Steve McCurry a Trieste: l’arte profonda di intersecarsi con le vite degli altri
Al Salone degli Incanti sino a maggio 2025 la più ampia retrospettiva dedicata al grande fotografo, che intervistiamo. E che si sente ispirato dal rapporto tra Gorizia e Nova Gorica
Srinagar, Kashmir, 1995. «Aveva una grande barba arancione. L’ho notato mentre passava per il centro di Srinagar, la capitale del Kashmir. Era con la sua mandria di cammelli. E l’ho bloccato nel traffico, in mezzo agli animali. Nella più grande confusione. Lui era molto onorato. Ha bloccato gli animali, si è allontanato dal traffico e mi ha permesso di fargli alcuni ritratti».
Steve McCurry è specializzato in incontri. Intercetta il prossimo e genera un’intersezione virtuosa con la sua storia, come pochi altri sanno o hanno saputo fare.
Porbandar, India, 1983. C’era stata un’esondazione e il villaggio era sommerso. Steve scatta fotografie immerso nell’acqua fino al petto, quando qualcuno gli segnala una scena. Così avvista un vecchio sarto che procede nell’acqua marrone, quasi nuotando, portando con sé una macchina da cucire tutta arrugginita. L’uomo, pur in quel frangente drammatico, fa quello che non raramente contraddistingue il popolo indiano: sorride, nonostante tutto. La foto comparirà sul National Geographic e farà il giro del mondo: si riesce a rintracciare il sarto, che si vede pagare una macchina da cucire nuova.
L’uomo con la barba arancione, il sarto nel fango, donne bellissime e malinconiche, rughe e occhi vivaci, espressioni fiere. E lo sguardo spiazzato di una persona che ha smarrito le chiavi di casa in un laghetto, dietro al Taj Mahal, ad Agra, Utar Pradesh, nel 1999. Questo è il teatro vivente di Steve McCurry, che va in scena sommesso o rumoroso, nei luoghi diversi del mondo, ignorati dai neon, dimenticati dagli altri. —
Fabrizio Brancoli
Il viaggio di Steve: così una mostra potrà cambiarci
Il 10 ottobre 2010 Umberto Eco intervenne alla tavola rotonda “Fotografia, Memoria, Informazione” (Ara Pacis, Roma) con un intervento dei suoi: dotto, brillante, profondo, irrituale. Capace di saldare pensieri e aprire menti. La conclusione di quell’intervento era affidata alle seguenti parole.
«Io ho smesso di fotografare quando ormai da almeno dieci anni avevo una macchina fotografica, nel 1961. Avendo già dato la tesi di laurea sull’estetica medioevale, ma continuando a essere interessato a quei secoli, nel 1961 avevo fatto un viaggio, con altri tre amici, attraverso tutte le abbazie romaniche e le cattedrali gotiche francesi. Naturalmente mi ero portato dietro una macchina fotografica e ho fotografato tutto, incessantemente. Le foto sono orribili, non mi servono e non mi sono mai servite, ho piuttosto comperato dei libri dove c’erano foto migliori, e di quel viaggio non ricordo più niente. Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato.
Da quel giorno non ho mai più fatto foto in vita mia, partendo dal principio che ci sarebbe sempre stato qualcuno che le facesse meglio al posto mio, e infatti ce ne sono sempre più di quanto desideri o abbia bisogno. Quindi l’eccesso di possibilità fotografica può ledere la nostra memoria, perché la nostra memoria sopravvive quando, in termini fotografici, è grandangolare. Se invece andiamo in giro col telefonino per fotografare tutto quello che pare interessarci, diventa puntuale. Cioè del potenziale grandangolo che potevamo ricordare abbiamo ricordato solo quello che abbiamo scelto in quel momento e ci rimane solo quel documento lì».
Steve McCurry, con il suo lavoro incessante di esplorazione di luoghi e di anime, rappresenta perfettamente il motivo per il quale Eco poteva “permettersi” di fare a meno di scattare fotografie. C’è chi lo faceva per lui, negli angoli remoti e disperati del mondo, tra le righe dei discorsi altrimenti banali, nel racconto di quotidianità troppo distanti dalle nostre prassi d’occidente.
