Frida Kahlo, storia di una ribelle
La pittrice messicana costruì una sua mitografia a partire dalla data di nascita. Lo storico dell’arte D’Orazio: «È diventata un simbolo di autonomia per le donne»

Frida Kahlo, pittrice messicana, è stata protagonista del mondo artistico, politico, intellettuale degli anni trenta, quando Città del Messico era diventata una delle città culturalmente più vivaci del mondo. A raccontare la sua vita e le sue opere è Costantino D’Orazio, storico dell’arte, organizzatore di mostre, divulgatore televisivo tra i più noti.
Da quale punto di vista Frida Kahlo è stata una ribelle? Più dal punto di vista artistico, politico, dei comportamenti?
«Nel suo caso sono elementi inscindibili perché la ribellione abbraccia l’intera sua identità, tutto il suo atteggiamento nei confronti della storia, della società e anche delle persone che le sono più vicine. Faccio soltanto un esempio: lei è nata nel 1907, ma in realtà ha sempre indicato e dichiarato di essere nata nel 1910, cioè nell’anno della rivoluzione messicana. Costruisce una sua mitografia, a partire dalla data di nascita, per poter risultare, anche simbolicamente, un personaggio capace di rompere gli schemi». Però non liquida il passato.
«Il suo è uno strano sguardo sulle tradizioni messicane, un rapporto controverso. Il modo in cui si veste, le immagini che riproduce hanno molto a che vedere con la tradizione popolare messicana, ma in una chiave assolutamente futuribile, simbolica e quindi molto contemporanea».
È una personalità forte, dirompente, eppure verso Diego Rivera sembra essere in soggezione?
«Quella di Frida per Diego è una vera e propria devozione, che affonda in un’età ancora precedente all’incontro e al matrimonio. Lui non lo ricordava nemmeno, ma lei era andata a incontrarlo in modo molto fugace quando era ancora adolescente sui ponteggi di un grande murale a Città del Messico. Lei va a cercarlo come maestro prima di tutto e poi come partner, come compagno. Quindi da una parte c’è la devozione per ciò che l’uomo rappresenta, ma dall’altra anche un rapporto conflittuale. Sembra sottomettersi in alcuni casi, come la donna all’epoca si sottometteva all’uomo, ma allo stesso tempo manifesta una grande forza, tanto da determinare le scelte che lui fa. E nel momento in cui, dopo i numerosi tradimenti che comunque aveva accettato, scopre che la tradisce con la sorella più piccola, Cristina, decide di divorziare, salvo poi risposarlo qualche tempo dopo. Ne ammira sconfinatamente il talento, rispetta la sua autorità dal punto di vista culturale ma allo stesso tempo esercita su di lui un controllo».
Frida si ribella anche alla repressione della sfera sessuale? È una donna completamente libera.
«Su questo piano credo che abbia determinato le sue scelte il famoso incidente sull’autobus che ha avuto quando aveva 17 anni. Tra i tanti danni che il suo corpo subisce, c’è anche quello causato dal distacco di un elemento di sostegno che penetra il corpo di Frida e lei stessa dichiarerà di aver perso in quell’occasione la verginità. Ora, questo traumatico evento ha delle implicazioni formidabili dal punto di vista fisico ma anche psicologico. Questo trauma è anche quello che in qualche modo la libera, determinando le sue scelte sul piano della sessualità. Non dobbiamo dimenticare che gli abiti tradizionali che lei veste sono quelli di una comunità messicana nota per avere una società matriarcale, quindi anche dal punto di vista della dell’abbigliamento, è una donna che vuole affermare un ruolo femminile fortissimo nella società. Le sue scelte libertarie dal punto di vista sessuale sono anche delle scelte politiche».
Pittoricamente quanto pesa il rapporto con Rivera?
«Frida Kahlo ha maturato un linguaggio molto personale che ha semmai legami col surrealismo francese, malgrado lei abbia dichiarato più volte di non riconoscersi in esso. Aveva frequentato i loro caffè, le loro inaugurazioni ma poi aveva deciso di tornare in Messico, dichiarando che appunto non si sentiva vicino alle istanze surrealiste. In realtà, però, nel momento in cui compone i suoi capolavori l’atteggiamento surrealista è assolutamente presente e indiscutibile quando associa il suo autoritratto (il suo tema prediletto) a simboli che riguardano la cultura in cui è cresciuta, ad atmosfere oniriche, a metamorfosi tra uomini e animali care anche a Savinio, a sdoppiamenti tra maschile e femminile. Quindi lei è un outsider, da un certo punto di vista, ma lo è traducendo gli atteggiamenti e i modi e i temi surrealisti nel contesto messicano».
Negli ultimi anni il personaggio Frida è stato rivisitato in ogni modo. Questo ha cambiato la lettura delle opere?
«Quando il mito supera l’artista questo può succedere, si possono fraintendere le opere. Nel caso di Frida, però, il fatto che lei abbia sempre lavorato su se stessa, sul suo volto, sulla sua storia personale intrecciata a quella nazionale, cancella questo rischio. La fama assunta dal personaggio è uno stimolo per entrare di più nel suo mondo. In fondo Frida ha utilizzato il suo corpo per affermare delle istanze politiche. Quindi credo che avrebbe molto apprezzato la popolarità che oggi le viene riconosciuta».
Ha lasciato una eredità artistica?
«Ha lasciato una traccia molto forte, più nell’atteggiamento, nel ruolo delle donne artiste che sul piano strettamente artistico. È diventata il simbolo della autonomia culturale, artistica, intellettuale che le donne hanno sempre faticato nel corso dei secoli a ottenere».
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