La nevicata del secolo: un caso studio per capire l’Italia degli anni Ottanta
A partire da un evento rimasto impresso nella memoria collettiva, gli autori fanno un ritratto del Paese che uscito dal terrorismo entrava nell’era craxiana
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Eravamo un popolo di poeti, artisti ed eroi e ora siamo diventati un popolo di nostalgici che si commuove per i numeri sanremesi di Topo Gigio e dei Duran Duran. Ma vanno bene anche una puntata di Happy days o il vecchio panno del Subbuteo che giace impolverato in cantina. Il passato ci fa intenerire, lo aveva ben capito il furbo Fabio Fazio nel 1997 che, lanciando una petizione dei ricordi con la trasmissione Anima mia, aveva fatto diventare cult il trash dei cugini di campagna.
Tentiamo una spiegazione sociologica per tutti questi fazzoletti pregni di lacrime di nostalgia: la realtà cambia con una rapidità impensabile che cerchiamo ancoraggi solidi nelle altre epoche per far fronte al caos in cui siamo immersi. Insomma, fuggiamo da Trump e dalle distopie che allungano gli artigli verso di noi per rifugiarci nel tormentone di ‘L’estate sta finendo’?
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La canzone che i Righeira lanciarono nel 1985, quarant’anni fa, l’anno della grande nevicata che a gennaio paralizzò l’Italia da nord a sud, coprendo di neve Milano e Roma, facendo precipitare la temperatura di Firenze fino a 23 gradi sotto lo zero, bloccando i trasporti, le autostrade, i treni. Un evento che è rimasto nell’immaginario e che è entrato in canzoni e libri e che serve ad Arnaldo Greco e a Pasquale Palmieri per delineare non solo un ritratto dell’Italia di allora, ma proprio per andare alle radici di quella ‘retromania’ o mito del passato che secondo i due autori di ‘La nevicata del secolo’ (il Mulino, 241 pagg., 16 euro) è nato proprio in quell’anno. Il libro offre un bel ritratto dell’Italia degli anni Ottanta, uscita dal terrorismo per entrare nella pubblicità della Milano da bere e dell’ottimismo craxiano.
Anni in cui le tv private stavano per espugnare gli ascolti del palazzo d’inverno della Rai a colpi di Magnum P.I. e di Drive In. Ma erano anche gli anni in cui un certo Pier Vittorio Tondelli da Correggio si faceva conoscere per il racconto di tutto un coté giovanile che aveva abbandonato l’impegno del decennio precedente e viaggiava psichedelico sull’onda del riflusso, parola chiave di quell’inizio di decennio, portata per la prima volta alla ribalta da Maurizio Costanzo in uno dei suoi talk show, che non si chiamavano ancora così.
La nostalgia è una condizione mentale individuale, d’accordo, ma può diventare anche uno dei mattoni sui cui si fonda l’identità collettiva. I tuffi nel passato, ci ricordano Greco, autore televisivo, e Palmieri, docente di Storia moderna, sono sì espedienti per dimenticare le delusioni del presente, ma la nostalgia può essere anche un meccanismo di interazione sociale, riconducibile a concrete ragioni economiche, tecnologiche e persino demografiche.
Se il passato catturato in immagini è nelle nostre mani con un clic su Youtube, la nostalgia si traveste molto bene da Storia. La televisione, medium in declino, senza la nostalgia non sarebbe più in grado di esistere e si avvale, per alimentare questa poetica del ricordo, di una formula di sicuro successo, quella dell’anniversario. Sfruttati anche dall’informazione, che macina commemorazioni su commemorazioni, si susseguono i decennali, i ventennali, come tante candeline rivolte alle nostre spalle, dove ormai soltanto, privati della speranza del futuro, si posano gli occhi. Capisaldi di questa torsione dolcemente funerea, si ergono programmi come I migliori anni o Techetechete, emuli di un’antica trasmissione di Rai 3 che si chiamava Schegge.
Da quelle origini, che risalgono al 1988, si è andato pian piano dispiegando il profluvio di nostalgia in tv. Che ha solide ragioni anagrafiche ed economiche: il mercato della pubblicità in tv guarda a quelli che hanno disponibilità alla spesa, che sono soprattutto gli ultra sessantenni. Giochi, canzoni, ricordi sono fabbricati sui ventenni di quarant’anni fa, ora felicemente entrati nella platea dei pensionati Inps. Senza (forse, ma non è detto) scivolare nella nostalgia, i due autori, scelgono proprio il gelo bianco di quel gennaio ’85 per provare a spiegare la nascita di un ‘mood’ un sentimento, che senza la tv non avrebbe potuto dispiegarsi.
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