Manipolazione e negazione, chiavi per il neopopulismo
Esce un saggio del sociologo Denis McQuail sulla propaganda in politica. Il contributo d’avvio: «L’uso pubblico della menzogna ha più forme»


È il libreria “Propaganda” di Denis McQuail (Treccani). Con un testo firmato da Massimiliano Panarari; ne pubblichiamo un estratto.

Tra i meriti della voce di McQuail si trova la metodologia incrementale di ridefinizione del concetto di propaganda per “approssimazioni successive”. In questo senso, la propaganda si colloca nel novero del (vasto) repertorio della «comunicazione ingannevole» (e non certo di quella persuasiva): dalla menzogna – propriamente la costruzione e la diffusione di falsità – alla manipolazione di frame – che prevede l’operato intenzionale di alcuni soggetti nell’edificazione di “cornici” ermeneutico-interpretative distorte e scorrette o di trappole cognitive per radicare nei destinatari una falsa percezione e ricezione dei messaggi inviati -dalle fake news a quelle che si possono etichettare come le “mezze verità” o verità parziali, sino al più generale disordine informativo (come vengono designati dai media studies alcuni dei fenomeni più recenti in questa materia, contrassegnati per l’appunto dallo stato di intenzionalità degli emittenti).
Nell’ambito della propaganda si rinviene una dimensione marcata di «uso pubblico della menzogna», che può manifestarsi secondo varie modalità: la presentazione di fatti falsi come reali e autentici; il mascheramento e il nascondimento della verità; lo stravolgimento e la deformazione del senso degli eventi e delle cose. Fino alla creazione di quelli che possono venire considerati da numerosi punti di vista come degli “universi paralleli”, ossia dei sistemi narrativi dotati di una loro “coerenza” interna che prescindono o si collocano in diretta contrapposizione e alternativa rispetto alla realtà effettuale – una cornice simbolica largamente agevolata dalla cultura sociale postmoderna.
E’ un “salto di qualità”, nel senso che si tratta di una riconfigurazione a tutti gli effetti del discorso pubblico nel cui ambito i diffusori di falsità non soltanto negano in modo risoluto il carattere menzognero delle loro affermazioni, ma stabiliscono l’equivalenza tra di esse e il dato fattuale – un’operazione propagandistica giustappunto facilitata dal clima di opinione (e, si può aggiungere, di “opinionismo generalizzato”) della postmodernità, dove si è consumata la disarticolazione e disintegrazione della verità obiettiva, e l’orizzontalizzazione e l’interscambiabilità di ogni piano hanno ampiamente investito anche le asserzioni e gli enunciati linguistici e le loro relazioni con l’oggettività e lo stato delle cose.
Al riguardo si può ricordare come, nel gennaio del 2017, Kellyanne Conway – consigliera del presidente Donald Trump – avesse coniato l’espressione alternative facts, destinata ad animare il dibattito giornalistico seguente.
La formula venne inventata nel corso di una querelle intorno ai numeri della partecipazione popolare alla cerimonia di insediamento di Trump presso il National Mall di Washington, indicati come i maggiori della storia statunitense e superiori a quelli del medesimo evento inaugurale della presidenza di Barack Obama del 2009. Le fotografie e le immagini mostravano una presenza di persone più elevata per il “giorno uno” obamiano, come venne riportato dal New York Times e da altri media, a cui i comunicatori e il portavoce trumpiani replicarono negando, per l’appunto, l’evidenza.
In quella occasione, parlando in televisione, Conway disse che i consiglieri di Trump avevano mostrato al pubblico dei «fatti alternativi» in grado di documentare «quanto avvenuto davvero», ovvero di indurre l’impressione della preminenza numerica dell’evento del 2017 – una considerazione che (seppure in maniera non voluta, e avendo ben altre finalità) finiva per collocarsi in pieno, accompagnata dai risvolti di attualità e, soprattutto, dalla sua carica propagandistica, all’interno della discussione epistemologica sulle metamorfosi della fattualità e la “post-verità”.
Una manifestazione preclara dei perfezionamenti postmoderni della propaganda, che agiscono ancor più fortemente nella direzione della costruzione di situazioni, contesti e testi ispirati alla verosimiglianza, avvalendosi della menzogna e della falsità – con gradi e intensità variabili – per edificare giustappunto delle narrazioni alternative che possano apparire a loro modo credibili.
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