abbia almeno dieci di più, quanto a esperienza sessuale e ingegno. Al punto da pensare di poter incastraci qualcosa di grosso, economicamente parlando. Così i due finiscono a Las Vegas, e tra un sesso e l’altro, scoppia l’amore e si sposano.
Ma i genitori oligarchi non sembrano esserne troppo felici al punto da mandare una squadra di pronto intervento con un improbabile pope a capo, per recuperare il figlio prediletto e salvarlo dal peccato.
E siccome il diavolo non veste solo Prada, di cose ne succedono in un’escalation di divertissement, di inseguimenti, violenze non proprio da ridere e un linguaggio altrettanto trash. Ma a sorreggere ed apprezzare il film stanno una scrittura ricca e imprevedibile e una recitazione perfetta di ogni singolo protagonista o spalla.
Si ride, invece, eccome, per un buon due terzi del film, a riprova che anche i film divertenti possono avere il loro valore e magari vincere un festival, come è capitato ad “Anora” che ha vinto la palma d’oro a Cannes 2024.
Il genere commedia brillante si evolve in modo ulteriormente sofisticato e dark spostandosi da Las Vegas e New York e virando nel sentimentale, dove però l’happy end non è così dietro l’angolo, affatto scontato. Il finale infatti conferma come i sogni spesso muoiano all’alba, ma soprattutto che la dinamica tra buoni e cattivi non esiste solo nella commedia ed è difficile da scardinare. (Michele Gottardi)
Voto: 7
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Eterno visionario
Regia: Michele Placido
Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Federica Luna Vincenti, Giancarlo Commare, Aurora Giovinazzo, Michele Placido, Ute Lemper
Durata: 112’
Chissà quante volte Michele Placido avrebbe voluto parlare con Luigi Pirandello, conoscere il Maestro, esprimergli la propria riconoscenza. Forse, per questo, nel film da lui diretto (il quindicesimo) - Eterno visionario - si ritaglia un piccolo, importante ruolo: quello dell’agente letterario del grande scrittore che, in una delle sequenze finali, sta per confidargli, finalmente, qualcosa di importante, dopo aver atteso una vita.
Ma viene interrotto (ironia della sorte da un ciak sul set di Pierre Chenal che sta girando “Il fu Mattia Pascal” tratto da uno dei romanzi più famosi di Pirandello). “Eterno visionario” è, in fondo, un film di interruzioni, di iati, di pause sofferte.
Placido, nel ripercorrere la vita di Pirandello (Fabrizio Bentivolgio) mentre si sta recando a Stoccolma per ricevere il Premio Nobel, non si sofferma tanto sui successi. Gli interessano le ossessioni e i pensieri più intimi che, tuttavia, hanno una dolorosa pesantezza e gravità, si fanno quasi carnali, duri e ruvidi come le assi di legno di un palcoscenico.
Sono fantasmi che si fanno demoni. La tragedia della solfatara di proprietà della famiglia nella Sicilia arcaica di Girgenti, la follia della moglie Antonietta (Valeria Bruni Tedeschi: perché sempre nel ruolo di una pazza?), il rapporto complicato con i tre figli, sovrastati dalla figura del padre, l’amore professionale, e non solo, per Marta Abba (Federica Luna Vincenti), sua musa ispiratrice e punta di diamante della sua compagnia teatrale, le compromissioni con il fascismo, il sogno del cinematografo nella Berlino dei cabaret di Kurt Weil (con l’epifania di Ute Lemper), l’arte come vendetta per essere nato.
La visceralità di Michele Placido nel mettere in scena l’infelicità di Pirandello sembra sincera e urgente ma, ovviamente, porta con sé tutti i difetti di una rappresentazione di pancia.
“Eterno visionario” assume spesso una postura scomposta (non tanto per i salti temporali della storia, quanto per la foga di voler dire tutto, anche quando non sarebbe necessario), eccessiva, schematica, amplificata da una recitazione volutamente teatrale che dilata il diaframma tra schermo e spettatore.
Una dichiarazione d’amore del regista di cui si intuisce l’intensità ma che rimane, interrotta, in punta di lingua. (Marco Contino)
Voto: 5.5
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La gita scolastica
Regia: Una Gunjak
Cast: Asja Zara Lagumdžija, Nađa Spaho, Maja Izetbegović
Durata: 94’
Com’è diventare adulti, per una giovane adolescente di oggi, ma anche nel più ampio e complesso panorama del mondo contemporaneo dei social? La regista bosniaca Una Gunjak, esordiente in un lungometraggio, presenta un piccolo film di sguardi e sentimenti, ma anche di parole, eccessive o negate, tutto incentrato sulle conseguenze di una bugia inventata tra i banchi di scuola, un film che ha avuto un discreto successo in patria (candidato per la Bosnia agli Oscar) e nei festival, ricevendo la menzione speciale a Locarno.
"La gita scolastica" racconta l’invenzione di Iman, una teenager che per gioco confessa alle compagne di essere andata a letto con il ragazzo dei suoi sogni.
Ma come spesso accade in questi giochetti, amplificati a dismisura da Whatsapp e Instagram, la ragazza rimane sempre più intrappolata nella sua bugia, che attraverso i compagni di scuola finisce agli insegnanti e ai genitori, diventando un caso in tutta la scuola proprio mentre fervono i preparativi per la gita scolastica in Italia, facendo emergere arcaici rapporti di potere ancorati al patriarcato.
