Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 9 gennaio
Sarà uno dei film dell’anno: il musical narco-trans di Jacques Audiard “Emilia Pérez” arriva finalmente in sala. Incredibile Robert Zemeckis che, in “Here”, racconta la vita che scorre con una sola inquadratura fissa, dall’era dei dinosauri a oggi. Non esce al cinema ma è grandissimo cinema: “M - Il figlio del secolo”, tratto da Antonio Scurati, è imperdibile
Jacques Audiard firma “Emilia Pérez”, storia di un feroce boss della droga che diventa donna. Un musical/non musical trascinante che farà incetta di nomination agli Oscar e che ha già trionfato ai Golden Globes.
Robert Zemeckis riunisce Tom Hanks e Robin Wright (dai tempi di “Forrest Gump”) in “Here”, riflessione sulla vita, ispirata dalla graphic novel di Richard McGuire, utilizzando un’unica inquadratura statica per tutta la durata del film (o quasi).
Sarà su Sky dal prossimo 10 gennaio ma chiamarla serie sarebbe riduttivo. “M – Il figlio del secolo” di Joe Wright è, in realtà, un film lunghissimo (8 episodi) sull’ascesa di Benito Mussolini, interpretato da un gigantesco Luca Marinelli. Che cinema!
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Emilia Pérez
Regia: Jacques Audiard
Cast: Zoe Saldana, Karla Sofía Gascón, Selena Gomez, Adriana Paz, Edgar Ramirez.
Durata: 130’
Un film folle (già sulla carta) sul cambiamento, la transizione, il passaggio. “Emilia Pérez” di Jacques Audiard (fresco di 4 Golden Globes vinti e probabile titolo da una decina di nomination all’Oscar) spiazza, commuove, mescola le carte a un ritmo forsennato e se ne infischia della verosimiglianza, disegnando una parabola sul disfacimento di un certo canone machista attraverso la destrutturazione di un genere (il musical) che non è, mai, solo un alternarsi di digressioni canore, ma arriva a sublimare e ad esorcizzare un costante rumore bianco di violenza che l’autore francese ha, da sempre, nelle proprie corde.
A leggere la sinossi del film, il dubbio di assistere ad una parodia è forte. Manitas del Monte è un crudele boss nel narcotraffico messicano con moglie (Selena Gomez) e figli. Ma, dentro, si sente, da sempre, una donna. Per questo assolda Rita Moro Castro (Zoe Saldana) - avvocatessa brillante, ma anonima, in uno studio che la sfrutta e fa assolvere criminali accusati di uxoricidio - perché organizzi in modo discreto la sua transizione, simulandone la morte.
Qualche anno dopo, Rita, unica depositaria della verità e, ormai, professionista di successo, incrocia di nuovo Manitas che, nel frattempo, è diventata Emilia Pérez (l’interprete transgender Karla Sofia Gascón): l’ex criminale sente ancora il richiamo dei figli e quello di un pentimento che porta Rita ed Emilia a stringere un fortissimo sodalizio e a fondare una associazione con la missione di restituire ai familiari i corpi delle vittime del narcotraffico.
Ma la passione e il ravvedimento hanno un costo altissimo. Inquadratura dopo inquadratura, canzone dopo canzone (le musiche sono di Camille e Clément Ducol), Jacques Audiard traghetta il musical nei territori del thriller e del melò, in cui brutalità e dolcezza (come nella struggente sequenza canora di uno dei figli che annusa in Emilia gli odori inconfondibili del papà creduto morto) si rincorrono e il sovraccarico di elementi kitsch e over-size sembra sempre sul punto di far esplodere il film.
Che, invece, non solo rimane saldamente in piedi, ma ammalia e trascina fino al suo epilogo amaro ed emolliente allo stesso tempo. Sul campo Audiard deve, naturalmente, sacrificare qualcosa in questa sua costruzione iperbolica ed esuberante: ma se la drammaturgia non è certamente a prova di grimaldello, poco importa.
Emilia e Rita si stagliano, in questa improbabile rifondazione morale, come due eroine che accettano e accolgono il cambiamento, smontano, letteralmente, la retorica maschile e si reinventano oltre il genere, la professione, l’individualità, dando sfogo ai loro sentimenti repressi. “Emilia Pérez” sarà un titolo divisivo, ma la forza dei suoi protagonisti non può lasciare indifferenti. (Marco Contino)
Voto: 8
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Here
Regia: Robert Zemeckis
Cast: Tom Hanks, Robin Wright, Kelly Reilly, Michelle Dockery, Paul Bettany, Ophelia Lovibond, Jonathan Aris
Durata: 104’
Un’idea semplice, ma straordinaria, l’antica unità di spazio usata come una sporta di diorama per attraversare il tempo. Una casa come finestra, è l’immagine-tempo cara a Gilles Deleuze che prende forma e sostanza, nei secoli: è “Here”, il nuovo film di Robert Zemeckis, che, arrivato alla soglia dei 70 anni, guarda allo scorrere dell’esistenza in modo forse un po’ nostalgico, ma sempre appassionato e innovativo com’era stato in “Forrest Gump”, del quale richiama in servizio la coppia protagonista di Tom Hanks e Robin Wright.