McCurry è un grande maestro perché racconta “loro” ma si rivolge a “noi”. Non scatta foto a girandola. Individua una scena e corteggia un attimo, in quella danza silente che lega l’osservatore all’osservato, incroci momentanei e non ripetibili. Non scatta migliaia di foto all’ora; seleziona gli istanti. Non sempre e non solo è un ladro di emozioni, perché è frequente che nelle sue foto il protagonista fissi con decisione l’obiettivo. Questa persona lontana, questo anziano contadino, questa ragazza impaurita o fiera, questo bambino dalla purezza quasi spietata, guarda sul serio il fotografo. Quell’obiettivo lo fissa sul serio, penetrandolo come un punteruolo emotivo, capace di raggiungerci ovunque siamo.
La mostra che si aprirà a Trieste venerdì 15, modellata in un percorso a forma di serpente dentro il magnifico Salone degli Incanti, ha il pregio di inseguire una completezza, un’articolazione vasta del lavoro di McCurry. Raccoglie oltre 150 fotografie. E alcune sono inedite quanto sorprendenti. Promossa dalla regione Friuli Venezia Giulia come una delle punte del programma di Go!2025,curata da Biba Giacchetti con la direzione artistica di Gianni Mercurio e la produzione di Madeinart, la retrospettiva apre finestre su mondi lontani: è il viaggio di Steve ma anche il nostro.
È la rappresentazione delle distanze culturali e l’impegno della memoria, nel tentativo eroico di preservare culture, costumi e tradizioni di luoghi che oggi con il solito anglicismo si dovrebbero definire “poco mainstream”, insomma ai margini delle rotte della comunicazione mondiale e, pertanto, ai margini delle nostre priorità. Coloratissimi, intensi, più che profondi sono da definire abissali, perché ospitano abissi e infondono la sacrosanta curiosità di saperne di più di quella donna ritratta al lavoro, o degli agricoltori che lottano contro un clima impietoso. Siamo di fronte a uno dei più grandi maestri dello scatto, nei nostri tempi. India e Afghanistan, su tutti, ma anche Etiopia, Pakistan e Papua, tra volti indimenticabili, nella potenza smisurata della narrazione dell’umanità.
L’impostazione della mostra prevede all’inizio del percorso una serie di ritratti, poi approda a un gruppo di immagini che dilatano lo spettro emotivo: guerra e poesia, sofferenza e gioia, stupore e ironia. Nelle promesse dei curatori, non sarà un’esposizione chiassosa e roboante; sarà piuttosto un cammino intimo, che consente di seguire un racconto per immagini.
I ritratti, in particolare, con McCurry ci guardano, si rivolgono a noi e tentano di stabilire un minimo comune denominatore umano, la cifra di un’eguaglianza difficile da raggiungersi eppure visibile, qui, mentre la dignità di un protagonista ci interpella e supera le distinzioni etniche, religiose, antropologiche.
Ecco le immagini che raccontano il buddismo e la meditazione, le preghiere nei templi e i ritrovi spirituali; il disagio dei civili nei territori di guerra come l'Afghanistan, la guerra del Golfo e l'11 settembre. E tanti bambini, tristi o felici, incastonati con le loro speranze ardue nel lato B di un pianeta che non conosce parità o proporzioni. Con loro, altrettanto protagonisti, gli animali e in genere la natura, che non è cartolina e talvolta è fonte di sofferenza, quanto di emergenza.
È il viaggio di Steve McCurry e potrà essere anche il nostro, se solo vorremo compierlo.
«Vi racconto i miei mondi»
«La mostra di Trieste rappresenta una delle retrospettive più complete del mio lavoro. Copre tutta la mia carriera e offre una panoramica delle tematiche che mi sono più care. I visitatori troveranno una selezione che spazia tra i miei libri più significativi, esplorando una varietà di mondi: dalle mie esperienze in Afghanistan e India, al mio lavoro con i bambini, fino alle serie di ritratti».
