Dischi volanti, quando la musica era una scelta
Vinili o cd planavano sulla nostra vita: desiderati, scambiati, ascoltati all’infinito. Nel tempo della fruizione liquida, Daniele Cassandro gli ha dedicato un libro
Sono quei cosi tondi e piatti. Grandi e neri oppure piccoli e argentati. C’è la musica lì dentro e qualcuno continua a tenerli sugli scaffali, a sceglierne uno e a farlo suonare, con un gesto antico, vagamente celebrativo, che esprime consapevolezza e prelude al piacere lento dell’ascolto.
Per gli adolescenti di oggi – consumatori di musica liquida in streaming – sono ufo, oggetti non identificati. Ma non è (solo) per questo che Daniele Cassandro – giornalista, una laurea in storia dell’arte contemporanea – li ha voluti chiamare “Dischi volanti”, quanto invece perché – come spiega nella prefazione del suo libro, «sono planati nella mia vita grazie ad ascolti casuali, a consigli di amici – gli algoritmi di una volta – a capricci momentanei, o a pura fortuna».
Sullo slancio del lavoro per Internazionale, rivista per la quale curava la rubrica “Dischi da salvare” ha iniziato a scriverne. Testi sempre più lunghi e appassionati. Poi ne ha sceltii quaranta, non i più belli, non per generi, non per farne una raccolta ideale. Ma quelli con storie interessanti.
Li ha collocati in sette scaffali – quelli nati da un azzardo, quelli che sembrano frutto di un autosabotaggio dell’artista, giusto per fare un paio di esempi di categorie – e li ha raccontati in un libro pubblicato da Edizioni Curci nella collana Correnti diretta da Carlo Boccadoro che, dai Bee Gees a Lady Gaga, da Prince a Britney Spears, promette di «schiudere orizzonti sonori inaspettati alle nostre orecchie da terrestri».
Cassandro, intanto stiamo parlando di oggetti che quasi non esistono più. ..
«Ed è un peccato, ma lo dico senza malinconia. La musica in streaming è un’altra cosa e non per il suono quanto perché ascoltare un disco è una mossa responsabile che ti sottrae al ruolo di utente di una piattaforma. Il disco è un oggetto che entra nella tua vita, con il suo artwork: lo apri, lo studi, lo leggi, ne ammiri i caratteri. Pensiamo a Thriller, al vinile, a quanto era bello. Tutto questo con lo streaming non c’è più».
Comprare un disco o farselo prestare, portarlo a casa, sedersi ad ascoltarlo imponeva per forza un ascolto diverso. Cosa abbiamo perso?
«Immersività, direi. La musica in streaming diventa spesso sottofondo, è un’esperienza marginale rispetto alle cose che fai. Mettere un disco significa far spazio a quel momento di ascolto nella propria vita. E poi non dimentichiamo che le piattaforme di streaming sono un’interfaccia ai social e come tali sono strumenti di data mining o di controllo. Insomma, non è un ascolto neutro».
Però adesso con dieci euro al mese un adolescente può ascoltare tutta la musica che vuole, da Wagner alla trap.
«Questo è fantastico ed era già successo con l’avvento dei file, dei peer to peer con cui si scaricavano i dischi e con cui si creavano comunità che se li passavano, un po’ come era stato per noi scambiarsi le cassette. Poi, certo, ora hai tutto a portata di mano ma le piattaforme rispondono a un algoritmo e alla fine ti propongono quello che conosci già. E poi l’ascolto diventa un’esperienza individuale, non una cosa di cui parlare con gli amici».
Nel suo libro i dischi non sono divisi per genere, anche perché per sua ammissione uno degli aspetti positivi della musica liquida è l’aver abbattuto gli steccati. Ma lei a casa i dischi sugli scaffali come li ha ordinati?
«I miei vinili hanno un ordine per genere, ci sono artisti di cui ho tutto – come Bowie, Prince, Donna Summer – e quelli stanno insieme. I cd invece non hanno nessun ordine e trovarli è sempre un problema».
Conoscere la storia di un disco, retroscena, aneddoti, permette di apprezzarlo di più. Il suo libro in questo senso è una guida preziosa.
«È un altro aspetto che si sta perdendo da quando è praticamente scomparso il giornalismo musicale – e questa non è neanche una brutta notizia se consideriamo quello che era diventato. È una delle facce della crisi dell’editoria e della lettura. Ma naturalmente è anche un peccato, ci sono ancora dischi ricchi, con tanta storia dentro, prodotti complessi che però finiscono per essere banalizzati. E i concerti, chi li racconta più? Si annunciano ma solo per far vendere biglietti, però niente recensioni».
Nel libro lei parla quasi con rimpianto dei tempi in cui a produrre dischi c’erano amanti della musica e non manager. Si è perso anche questo?
«Pensiamo a Quincy Jones, nato nel 1933, compositore, arrangiatore, tormbettista e poi businessman e produttore, passato dal be-bop all’hip hop. Uno come lui, che controllava tutto, dagli aspetti tecnici a quelli artistici, non esiste più».
Forse bisognerebbe cominciare a parlare di dischi nelle scuole, anziché insegnare a suonare il flauto.
«Io non so molto delle scuole, ho ricordi di lezioni noiose. Ma certamente potrebbe essere interessante raccontare la musica con un approccio da storici dell’arte. Il disco è un prodotto culturale che parla del contesto sociale, economico, storico in cui è nato. Raccontarlo significa anche parlare della società che lo ha apprezzato o disprezzato. E continuare a considerarlo un oggetto vivo». Volante e parlante.
Il libro di Daniele Cassandro “Dischi Volanti - 40 Album alieni da Duke Ellington a Lady Gaga” sarà presentato giovedì 14 novembre alle 20.45 a Villa Angaran, in via Ca’ Morosini 41 a Bassano del Grappa nell’ambito della rassegna “Las Flaviads. Stiamo ascoltando dischi”, su iniziativa della libreria Palazzo Roberti e di Pick Up Records. —
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