Jova è tornato e il suo concerto è un’esplosione di energia e libertà
Lorenzo di nuovo nei palazzetti dopo lo stop, a Bologna due ore e mezza di musica per migliaia di fan: «Bello ritrovarsi, ma in realtà non ci siamo mai persi»

Non è tanto la durata del concerto che colpisce. È più che altro l'intensità con cui Jova vive quelle due ore e mezza e forse più di rito collettivo. E si sbaglia a pensare che sia tutto ritmo, tutto gas. Nel suo spettacolo c'è (ampio) spazio anche per la gentilezza delle emozioni, la profondità dei sentimenti - l'amicizia, ancor prima che l'amore. Tradotto: si balla, sì, ma si piange pure.
Così almeno è stato domenica 6 aprile in un'Unipol Arena di Casalecchio di Reno zeppa di fan (ne contiene circa 18 mila) per l'ultima della tripletta bolognese del PalaJova2025. Il tour della rinascita, dopo quel brutto incidente in bici che ha costretto Jovanotti a prendersi una pausa. «Bello ritrovarsi, ma in realtà non ci siamo mai persi» le prime parole dopo la partenza trionfale con Montecristo, e subito L'ombelico del mondo.
In scaletta ci sono tutte le hit, il nuovo album Il corpo umano, anche qualche pezzo meno fortunato. Il filo rosso è quel pensiero positivo (perché son vivo perché son vivo, fa pure quella) che caratterizza prima Lorenzo Cherubini, quindi Jovanotti. D'altronde le parole più frequenti nei suoi testi sono, in ordine: amore, vita, mondo, libertà, sole. Lo dice lui stesso, e rende bene l'idea.

La sequenza di brani scorre senza intoppi. Jova è grato, felice e indomabile: quando si dice animale da palcoscenico. Balla e salta da una parte all'altra, complici le canzoni più movimentate. Un'esplosione di energia e libertà. Ci si chiede come faccia, lui che sfiora i sessanta e che solo poco tempo fa ha sfiorato pure la morte. «Ogni sera dopo il concerto mi ricostruiscono» ride.
Ma non è tutta una corsa. Jova si prende anche il tempo per spiegare, per riflettere. Sull'amicizia, dicevamo. Tanti sono gli amici che a Bologna sono passati a trovarlo. Solo domenica c'era il pooh Dodi Battaglia, l'arrangiatore Fio Zanotti, il chitarrista Fede Poggipollini, la poetessa Mariangela Gualtieri, Ambrogio Lo Giudice, regista dei videoclip dell'epoca d'oro. Le sere prima sono passati Carboni, Elisa e Morandi, così per dire. Ecco che a tutti loro dedica Un bene dell'anima. Poi c'è il tempo per commuoversi, vedi alla voce A te.
Non c'è dubbio: PalaJova è un grande ritorno. Tutto è curato, la scenografia è maestosa ma sa essere anche intima. Sotto i piedi dell'artista c'è un tappeto persiano che fa molto casa. Infatti se l'è portato direttamente dal suo studio, è quello su cui ha trascorso il lungo tempo della convalescenza. Tempo - dice - di riflessione, di meditazione, di lettura e scrittura, di dolore anche.

I suoni sono giusti. I contributi video preziosi, un viaggio alternativo o meglio complementare alle note. Sul palco, oltre al capo, ci sono tredici fuoriclasse. Una band solidissima, con qualche novità - su tutte la batteria portentosa di Carmine Landolfi e le chitarre di Adriano Viterbini. E con l'usato sicuro come Saturnino, da trentacinque anni al fianco di Jova ed eccallà: durante le presentazioni, al suo nome viene giù il palazzetto. Ma, di nuovo, sono in tredici: è una somma di colori, tante esperienze, tante sonorità. Le percussioni fanno la loro parte, le armonie dei coristi, il contrappunto dei fiati.
Il concerto è una festa. Giusto così, sostiene Jova, anche nei tempi difficili e incerti che corrono. E infatti non vuole andarsene dal palco. Chiude con Ragazzo fortunato, quasi ventimila voci all'unisono. Poi ne regala un'altra. Il tempo è finito: «Vi auguro quello che si augura a un amico: una buona vita, restare in salute, innamorarsi, mantenere la luce negli occhi e il ritmo nel cuore».

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