È così che il Maestro anticipa l’evento in programma al salone degli Incanti. «Nel corso della mia carriera ho avuto il privilegio di pubblicare oltre 25 volumi, ognuno dei quali racconta storie uniche di vita, cultura ed emozioni, immortalate in ogni angolo del mondo – aggiunge SteveMcCurry –. Accanto ad alcune delle mie immagini più iconiche, questa mostra presenta anche scatti inediti che condivido con entusiasmo per la prima volta. Spero quindi che questa raccolta offra ai visitatori una vera e propria finestra sui diversi mondi che ho avuto la fortuna di documentare nel tempo».
Ha raccontato molte guerre con la sua macchina fotografica. Quante volte ha avuto paura?
«La paura è una compagna inevitabile quando si documentano i conflitti. Ogni volta che mi trovo in una zona di guerra, c’è una tensione palpabile nell’aria, una miscela di adrenalina e apprensione che si respira. Ho sicuramente provato paura, ma spesso è accompagnata da un forte senso di scopo. Il mio obiettivo è raccontare storie, catturare l’umanità nel mezzo del caos. Anche quando la paura sembra travolgente, mi spinge a diventare più attento, a osservare con maggiore consapevolezza e a documentare con sincerità. Alla fine, si tratta di connettere le persone alle esperienze degli altri, anche in quelle che sono le circostanze più estreme».
Una sua fotografia è una delle più famose del ventesimo secolo: quella di Sharbat Gula, la ragazza afgana dagli occhi verdi e le ha valso la copertina del National Geographic. Quanto le risulta difficile creare immagini connotate da un successoconfrontabile con quello?
«Quando ho scattato la foto della ragazza afgana, sentivo che quell’immagine aveva qualcosa di speciale, ma non avrei mai potuto immaginare l’impatto mondiale che avrebbe avuto nei decenni successivi. È difficile rendersi conto delle conseguenze di un momento mentre lo si sta vivendo. Il percorso di quella fotografia è stato al contempo di umiltà e ispirazione. Ogni scatto è un’opportunità per raccontare una nuova storia, ed è questo che mi spinge a rimanere ispirato e motivato. La vera magia risiede nei momenti che devono ancora arrivare».
Chi è il suo fotografo preferito? Se non ce n’è solo uno, chi sono quelli che per lei costituiscono riferimenti?
«L’approccio di Henri Cartier-Bresson alla fotografia spontanea risuona profondamente con il mio lavoro. È stato uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi, un vero maestro con un senso straordinario della composizione. La sua abilità nel catturare il momento perfetto e raccontare una storia attraverso una sola immagine continua a ispirarmi. Mi affascinano anche i lavori di altri fotografi iconici, come André Kertész e Dorothea Lange, di cui riconosco l’importanza nel campo della fotografia documentaristica e del racconto visivo».
Può descrivere il suo rapporto con l’Italia?
«L’Italia occupa un posto speciale nel mio cuore ed è stata una fonte costante di ispirazione durante la mia carriera. Nel corso di molti anni ho avuto il privilegio di esplorare la sua cultura e i suoi paesaggi, dalle vivaci strade di Roma al fascino tranquillo di piccoli borghi. La sua storia, l’arte e la cultura hanno influenzato profondamente il mio lavoro, così come il calore e la passione del popolo italiano. Fotografare qui è sempre un’esperienza unica: ogni regione ha un carattere, colori e storie proprie, e c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. L’Italia continua a essere un luogo con cui ho una connessione profonda, sia personale che artistica».
C’è un paese, una regione, una città, che non hai mai visitato, ma che le piacerebbe esplorare con la sua macchina fotografica?
