Hans Tuzzi nel bestiario della conoscenza
Nuova edizione per il libro dell’intellettuale d’origini goriziane che indaga la storia dell’editoria europea a partire dalle marche tipografiche del Quattrocento
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Vanta un ramo materno viennese-goriziano, Hans Tuzzi, non a caso il nord est spesso fa da sotto trama ai suoi romanzi e ai suoi protagonisti. Come l’agente asburgico Neron Vukcic. Ma Tuzzi è anche raffinatissimo bibliofilo, personalità ecclettica, coltissima e sicuramente dandy, nel senso più alto, quello di possedere uno “stile”.
All’interno di questo profilo ci restituisce il suo “Bestiario bibliofilo” (Ronzani, pag. 254, euro 22,80) in un’edizione interamente aggiornata, con oltre 100 nuovi tipografi. Insomma un volume che oltre a simboli e mitologie, scende nella storia dei più prestigiosi marchi, dallo Struzzo di Einaudi ai tanti animali scelti come marca tipografica dal 1455, ovvero da quando si iniziarono a stampare libri.
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Nella premessa del nuovo Bestiario, ci informa della sua passione per libri e animali. Sui libri molto si sa, dalla sua attività di consulente editoriale a quella di autore.
Ma la passione per gli animali come nasce?
«Mia madre mi raccontò che a cinque anni, in vacanza al Passo dello Stevio, lasciai a bocca aperta un entomologo tedesco nominando il pangolino. Al momento di iscrivermi all’Università, rimasi a lungo incerto fra Lettere e Biologia (i miei premevano, come da tradizione, per Legge). Ora che non posso più convivere con cagne – le preferisco ai maschi, si istituisce un rapporto assai più intrigante e profondo – mi sento affettivamente amputato».
Torniamo all’editoria. Il libro prevede anche la storia di alcune tra le marche tipografiche più importanti, dalla Medusa di Mondadori fino al rimpianto pesce di Scheiwiller. Qual è il pregio e il difetto dell’editoria oggi?
«Pregio: si ha il mondo in tasca. Difetto: non sempre si sceglie il meglio. Da quarant’anni in Italia l’editoria è un’industria – sul modello americano già criticato da Edmund Wilson nel 1944. L’industria ha i suoi innegabili pregi, ma perde quanto di prezioso vi è nell’artigianato».
Non solo traccia la storia, la simbologia e mitologia degli animali, ma procede con acute metafore sociali...
«È vero, sì, e direi sin dalla prima riga. Ma l’attenzione al sociale, ancorché non esibita, si trova in tutti i miei libri, anche nei saggi di bibliofilia. Così come nella mia vita alcune attività interessanti – che taccio in sede pubblica – hanno a che fare con l’impegno sociale».
La nuova versione include 100 nuovi tipografi. Quali i più significativi?
«Ai miei occhi l’assenza più grave, anche se apparentemente veniale, era quella del grande tipografo quattrocentesco Lorenzo Rossi, che talvolta usò una marca con aquila. Poi, vi è più spazio per i tipografi dell’Europa orientale, una realtà interessante e complessa lasciata in ombra dalla ricca produzione occidentale. Desidero perciò ringraziare la redazione della Ronzani, che sino all’ultimo ha sollevato preziosi dubbi sulle grafie: ma si sa, in Antico Regime il registro anagrafico non brillava per coerenza onomastica».
Il Bestiario bibliofilo di Hans Tuzzi: tutti gli animali scelti come marca tipografica
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Tra l’altro è interessante scoprire la doppia natura di molte bestie come il coniglio, il cigno, il cane, addirittura la povera anatra, simbolo anche di lussuria... Parliamo di sincretismo religioso?
«A dire il vero l’anatra è l’animale con il pene più lungo rispetto al corpo: il Gobbo del Sud America misura circa 40 cm, mentre il suo pene ne misura 43. La scienza lo ha scoperto relativamente tardi ma certo l’antico mondo contadino non aveva mancato di notarlo, e di trarne le debite conseguenze, come per il coniglio. Sincretismo, sì, e facili simbologie: il cigno ha piume candide ma carni scure, per dire. Per il Vicino Oriente il cane è immondo ma è anche la sola creatura che vede l’angelo della Morte: è, come per noi, custode di tombe…»
La natura dello scrittore, forse come quella di molti di questi animali, è molteplice. Come convivono in lei le storie del commissario Melis e le sue raffinatissime competenze di bibliofilo?
«Non soltanto Melis, ma anche Neron Vukcic o i romanzi-romanzi, come “Colui che è nel buio”, dove molto di quanto abbiamo detto convive. Generi diversi si fondono nel mio stile, e lo stile non è orpello ma distillato di vita. In ogni mio libro, nutrito dal calore di fiamma lontana, ricerco l’incanto della parola, il periodo che s’illumina di un pensiero, l’ammaccatura elegiaca che tanto spiace alle scuole di scrittura, l’epopea dell’anima. Preziosismi? No, memoria di un mondo svanito che è anche scelta di stile, il bisogno di far risuonare le parole primordiali dietro le parole comuni, talvolta un’urgenza interiore, o un impasto di queste tre cose. Comunque, non una supremazia stilistica in sé; che però, se c’è, più mi piace».
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