Poetry slam, questi versi sono da urlo
Sei partecipanti, il pubblico come giuria, testi inediti, una performance collettiva. L’anno scorso più di 500 serate in tutta Italia, siamo andati a seguirne una a Padova. «Il segreto del successo? La voglia di ascoltare»
Ovazioni, buuuu, grasse risate, fischi, perfino urla di gioia. Non sono i rumori che ti aspetteresti di sentire aprendo la porta di un locale dove si recitano poesie. Ma è solo la prima sorpresa per chi non ha mai partecipato - attenzione, non assistito, proprio partecipato - a un poetry slam.
Letteralmente sta per “colpo poetico”, praticamente ci si trova un po’ dove capita - solitamente bar, locali, circoli, ma anche garage e cantine - e sei poeti si sfidano a colpi di parole scritte. Il pubblico è parte attiva, e non solo perché assegna i voti alle prove.
Quello che succede è che uno spettacolo apparentemente individuale diventa performance collettiva, anche perché la gara appare rapidamente per quel che è, ossia un pretesto per divertirsi (“Il miglior poeta non è quello che vince”, si dice). L’agonismo, se c’è, non si vede. E gli slammer concorrono alla pari alla riuscita di serate che risultano quasi sempre molto divertenti, per essere - appunto - letture di poesie.
Il fenomeno degli slam, nato a metà degli anni ’80 a Chicago per iniziativa di un poeta-operaio, tale Marc Kelly Smith, stufo di vedere il pubblico sbadigliare ai reading di poesie che organizzava, è arrivato in Italia solo nel 2001 grazie al poeta Lello Voce. Serate underground, per un po’ di anni, ma c’è chi si è fatto le ossa con gli slam (Lorenzo Maragoni, che ora riempie i teatri, è stato campione due anni fa), chi lo ha sperimentato con gusto (Tiziano Scarpa, Filippo Timi) e chi si è accontentato di viverlo semplicemente per quel che è, un campionato amatoriale di arte scritta.
Comunità poetiche sono sbocciate in tutta Italia avendo come riferimento la Lips, Lega italiana poetry slam, fondata nel 2013, della quale presidente oggi è Andrea Fabiani. Che sabato 25 gennaio, insieme ad altri cinque, si è esibito (peraltro vincendo, ma chi se ne frega) ai Carichi Sospesi di Padova, in una serata organizzata da Rimescolate.
«Siamo arrivati a fare 500 slam in un anno», ha raccontato Fabiani nell’intervallo fra una performance e l’altra. «I collettivi sono tantissimi e si ritrovano nei posti più disparati, anche spazi piccolissimi. Come Lega ci occupiamo soprattutto del coordinamento per le finali nazionali». Che sono, si sospetta, un pretesto per viaggiare, incontrarsi e divertirsi tutto l’anno. Perché gli slammer, che certamente non ci guadagnano (qualcuno pubblica un libro, qualcuno si esibisce in locali, pochi arrivano in tv, ma non c’è professionismo), formano una sorta di compagnia di giro: si sfidano ma sono amici, si ospitano a vicenda quando ci sono le gare, confrontano i propri scritti, si contaminano. E sabato 25 gennaio a Padova c’erano cinque “storici” dello slam, cinture nere della disciplina: oltre a Fabiani, Lorenzo Bartolini, Luca Cancian, Gabriele Bonafoni e Arsenio Bravuomo, più la quasi debuttante Elena Walczer Baldinazzo.
La sfida funziona così: i poeti in gara sono quasi sempre sei, ognuno si esibisce due volte, per tre minuti (se va lungo, sarà penalizzato nel punteggio), su testi propri, senza oggetti di scena, né musica. Cinque persone scelte a caso fra i presenti (e che cambiano ad ogni manche) danno il voto a ogni poesia, il voto più alto e il più basso si scartano, gli altri si sommano.
Il pubblico ascolta, applaude (ma con garbo, schioccando le dita così da non interrompere la prova) per sottolineare i passaggi più apprezzati e infine esplode in urla o fischi, verso gli slammer o per i voti non condivisi. I temi delle poesie, manco a dirlo, sono liberi e spesso figli di intuizioni geniali, crisi esistenziali, scene esilaranti di vita quotidiana.
Sabato Fabiani ha “spaccato” con uno dei suoi cavalli di battaglia, “Essere Oslo”, che parla di solitudine, di amore e di Norvegia, ma gli hanno dato filo da torcere un po’ tutti: Cancian con una poesia sul suo menisco e sulla riabilitazione nelle palestre aperte anche di notte, Bravuomo con una poesia d’amore (“Andiamo a vivere una vita di stenti”), Walczer Baldinazzo con una insolita recensione di Don Matteo scritta con caps lock (e quindi urlata), Bartolini con un testo sulla donazione di sangue e sulle difficoltà dell’infermiera, la Carla, e Bonafoni con una sorta di esercizio di stile in chiave cinematografica. Il primo round è stato da urlo, letteralmente, ma anche la finale (tra Fabiani, Cancian e Bartolini) è stata di altissimo livello. «Perfino io mi sorprendo ancora di quanto coinvolgimento può esserci», ha detto Fabiani. «Ma anche del silenzio con cui si ascoltano i testi.
Ecco, la voglia di ascoltare è il segno distintivo di queste serate. Si partecipa, certo, ma poi si torna a casa con la sensazione di aver ascoltato. Forse non siamo più abituati a farlo, anche per questo chi viene a vederci se ne va entusiasta e poi torna». —
Riproduzione riservata © il Nord Est