Maragoni: «Ecco come vi faccio ridere con la poesia»

Il campione del mondo di poetry slam sfata il mito dei componimenti tristi. «Cresciamo con Rodari, poi arriva la scuola. Ma c’è posto anche per l’ironia»

Cristiano CadoniCristiano Cadoni
Lorenzo Maragoni è stato docente di statistica e poi attore e regista. Ora nella sua bio su Instagram si definisce "il tuo amichevole poeta di quartiere"
Lorenzo Maragoni è stato docente di statistica e poi attore e regista. Ora nella sua bio su Instagram si definisce "il tuo amichevole poeta di quartiere"

Alda Merini non aveva dubbi, poeti si nasce, è questione di personalità. Uno può sentirselo dentro oppure può scoprire di esserlo quasi per caso. «A me è successo a Portogruaro, su una barca, c’era un amico che faceva una serata di slam poetry, sono rimasto folgorato. Poi ho visto altre serate a Padova, al Portello».

Era il 2018, Lorenzo Maragoni, classe 1984, al tempo aveva già fatto il docente di statistica - scienza in cui è laureato - l’attore e il regista. Quattro anni dopo è diventato campione del mondo di poetry slam, che è una sorta di gara di poesia con il pubblico come giudice.

Oggi nella sua bio su Instagram si definisce “il tuo amichevole poeta di quartiere”. E però - sorpresa - Lorenzo è uno che fa ridere, non un poeta triste e malinconico. Quindi abbiamo scelto lui per celebrare la Giornata mondiale della poesia, che cade il 21 marzo.

Maragoni, se dico poesia cosa le viene in mente?

«Ahi, sono subito in difficoltà. Direi “M’illumino d’immenso”».

Siamo cresciuti con poesie serie, testi dolenti, spesso tristi, tutti da decifrare...

«In realtà ci dimentichiamo che prima della scuola c’è stata un’infanzia in cui la poesia era in forma di filastrocche e ci faceva ridere, pensiamo a Rodari. Il problema è nel passaggio alla scuola dove la poesia diventa indigesta, criptica, quasi elitaria».

Lei quando ha scoperto che invece la poesia può essere anche molto divertente?

«Proprio con il poetry slam. Si va sul palco, spesso senza un testo scritto, il pubblico è giovane, fa un tifo sportivo, ci sono quelli che giudicano, si sta insieme. È uno spettacolo collettivo, ci si diverte moltissimo».

Avrà scritto anche lei qualche poesia triste per una delusione d’amore...

«Da adolescente mi sembrava il modo migliore di esprimere il mio malessere. Ma ancora oggi mi capita di scriverne. Però intanto ho scoperto che ironia e poesia non sono incompatibili. La poesia è un contenitore che può ospitare tutte le sfumature di sentimento: rabbia, gioco, innamoramento, paura, frustrazione, felicità. È un prisma dal quale possono uscire tutti i colori. Il guaio è che per un sacco di tempo ci è stato fatto credere che sia associata solo a colori pesanti».

Lorenzo Maragoni nel 2022 è stato campione mondiale di slam poetry (foto Davide Santinello)
Lorenzo Maragoni nel 2022 è stato campione mondiale di slam poetry (foto Davide Santinello)

Le poesie degli slam non finiscono quasi mai nei libri.

«Raramente, in effetti. Qualcuno se le pubblica da solo, altri rinunciano. Io nel mio primo libro ho sentito che non avrebbero reso come dal palco e ho inserito note a piè di pagina per dialogare con il lettore e colmare uno spazio che mi sembrava far perdere forza alle poesie».

D’altra parte non è un caso se le case editrici che pubblicano poesie sono definite coraggiose.

«Il mercato è limitato, ma proviamo anche a chiederci se queste poesie arrivano davvero al pubblico o sono riferite solo a chi le ha scritte».

Lei quando scrive?

«Vorrei essere uno di quelli che si alza alle sette e si mette alla scrivania. Invece succede tutto per caso, arriva un’idea, devo decidere se prenderla al volo o farla crescere, grande dilemma. Poi finisce, come l’altro giorno, che mi metto a scrivere sul telefono, appoggiato al motorino, al freddo».

E come la mettiamo con il linguaggio? La forma lo modifica o le corrisponde anche nei versi?

«Il confronto con la forma poetica - e non è un concetto mio, ma che trovo appropriato - estrae da chi scrive quello che vuole dire, quello che non sa di voler dire e anche quello che sta evitando di dire. Io in questo gioco sento che la poesia mi restituisce tutte queste cose. Trovo un solco, mi ci inserisco e ingaggio il mio corpo a corpo con la forma».

Chi sono i suoi poeti preferiti?

«Rodari, Lamarque, Toti Scialoja, Tiziano Scarpa. In tutti loro c’è una forte componente di gioco. Alcune di queste sono in apparenza poesie per l’infanzia, ma rivolte agli adulti».

Lei è stato attore, poi regista, ora è attore e regista insieme. In quale ruolo si sente più a suo agio?

«Questa dimensione mi sta bene. Sono stato giù dal palco per oltre dieci anni, tornarci con testi miei, una regia mia, è spaventoso ma emozionante. Si dice che gli attori trovino sul palco quello che manca loro nella vita, per me con la slam poetry è il contrario, è tutto autentico, porto me stesso in scena, mi prendo i rischi e la responsabilità, ma quando sento il pubblico ridere è troppo bello».

Grandi numeri, che sta portando in scena in questo periodo, è uno spettacolo di poesia, risate e big data. In che senso?

«Parto da un episodio che mi è successo, la pubblicazione di un reel sui social che ha fatto grandi numeri e mi chiedo come è stato possibile, cosa sa l’algoritmo di noi, quante informazioni personali mettiamo a disposizione. E ancora come sia possibile che ci sentiamo capiti dai social, sempre per effetto degli algoritmi, e come invece l’arte e la stessa poesia ci capiscano oppure possano sorprenderci. È uno spettacolo in cui si ragiona di queste cose e di libertà, ma in modo divertente, anche perché dentro ci sono un po’ di vicende personali, di vita quotidiana». 

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