Al fondo c’è sempre il ragazzo che si divertiva con le scorribande di “Ritorno al futuro”, che correva in equilibrio tra la vite e la morte, sia in situazione involontarie (“Cast away”) che operate per scelta (“The walk”), siano umani o creature di fantasia, da Pinocchio a Roger Rabbit.
La stessa origine di “Here” trae spunto da una novel graphic molto famosa di Richard McGuire, che Zemeckis trasforma in una visione a camera fissa verso un luogo che si evolve dalla preistoria alla nascita degli Stati Uniti (con nativi e Benjamin Franklin che passano di lì) e poi tra Otto e Novecento, alternando famiglie bohemienne piena di inventiva ad altri protagonisti col vizio del volo, ma che muoiono di spagnola, sino agli afroamericani post-Covid.
In mezzo, la struttura portante è quella del duo Hanks-Wright, che a sua volta attraversa oltre mezzo secolo, mostrando un discutibile, quanto indubbio radicamento nel luogo e nella casa. È una narrazione per quadri sovrapposti, montati alternati dal punto di vista diegetico, ma anche visuale, come evidenziano le soluzioni delle finestre metatemporali che si aprono sullo schermo, facendo scorrere la storia degli uni contemporaneamente a quelle degli altri.
E su tutti, e soprattutto sul tempo che scorre e passa inesorabile, un uccello variopinto, una sorta di colibrì che unisce le storie, dall’inizio alla fine, come la piuma di “Forrest Gump”, a testimoniare la grandezza dell’esistenza e la leggerezza di un modello di vita e di cinema, mente il dolly, o forse ormai un drone, si alza sopra il villaggio e per la prima volta ci mostra prima il controcampo del resto della casa e poi l’esterno, quello che c’è oltre il qui della nostra realtà. (Michele Gottardi)
Voto: 8
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M – Il figlio del secolo
Regia: Joe Wright
Cast: Luca Marinelli, Francesco Russo, Barbara Chichiarelli, Paolo Pierobon, Elena Lietti, Lorenzo Zurzolo, Gaetano Bruno
Episodi: 8 dal 10 gennaio 2025
Piattaforma: Sky/Now Tv
Il profilo di Benito Mussolini si inerpica su un enorme braccio teso colto nel gesto del saluto fascista. Sin dal suo manifesto, “M. Il figlio del secolo” - la serie tratta dal romanzo di Antonio Scurati, da venerdì 10 gennaio in esclusiva su Sky - annuncia l’ascesa irresistibile del Duce.
Lui, Mussolini: l’uomo più amato e odiato della storia d’Italia. Come sbraita, nella prima sequenza della serie, la voce di Luca Marinelli (interprete gigantesco, mai fagocitato da una mimesi macchiettistica): «Mi avete amato follemente, per vent’anni mi avete adorato e temuto come una divinità. E poi mi avete follemente odiato, perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato, scempiato i miei resti perché di quel folle amore avevate paura. Anche da morto. Ma ditemi a cosa è servito. Guardatevi intorno… Siamo ancora tra voi».
Gli otto episodi di “M” sono diretti da Joe Wright, capace di realizzare un’opera techno-pop, incalzante, rutilante, rischiosissima. Perché, nella prima parte, la seduzione e il magnetismo di Mussolini sono quasi schiaccianti attraverso quel dialogo diretto (sguardo, complice, in macchina) che il Duce intrattiene con lo spettatore.
Il carisma di Mussolini tracima, mentre lo si vede fiutare “quel” secolo, cercare il polso della folla, arringare i “cani fascisti”, sedurre le donne (la moglie Rachele, l’amante veneziana Margherita Sarfatti, Ida Dalser confinata in manicomio) e detronizzare il Vate D’Annunzio (interpretato da Paolo Pierobon). Fino alla svolta, anche estetica, rappresentata dall’omicidio Matteotti. Da qui in poi lo sguardo di Wright si imputridisce, si monda dal sospetto di correità: la distanza da Mussolini ora è incolmabile con la moglie del socialista assassinato (uno splendido cameo di Elena Lietti) che diventa incubo, fantasma, ossessione.
“M” è un’opera storica pensata e realizzata come contemporanea, che si ispira al cinema di Vertov, a “Scarface”, alla cultura rave degli anni ’90, in un collage tra bianco e nero e colori acidi estremi e una colonna sonora debordante (composta da Tom Rowlands dei “Chemical Brothers”). Cento anni fa (il 3 gennaio del 1925) Mussolini pronunciava in parlamento il discorso sul delitto Matteotti (sul quale si chiude la prima stagione della serie): il silenzio di chi poteva fermarlo si fa più assordante dell’urlo di guerra “Eia eia eia, alala”. (Marco Contino)
Voto: 9,5
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