Giorgio Lago e il federalismo che manca: «Ci vorrebbe un altro come lui»
L’incontro al Palazzo del Bo dell’Università di Padova per i vent’anni dalla scomparsa del giornalista veneto. Presenti, tra gli altri: Possamai, Mapelli, De Bortoli, Diamanti

Sembrava di vederlo seduto in prima fila con la gamba accavallata che si lisciava la giacca, lui elegante d’animo e di stile. Seduto ad ascoltare lo stato dell’arte del “suo” amato Nordest, forse non così in salute come avrebbe voluto vent’anni dopo la sua morte.
Il copyright è suo, Nordest scritto senza trattino, che Giorgio Lago inventò mentre ascoltava le previsioni meteo a Castelfranco. Ce lo confessa l’ultima sua segretaria, la signora Anna Cortesi, in terza fila, emozionata e nostalgica. Giovedì 13 marzo erano tantissimi i presenti riuniti attorno al suo nome e al suo insegnamento nell’aula magna del Palazzo del Bo dell’Università di Padova «che con Lago ha sempre avuto un legame speciale e un rapporto privilegiato» ha sottolineato la rettrice Daniela Mapelli.
Nostalgia è stata la parola chiave della tavola rotonda “Il federalismo tra Giorgio Lago e oggi”. Il sogno federalista di Lago sembra appartenere al passato. «È una stagione storica conclusa?» ha chiesto il direttore editoriale di Nem Paolo Possamai al politologo Ilvo Diamanti: «Per Lago il Nordest rappresentava una particolare zona che si differenziava dal Nord, che aveva una sua precisa autonomia».
«C’è un crollo d’interesse nei confronti di tutti i tipi di riforme – ha sottolineato Diamanti –. L’unica regione a Nordest in cui c’è grande attenzione sull’autonomia è il Veneto perché è circondato da Regioni autonome, privilegiate. L’autonomia differenziata si è declinata. Su base nazionale il federalismo è un problema, più che un obiettivo perché per molte aree rappresenterebbe uno svantaggio».
Lago si autodefiniva un “Inguaribile riformista”: «Sarebbe guarito anche lui di fronte ad un Paese che almeno in apparenza sembra essersi disinnamorato di qualsiasi slancio sul tema delle riforme nel loro insieme?» ha riflettuto Ferruccio de Bortoli, già direttore del Corriere della Sera.
Uno come Giorgio Lago manca. «Si sarebbe ribellato di fronte alla malattia delle false riforme – ha continuato De Bortoli –. Il Federalismo oggi è orfano politico. Per Lago il federalismo era soprattutto responsabilità, non egoismo, non significava tirarsi indietro di fronte alle sfide comuni. Anzi. Non a caso il federalismo partiva dalla riforma fiscale delle singole regioni affinché fossero più responsabili verso il loro elettorato».
«Il mondo oggi è cambiato – ha detto Diamanti –. Dal 2008 al 2021 l’Italia ha perso 550mila giovani fuggiti all’estero. Il Terzo settore arranca». Gorgio Lago amava il Veneto sobrio, robusto, soprattutto quello di montagna. Ha fondato il “partito dei sindaci”, credeva nel gioco di squadra, nei nostri valori condivisi. Scendeva tra la gente, parlava con tutti.
«Da attento osservatore – ha continuato il politologo Diamanti –, oggi si porrebbe questo problema: oggi in Veneto che sentimento democratico possiamo rivelare? Che grado di partecipazione sociale possiamo individuare? ».
L’incontro al Bo è stata anche l’occasione per presentare il libro “”Il mio Veneto e altri scritti” Ronzani Editore, curato dal figlio Francesco Chiavacci Lago, vicepresidente dell’Associazione Amici di Giorgio Lago e il giornalista Francesco Jori; una raccolta di articoli, editoriali del “facchino del Nordest”, la sua voce martellante e vibrante, dal giorno delle Olimpiadi a Monaco nel 1972 agli ultimi fondi alla francese.
Tra gli ospiti anche Patrizia Messina, vicedirettrice del Centro Studi regionali Giorgio Lago e il direttore Almagisti: «Ero un giovane studente qui a Padova e la sera aspettavo il Gazzettino per leggere i suoi editoriali. Era sempre alla ricerca di nuovi orizzonti, curioso, lucido, e soprattutto indipendente dal potere» il suo ricordo.
«Può il Nordest, oggi, essere quel laboratorio antesignano del processo di riforma?» ha chiesto ancora Paolo Possamai al politologo Diamanti. «Non credo. Il Nordest si è nazionalizzato».
L’insegnamento emerso dalla tavola rotonda è «che oggi uno come Giorgio Lago manca. Lo dobbiamo rievocare. Oltre a nostalgia, lasciamoci con una parola che Giorgio amava: speranza. Era ottimista, positivo, spes contra spem» ha chiuso Possamai.
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