«Il Turkmenistan è un luogo che non ho ancora avuto l’opportunità di visitare, ma che mi affascina profondamente e che vorrei esplorare con la mia macchina fotografica. La sua fusione unica di storia antica e mistero contemporaneo è per me davvero intrigante. Dallo sconfinato deserto del Karakum agli straordinari edifici di Ashgabat, il Turkmenistan offre contrasti affascinanti che desidero catturare. Il suo legame con la Via della Seta, le antiche rovine e le tradizioni culturali dei turkmeni sarebbero una fonte di ispirazione infinita. Il Kirghizistan è un’altra meta che da tempo desidero esplorare. I suoi paesaggi selvaggi e incontaminati, insieme alla cultura nomade che li caratterizza, sono davvero affascinanti. Le montagne imponenti, le steppe infinite e le tradizionali comunità di yurte offrono scenari straordinari. C’è qualcosa di eterno nello stile di vita del Kirghizistan che mi affascina profondamente, e sarebbe un privilegio catturare le immagini delle persone e del loro legame con la terra. Allo stesso tempo, sebbene abbia già avuto la fortuna di visitare il Friuli, mi piacerebbe tornarci per esplorarlo ancora di più. La regione è davvero ricca e variegata, con i suoi borghi costieri, le maestose catene montuose, i castelli storici e i tranquilli villaggi medievali. C’è ancora così tanto da scoprire e immortalare: ogni angolo ha il suo carattere e la sua storia, e sento che il mio lavoro lì è tutt’altro che concluso».
Nella sua visita in Fvg ha documentato Gorizia-Nova Gorica Capitale Europea della Cultura 2025. Che sensazioni ne ha ricavato?
«Visitando il Friuli Venezia Giulia, sono rimasto profondamente colpito da Gorizia e Nova Gorica, che si rivelano incredibilmente ispiratrici, soprattutto per la straordinaria fusione delle culture italiana e slovena. Questa zona è intrisa di una storia ricca e si percepisce chiaramente quanto le due comunità siano legate tanto al loro passato condiviso quanto al futuro che costruiscono insieme. Documentare questa realtà è stato un onore, un’opportunità per catturare non solo i paesaggi, ma anche lo spirito di resilienza, unità e celebrazione che caratterizza la regione. Pertanto, mi piacerebbe tornare in Friuli Venezia Giulia per esplorare ulteriormente le sue bellezze. Dalla splendida costa alle maestose montagne, dai castelli medievali ai villaggi più remoti, la regione offre innumerevoli soggetti affascinanti da immortalare. Sento che c’è ancora tanto da scoprire».
Alex Pessotto
Culture, drammi e volti: un narratore dell’intensità
Quando si fa il suo nome, è inevitabile pensare al ritratto de La ragazza afghana. Che poi è l’immagine che lo ha reso davvero celebre. D’altra parte Sharbat Gula, il nome della ragazza afghana che allora viveva in un campo profughi, era magnetica nell’intensità dello sguardo e nel contrasto dei colori. Occhi verdissimi e pashmina rossa. Fu la copertina del National Geographic del 1985, tutt’oggi un’icona della rivista. Ma appunto rimane un simbolo anche della sua poetica, alimentata dal virtuosismo cromatico e da una energica empatia umana.
Perché in fondo quando osserviamo i ritratti di McCurry, pare di cadere dentro a uno sguardo e al contesto che quello sguardo ci restituisce. E pensare che l’artista americano aveva tutt’altri progetti rispetto alla fotografia. Nato nel 1950 a Filadelfia, si è laureato nel 1974 in Cinematografia e Teatro all’Università della Pennsilvanya. Ma cinema e teatro li ha portati sulla strada, stimolato dalla necessità di muoversi, spostarsi, osservare. Soprattutto catturare l’animo umano.
I primi reportage risalgono agli anni ’70, in India per lo più, anche se la svolta della sua carriera avverrà in Afghanistan. Siamo nel 1979 quando McCurry riesce a entrare nelle zone afghane appena prima dell’invasione russa, terre allora controllate dai mujahidin. Fu lì che, travestito da locale, riuscì a rubare diversi scatti che diverranno storici, nascondendo le pellicole cucite all’interno dei vestiti. Una documentazione fotografica che gli è valsa la Robert Capa Gold Medal.
