La rivoluzione di Basaglia vista da Simone Marcuzzi: «Ecco l’Italia migliore»

In “Ripartire da qui” un saggio dello scrittore pordenonese. «È riuscito a rompere un pregiudizio e a cambiare le idee»

 

Cristina Savi
Lo scrittore pordenonese Simone Marcuzzi
Lo scrittore pordenonese Simone Marcuzzi

Fra i libri pubblicati nell’anno scorso, “Ripartire da qui. Da Barbiana a Gorizia, da Ivrea a Cinisi; dov’è finita l’Italia migliore?”, edizioni Low (a cura di Gabriele Dadati e Giovanni Battista Menzani, pagine 184, euro 16), ha coinvolto alcune scrittrici e scrittori italiani nell’esplorazione di una decina di luoghi in cui l’Italia, nel corso del Novecento, ha dato il meglio di sé.

La centralità dell’educazione come possibilità di emanciparsi, la cultura come ingranaggio della produzione e non come passatempo, il guardare in faccia la mafia per rompere l’omertà, lo scegliere di affrontare la malattia mentale e non di tenerla semplicemente a bada, l’organizzarsi per non venire schiacciati e ripartire... Ecco la Barbiana di don Milani e l’Ivrea di Adriano Olivetti, la Cinisi di Peppino Impastato, la Sesto San Giovanni del cooperativismo operaio.

E la Gorizia di Franco Basaglia, con il capitolo “L’ottimismo della pratica” affidato a Simone Marcuzzi, scrittore pordenonese che, dopo aver pubblicato alcuni racconti, nel 2010 ha esordito con il romanzo “Vorrei star fermo mentre il mondo va” (Mondadori) mentre il suo libro più recente, “LeBron James è l’America” (66thand2nd, 2023) è dedicato all’ex celebre stella dell’ Nba.

Marcuzzi conduce il lettore sulle orme di Basaglia, del quale si è celebrato quest’anno il centenario della nascita, dopo aver deciso di lasciarsi ispirare dalla visita al parco Basaglia, nel quale un tempo sorgeva l’ospedale psichiatrico di Gorizia, e dove Basaglia visse la sua prima esperienza da direttore e pose le basi per la trasformazione dell’istituzione manicomiale.

Avvolto dalle sensazioni che quelle mura austere evocano, insieme alla bellezza del parco, e inseguendo le immagini che lì si formano nella sua mente, anche grazie ai tanti libri e video dell’epoca, Marcuzzi costruisce il suo contributo al libro corale innanzitutto ricostruendo l’esperienza di Basaglia dal momento del suo arrivo a Gorizia, nel novembre 1961, «quando in Italia ci sono circa un centinaio di manicomi, tutti molto simili tra loro, e accolgono centomila persone, seicentocinquanta delle quali nella struttura isontina».

Al figlio di 8 anni, incuriosito dai libri su Basaglia aperti accanto al computer dove papà da alcuni giorni è concentrato nella scrittura, affida il suo primo pensiero su Basaglia quale simbolo dell’Italia migliore.

«Ha avuto il coraggio di alzarsi in piedi e dire: «Attenzione, stiamo sbagliando tutto, ripartiamo da zero», dopo aver toccato con mano la violenza del manicomio in cui era entrato da direttore, arrivando nel tempo a negare l’istituzione stessa (come recita il titolo del più fortunato tra i suoi libri, L’istituzione negata. Non solo – aggiunge - la sua proposta è stata così̀ trascinante da diventare un catalizzatore potentissimo di altre iniziative, arrivando a modificare le coscienze di molti e infine a stimolare il cambiamento di una legge dello Stato».

Interrogandosi poi su come l’esempio di Basaglia e la sua “caparbietà libera” possano dialogare con il presente, in un mondo completante cambiato, Marcuzzi scrive che

“conoscere la sua vicenda può suggerire alla coscienza di ognuno un’attitudine per vivere pienamente il proprio tempo” e può essere “anche speranza a livello collettivo per i grandi temi che riguardano il Paese”.

 

E sottolinea, dedicando al tema le riflessioni finali del suo intervento, arricchito da dati e informazioni, come l’esperienza di Basaglia abbia «una risonanza diretta con il carcere, un’altra istituzione di controllo e confinamento sociale che già in vita Basaglia aveva identificato affine al manicomio», al centro da anni di una discussione pubblica stagnante e poco costruttiva.

Ed esorta a fare proprio uno dei grandi insegnamenti di Basaglia, ovvero che «niente nella società – scrive Simone Marcuzzi – è davvero fermo e immutabile. Anche il manicomio lo sembrava, ma lui è riuscito a rompere un pregiudizio e a innescare un cambiamento virtuoso». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © il Nord Est