Quattro storie di donne spezzate: la nuova antologia di Carlotto
Il libro dello scrittore padovano parla di vittime provate dalla violenza maschile. L’autore: «Stano il sommerso degli uomini»

Quattro racconti al femminile, quattro storie di sconfitta e fallimento, di donne piegate dalla vita, dalla società, da uomini che anche quando sono deboli mostrano tutte le tracce della loro arroganza, magari fatta di silenzi, di assenze, di mancanza di responsabilità. Quattro donne anche colpevoli, ma pur sempre a loro volta vittime di qualcosa che le ha “rotte” dentro.
Massimo Carlotto torna in libreria con una raccolta di racconti, Danzate su di me (SEM, p.208, 18 euro), che verrà presentata oggi alle 18 a Padova, alla sala del Romanino, dall’autore e dall’assessore comunale alla Cultura Andrea Colasio.
Sono racconti scritti in epoche diverse, tre editi e uno inedito, eppure c’è una grande compattezza dal punto di vista tematico e narrativo. «Si, mi interessava usare queste quattro donne, che sono figure che emergono dalla cronaca, per stanare quel sommerso maschile che secondo me viene raccontato poco a livello letterario.
Sono vittime, anche quando apparentemente non lo sono, perché subiscono dinamiche maschili che sono estremamente pesanti, fuori luogo. In “Niente più niente al mondo” la figura inesistente del marito è secondo me proprio un piccolo esempio della persistenza di una cultura patriarcale: ci sono problemi di cui si deve occupare solo la donna. Il marito nel racconto è dunque una figura che sta a lato, che non appare mai di fatto, ma è il vero colpevole di tutta la situazione. Anche questo andava raccontato».

Sono tutte storie in cui il denaro ha un ruolo essenziale.
«Nella mia scrittura c'è sempre questo aspetto, che secondo me è fondamentale. La relazione tra società e denaro è cambiata profondamente e questo vale tanto per le fasce deboli, che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e non sembrano avere prospettive di vita degne, quanto per media borghesia che è protagonista, ad esempio, di “Il giardino di Gaia”, un racconto che parte, tra l’altro, da una vera intercettazione telefonica durante una inchiesta per corruzione. Quella che racconto è un'idea del denaro che ha anche molto a che fare col nostro territorio, che è molto nord-est, insomma: il denaro non basta mai e bisogna sempre cercare in tutti i modi di raggiungere livelli sempre più alti. Questo ha determinato anche secondo me una vera e propria mutazione antropologica nella società».
Torna anche un tema a te caro come quello dei mondi chiusi e terribili, in cui tutti conoscono tutti.
«In fondo in questi racconti il meccanismo “criminale” diventa una scusa per raccontare tutto quello che ci sta intorno e quando uno scrittore ha, come me, uno sguardo ossessivo sulla realtà cerca di raccontare tutto, di avere una visione completa di quello che sta intorno ai fatti. Credo che sia sempre molto importante avere ben chiaro, a livello di analisi, ciò che devi raccontare al lettore».
Sono racconti molto teatrali, in cui “il parlato” diventa dominante.
«Tre di questi racconti sono stati molto usati per il teatro, anche a livello europeo. Sul quarto, “Danzate su di me”, stiamo adesso lavorando nella stessa direzione. Quando mi hanno proposto di fare questo libro di racconti ho scelto questi quattro e non altri proprio perché c'è questa continuità di elaborazione sia del pensiero sia della forma narrativa. Il parlato qui è veramente fondamentale, perché dà immediatamente l'idea della possibilità della trasposizione teatrale».
Anche “Danzate su di me”, con la donna che vive anche in una seconda casa, che ha anche un secondo rapporto, nasce dalla cronaca?
«Da tempo raccolgo storie sulle “doppie vite”, che mi sembrano una caratteristica interessante della modernità: una seconda vita come forma di fuga, di sopravvivenza dalla prima vita. A questo tema ne ho voluto aggiungere un altro che mi ha colpito molto. Il fatto cioè che il carcere consuma le parole, nel senso che uno che sta in carcere alla fine usa sempre gli stessi vocaboli e non è più in grado di esprimersi con la lingua. La lettura è l’unico antidoto, ma in questi anni in carcere si legge sempre meno».
Di solito il protagonista di queste seconde vite è il web. Tu invece lo hai eluso.
«Non del tutto, c’è un accenno al web, però ho scelto di non renderlo centrale perché è troppo facile ridurre tutto alla rete o ai social».
Alcune di queste storie sono nate anni fa, eppure non ci si accorge degli anni trascorsi.
«Pensavo che alcuni temi fossero superati ed invece rileggendoli la prima sorpresa è stata scoprire che non lo sono affatto».
Il tuo ciclo narrativo più famoso, quello dell’Alligatore, ha appena compiuto trent’anni.
A settembre uscirà il nuovo romanzo, il dodicesimo della serie. Ma prima a Padova il 2 luglio faremo un grande festeggiamento con un noto attore padovano...».
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