La finzione cinematografica parte però da un piccolo grande scandalo che scosse la Bosnia Erzegovina, qualche anno fa, quando emerse la storia di un gruppo di sette tredicenni della stessa classe rimaste incinte durante una gita scolastica.
Tra indignazione e incredulità le ragazze furono giudicate, accusate e umiliate su media nazionali e piattaforme digitali, finendo persino sulla stampa internazionale.
La scelta di Una Gunjak resta su un livello più intimo e personale, girando attorno ai sogni, ai desideri e agli scontri dell’adolescenza, con leggerezza, ma senza tralasciare luoghi comuni e falsità borghesi, ben incarnate dalle assemblee dei genitori prima della gita.
Camera a spalla, la regista indaga negli animi delle protagoniste, quasi tutte ragazze o madri, disvela le ipocrisie della società, ma, volutamente, non giunge a un verdetto, a una soluzione, mostra come ogni azione, anche scherzosa, abbia le sue conseguenze e come queste vadano ben al di là della portata dell’azione iniziale. Sullo sfondo Sarajevo offre uno spaccato metropolitano sulle note della musica hip-hop. (Michele Gottardi)
Voto: 6.5
Flow – Un mondo da salvare
Regia: Gints Zilbalodis
Durata: 84’
Un mondo arcaico, lussureggiante. L’uomo sembra essersi estinto: della sua specie restano solo vestigia monumentali ormai inghiottite dalla natura. Ma gli animali sono sopravvissuti.
In particolare, un gatto si aggira tra prati e rovine fino a quando una alluvione biblica sommerge ogni cosa e il gatto si ritrova aggrappato a una scalcinata imbarcazione a vela insieme a un pigro capibara, un lemure vanitoso, un labrador cuor contento e una specie cicogna che pare minacciosa.
Intanto la barca va: tra incontri con altri animali, piogge, tempeste e risacche che mettono a rischio l’equipaggio, su questa novella Arca di Noè si semina una solidarietà che supera e sublima l’individualismo istintivo e animalesco in qualcosa che assomiglia al bene comune, alla compassione (meravigliosa la sequenza finale), a quel “restare umani” che non ci appartiene più e di cui, metaforicamente, si fanno portatori proprio le bestie e, in particolare, un gatto che, nella immaginazione collettiva, è quello tra gli animali che sembra non avere bisogno di nessuno.
“Flow – Un mondo da salvare”, diretto dal regista lèttone Gints Zilbalodis, è un incantevole film di animazione, sospeso tra grafica computerizzata, impronta artigianale e pixel da videogame, che, pur avvinghiato a solide radici poetiche e filosofiche, resta una avventura avvincente, capace di ammaliare un pubblico larghissimo (il film non è parlato e, quindi, adatto anche a bambini molto piccoli), senza, per questo, rinunciare a parlare, singolarmente, a ogni spettatore, nel suo stratificarsi tra un livello di percezione elementare (con uno studio dei comportamenti, in particolare quello del gatto, stupefacente e realistico) e una riflessione profonda e struggente sulla convivenza. (Marco Contino)
Voto: 7
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Terrifier 3
Regia: Damien Leone
Cast: Lauren LaVera, Elliott Fullam, Samantha Scaffidi e David Howard Thornton
Durata: 125’
Fenomeno di costume, in un solo giorno di programmazione (anteprima in tutta Italia nella notte di Halloween) ha incassato oltre un milione e mezzo di euro. Ora “Terrifier 3”, nuovo capitolo della saga di Damien Leone che ha per protagonista il sadico Art il clown, esce a tappeto nelle sale italiane con un divieto ai minori di 18 anni che, se possibile, amplifica le aspettative dei cultori del genere “slasher” (ovvero l’horror più sanguinario e cruento).
È un successo non facilmente spiegabile quello di “Terrifier” (la cui fama è anche legata a presunti malori sul set durante la lavorazione e tra il pubblico durante le proiezioni) che, in fondo, non innova, ha una trama trascurabile (quasi un riempitivo tra una efferata esecuzione e l’altra) e, quel che è peggio, mostra una violenza che non è mai autenticamente dissacrante, ironica o il portato di incubi sociali contemporanei. È solo fine a se stessa.
Di fronte a capostipiti del genere come “Halloween”, “Venerdì 13” e “Nightmare” (per non parlare di “Non aprite quella porta”), “Terrifier” è una copia in bianco e nero come il suo clown muto che, nel terzo capitolo, si diverte a squartare e infliggere le più rivoltanti torture alle proprie vittime vestito da Santa Claus sotto le feste natalizie.
Non è questione di moralità della violenza (chi frequenta il genere sa cosa si troverà davanti e ne vorrà sempre di più e in modo sempre più estremo): la verità è che il film è esile, infantile, derivativo e anche piuttosto sciocco. Ma ha il suo seguito e lo rispettiamo. Ma, per favore, non si parli di cult (piuttosto di una ben congegnata macchina da soldi che sfrutterà la vena con altri sequel fino alla sua inevitabile e, speriamo, non troppo differita, necrotizzazione). (Marco Contino)
Voto: 4
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