Il resto è storia. Lo confermano le 150 immagini che saranno esposte al Salone degli Incanti. La mostra spazia nella dimensione del “contrasto”, tipica di McCurry. Quindi ritratti, paesaggi di guerra ma anche scenografie poetiche, sofferenza e gioia, insomma, tutto lo spettro emozionale che la sua maestria riesce a evocare. Il suo stile è sempre stato dettato dal paradosso. Basta sfogliare i cataloghi e i suoi libri, da “The Imperial Way” a “Moonsoon” o “Bambini nel mondo”.
Foto perfette, esplosive per colore ma inquietanti. Perché la vivacità cromatica non toglie forza alle storie di povertà o sradicamento, anzi crea un legame più immediato con l’osservatore. Nulla mai è lasciato al caso, l’ha sempre detto: «Immergersi nella realtà che si vuole rappresentare». E questo McCurry l’ha sempre fatto. Sia che fotografasse i pescatori dello Sri Lanka (dopo una ricerca infinita di prospettive e giusta luce), sia che volesse fissare la violenza dei monsoni in India, scendendo nell’acqua fangosa, piena di rifiuti e animali morti.
È stato tra i primi a raccontare India e Asia con la fotografia a colori, non tenendo conto di un immaginario che guarda alla fotografia in bianco e nero come più “profonda”. E a colori ci ha raccontato molte guerre, quella civile libanese, l’afgana, la guerra cambogiana, quella del Golfo e di Iran e Iraq. Ma nel tempo ci ha anche restituito immagini di culture e tradizioni quasi estinte, in volti iconici di donne, bambini, anziani, che nel vigore dei colori ci precipitano nella varietà delle nazioni. Nella crudeltà delle guerre. Nell’intensità lirica di un istante: come un pescatore in bilico sopra una canna di bambù.
Mary B. Tolusso
Un luogo, tre sguardi
Nel mese di giugno di quest’anno le città di Gorizia e Nova Gorica hanno avuto Steve McCurry come ospite d’eccezione per un importante shooting fotografico che sarà parte fondamentale del progetto Tre sguardi per GO!2025.
Sarà raccontato il confine italo-sloveno attraverso reportage esclusivi, realizzati sul territorio, che diventeranno una grande mostra che sarà presentata nel 2025 in occasione delle celebrazioni che vedranno le due città insignite del titolo di Capitale Europea della Cultura.
Tre sguardi significa tre persone, tre sensibilità, tre angolazioni. Tre storie personali e collettive, con le diverse esperienze e un uguale approccio di rispetto. È stato emozionante vedere un terzetto di menti e di cuori mettersi al lavoro, seguire un percorso che ha cercato ispirazione nelle vicende di donne e uomini appartenenti a un luogo di tutti. Oltre al grande fotografo statunitense, sono stati coinvolti l’italiano Alex Majoli e la slovena Meta Krese, testimoni con idee, metodologie e tecniche distinte, impegnati a descrivere un territorio con identità molteplici, ma con la volontà di costruire un futuro di unità, di due città separate per troppo tempo da un confine.
Il progetto è curato dal CRAF_Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, voluto e sostenuto dalla Regione Autonoma FVG in collaborazione con l’Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione FVG e PromoTurismoFVG.
Per la realizzazione degli scatti di Steve McCurry sono stati ideati e organizzati degli incontri e delle interviste coordinate dal giornalista e storico Roberto Covaz (a lungo un’affermata “colonna” del Piccolo, ndr) e supportate da un backstage del regista Marco Rossitti. Come direttore del Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, ho ideato e curato il progetto, con la collaborazione di Michele Smargiassi.
Una parola chiave, nella narrativa di questa operazione, è “restituire”. Il progetto produrrà una mostra fotografica e la pubblicazione dei cataloghi, con un potente storytelling con immagini iconiche. Dimentichiamoci di vedere foto di architettura o di urbanistica. Tutto ruoterà su un perno sociale; ritratti di persone che sono state coinvolte in interviste che documentano la storia del territorio, crocevia di culture europee – italiana, slava e germanica – eredi della vecchia aristocrazia e della storia dell'Europa del dopoguerra. Un progetto nato dall’attribuzione dell’ECOC è un'opportunità per collegare tutti questi fattori e promuoverli in ambito europeo, come un possibile paradigma di convivenza tra diverse culture.
