Marcello Mastroianni e i suoi cento anni da divo timido del cinema italiano

Gian Paolo Polesini
Brigitte Bardot e Marcello Mastroianni, 1962
Brigitte Bardot e Marcello Mastroianni, 1962

Marcello Mastroianni rifuggiva dallo stereotipo del divo. Lo infastidiva parecchio. Lui non era affatto un tipo vanitoso, si ritrovò a essere, suo malgrado, un artista maestoso in quel mondo dei Cinquanta/Sessanta popolato da artisti maestosi. Si unì al gruppo in lenta formazione con la naturalezza del suo gusto inconfondibile: quando recitava smetteva di recitare. Non rinunciava mai a un ruolo, attraversò cinquant’anni della sua vita nei panni degli altri e ne indossò tantissimi, almeno centotrenta, impadronendosi di loro senza dare nell’occhio.

Un secolo fa nasceva il più iconico attore del Novecento, con buona pace di altri altrettanto grandi. Il 28 settembre 1924 la mamma Ida e il padre Ottorino diventarono genitori di Marcello a Fontana Liri, un paesotto di poche anime in provincia della laziale Frosinone. Assieme ai suoi, a nove anni, si ritrovò stupito della magnificenza di Roma, la meta della famiglia che negli anni Trenta regalava ben più opportunità di Fontana Liri. Dove peraltro mai tornò, forse per dimenticare la sua infanzia rubata dal fascismo.

Curioso come il nome del suo paese coincidesse con quello di un’altra fontana, dalla quale, per una delle tante geniali intuizioni di Fellini, ne uscì un uomo nuovo e pronto ad affrontare un futuro scintillante. Il celeberrimo “Marcello… come here” di Anita/Sylvia rimbalzò di notte sulle facciate delle case di piazza di Trevi mai immaginando che quelle tre parole avrebbero raggiunto tutte le latitudini del globo, nonostante fosse il 1960.

Jean Gili scrisse di lui: «Uno stile nell’ombra, senza eccessi, senza abusi preferendo le riflessioni interiori».

Al Mastroianni giovane girava in testa il mestiere dell’architetto, però divenne perito edile e lavorò per il Comune della capitale. Al cinematografo ci arrivò senza fretta, giusto il tempo d’imparare come cavarsela in scena. Raggiunse Cinecittà nel 1953 col “tramvetto” azzurro: lo aspettava il set de “Il viale della speranza”, un post-neorealistico di Dino Risi.

Poco prima del viaggio alla Mecca del cinema, a lanciarlo in orbita fu un Luchino Visconti regista teatrale. «M’insegnò buona parte di quel che so», disse Marcello a riguardo di quell’inizio folgorante con uno Shakespare come primo copione da studiare. Seguì un decennio di prosa. La Masina, anticipando il marito Federico, lo chiamò per un ruolo in “Angelica”, una satira antifascista, e — nel ’49 — interpretò l’ingenuo Mitch di “Un tram chiamato desiderio” che Tennessee Williams scrisse due anni prima. Lo si ricorda per altri due personaggi storici: Astrov di “Zio Vanja” di Cechov e il Cavaliere di Ripafratta della “Locandiera” di Goldoni. Fatti sconosciuti ai più.

Ciò che invece appartiene alla narrazione popolare sono il suo cinema colto, il fascino borghese che riuscì a coesistere con quello proletario, quel mondo femminile innamorato solamente di uno sguardo in macchina, i suoi personaggi assai resistenti, tant’è che ancora ce li ricordiamo e il suo anti eroismo, risultando sempre il giovanotto della porta accanto.

A proposito della “Dolce vita” de Laurentiis pressava Fellini per scritturare Paul Newman, ma Federico non mollò, voleva un attore dalla faccia sconosciuta e vinse la battaglia.

Il film sontuoso e malinconico che trasfigurò la realtà del suo tempo, si prese una bordata di fischi al debutto romano conquistando però la Palma d’oro a Cannes, che zittì la critica.

Nel 1958 fu Monicelli a testarlo nella commedia de “I soliti ignoti” assieme a un Gassman anch’egli in prova comica.

In “8½” del 1963 Mastroianni diventò l’alter ego di Fellini come Guido Anselmi, un regista in crisi. Ormai il grande schermo era cosa sua.

Alessandro Blasetti, facendo un piccolo passo indietro, nel 1954, pensò di affiancare al Paolo di “Peccato sia una canaglia” una Sophia Loren d’impatto emotivo notevole. Girarono dodici film assieme. Fra cui “Ieri oggi e domani”, il loro film dei film.

È stato un latin lover? I fatti dicono di sì, mentre lui ha sempre smentito il ruolo. Nel 50 sposò Flora Carabella, attrice incontrata a teatro, mamma di Barbara, che morì nel 2018. Non mancarono i flirt più noti: Marina Vlady, Faye Dunaway e Catherine Deneuve, con la quale si trasferì a Parigi e farà un’altra figlia, Chiara.

La lista dei “suoi” registi è infinita. Girerà con Petri, Zurlini, Antonioni, Pietrangeli, Visconti, Monicelli, De Sica, Faenza, rifiuterà l’America (“Non fa per me”) e finirà con Scola, che lo dirigerà in “C’eravamo tanto amati”, “Una giornata particolare”, “La Terrazza”, “Splendor” e “Che ora è” al fianco di Troisi.

Già malato Mastroianni tornò a teatro con “Le ultime lune” del commediografo triestino Furio Bordon, la storia di un anziano professore che si confronta con la tenerezza dei ricordi e il massacro della vecchiaia. Se andò senza far rumore il 19 dicembre 1996.

Sipario.

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