I tracciati che Steve McCurry ha seguito secondo le indicazioni di Covaz sono stati molteplici, vere e proprie storie documentate attraverso la fotografia. Così viene ripreso un ex infermiere dell’Ospedale psichiatrico, ora chiuso, di Gorizia in seguito diventato parco Basaglia in onore del celebre psichiatra che alla fine degli anni 60, proprio in questa sede, cominciò la sua rivoluzione terapeutica nella cura dei malati. In seguito Celestina testimone della domenica delle scope (13 maggio 1950) quando parte della popolazione forzò il confine jugoslavo per entrare a Gorizia acquistando prodotti (come le scope di saggina, da qui il nome di quella giornata) e per incontrare parenti e amici. E tanti altri reportage fino ai ritratti dei giovani nati dopo il 30 aprile 2004, quando venne rimossa la rete che divideva Gorizia da Nova Gorica nella piazza Transalpina e si festeggiò l’ingresso della Slovenia nell’Ue.
Il backstage di questo lavoro è stato documentato dal regista Marco Rossitti, docente dell’Università degli Studi di Udine, che con il suo stsaff ha seguito McCurry realizzando un prezioso docufilm con una intervista finale dell’autore: sarà presentata durante l’esposizione del 2025 a Gorizia (data e location sono in via di definizione). Un’idea che sarà supportatoa da tre cataloghi, uno per autore. Quei volumi documenteranno un grande lavoro di ricerca.
Alvise Rampini
L’allestimento: un lungo percorso curvo nelle indicazioni del Maestro
L’allestimento della mostra di Trieste è stato concordato con la sua curatela. La progettazione architettonica ed esecutiva si deve a ProEvent, azienda di Concorezzo (provincia di Monza e della Brianza) che ha per titolare Ares Bolognesi, anche docente al Politecnico di Milano. «È la seconda mostra che facciamo per Steve McCurry dopo quella di Zurigo del 2021 – racconta Bolognesi –. Quello che c’è tra noi lo si può definire un ottimo rapporto. Personalmente, ho trovato l’artista sempre molto disponibile nei nostri confronti».
Il Maestro, ha indicato un livello specifico di illuminazione delle opere. A tal proposito, è stato sfruttato un ambiente ad hoc utilizzando unicamente la navata centrale del Salone degli Incanti, «dato che la luce naturale avrebbe causato parecchie difficoltà, essendo ovviamente variabile a seconda delle condizioni meteo e delle diverse ore della giornata. Quindi, per valorizzare al meglio l’esposizione abbiamo voluto isolarci completamente dall’esterno» afferma Bolognesi riguardo all’allestimento.
Che, più nel dettaglio, «avrà al centro una lunga parete sagomata che fornirà una continuità e un ritmo alle oltre 150 opere in mostra: in altre parole, i visitatori noteranno un grande serpentone centrale e bifacciale. Per la precisione, le fotografie di Steve McCurry saranno collocate da una parte e dall’altra del serpentone oltre che lungo il perimetro del volume isolato dall’esterno e creato appositamente».
Per il resto, sempre al fine di valorizzare le opere, anche le luci saranno sagomate: illumineranno le singole foto e null’altro. Quindi, l’allestimento prevederà almeno un illuminatore led per fotografia.
Alex Pessotto
GO! si apre al Friuli Venezia Giulia
Che Go!2025 sia un evento che abbraccia più territori è insito nella sua natura, figlia della candidatura transfrontaliera di Nova Gorica e Gorizia a capitale europea della cultura. Ma la condivisione non riguarda soltanto il territorio delle due città, strettamente inteso, e si ramifica tanto verso l’interno della Slovenia quanto verso il Friuli Venezia Giulia.
Per il Fvg questo significa innanzi tutto G0!2025&Friends, una serie di appuntamenti che porterà in regione nomi che volano a quote globali, come per l’arrivo al Salone degli Incanti di Steve McCurry, o per i concerti a villa Manin di Alanis Morissette e Sting. Ma significa anche tanti appuntamenti più piccoli sparsi dalle montagne al mare.
I concerti sono uno dei fattori di maggior richiamo di questo 2025. Si è visto nel 2023, quando 8 mila persone si sono riunite all’ex valico di frontiera della Casa Rossa per assistere al concerto di Patty Smith. Lo stesso luogo, sospeso fra le due Gorizie, o se vogliamo nel cuore di questa Gorizia-Gorica estesa, vedrà esibirsi il prossimo 3 di luglio la rock band alternativa di Jared e Shannon Leto Thirty Seconds to Mars. La città però non sarà l’unica a ospitare momenti musicali di simile richiamo: l’ormai storica arena da concerto della regione, villa Manin, vedrà arrivare il 22 di giugno una leggenda generazionale, Alanis Morissette. L’artista canadese porterà nella residenza del Doge il concerto in cui celebra il trentennale dell’uscita del suo disco manifesto Jagged Little Pill, occasione per un’esibizione che sarà “antologica” della sua decennale carriera.
Il 9 di luglio invece la villa veneta vedrà arrivare “STING 3.0”: il progetto con cui l’ex frontman dei The Police si esibisce con il virtuoso chitarrista e collaboratore di lunga data Dominic Miller e il dinamico batterista Chris Maas (Mumford & Sons, Maggie Rogers). Il concerto, che dopo il tour nordamericano è approdato al suolo europeo, rappresenta una nuova era dinamica con selezioni del suo vasto catalogo, in primis dai The Police, attraverso la lente urgente di un affiatato combo di tre elementi.
Il carattere esteso di Go!2025 non si ferma qui. Se guardiamo agli eventi trascorsi, non mancano le manifestazioni organizzate in tutta la regione sull’onda della capitale goriziana. Qualche esempio per dare l’idea della varietà: nell’ottobre scorso l’ecomuseo di Resia ha lanciato una serie di escursioni intitolate “Scopri Resia 2024”, appunto alla scoperta di una delle vallate più spettacolari della regione dal punto di vista paesaggistico e naturale, e al contempo custode di una tradizione culturale unica e antichissima, incarnata dalla lingua e dalla musica della sua gente. Ma anche la tradizionale tre giorni di festa “Gaudeamus” di Aquileia, paese che un tempo fu città, è entrato a far parte della rete di Go!2025. Potremmo continuare a lungo, in tutto il Fvg: perché in fondo la capitale della cultura è anche questo, la vetrina di un territorio intero.
Giovanni Tomasin
La scheda sulla mostra
Trieste, Salone degli Incanti
15 novembre 2024 – 4 maggio 2025
Orario di apertura
DA MARTEDI A VENERDI 10 -18 (ultimo ingresso ore 17)
SABATO DOMENICA E FESTIVI 10 - 19
(ultimo ingresso ore 18)
25 DICEMBRE: chiuso
BIGLIETTI (Ticket One)
OPEN (acquista il biglietto ed entra quando vuoi) €15
INTERO €13
RIDOTTO SINGOLO € 10 (over 65, dipendenti del comune di Trieste con badge nominale; ragazzi 18-25 anni) ; possessori di FVGcard; forze dell'ordine; insegnanti; guide turistiche; ridotto gruppi min 12 / max 30 pax (tariffa a persona)
RIDOTTO BAMBINI/RAGAZZI 6-17 anni e scolaresche (prezzo per singolo studente) € 6
TARIFFA FAMILY € 10 genitore cadauno + € 6 per minore dai 6 ai 17 anni
GRATUITÀ: bambini fino a 5 anni, persone diversamente abili con disability card; accompagnatore per persone diversamente abili che presentino necessità di accopagnamento specificata nella disability card; docenti se accompagnatori di gruppo scolastico; giornalisti precedentemente accreditati alla mail press@promoturismofvg.it
La prenotazione è obbligatoria per gruppi e scuole
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