Se il “salvatico” diventa salvifico: il testo di Mario Rigoni Stern

Escono gli atti del grande convegno internazionale di Parigi ’24 su Rigoni Stern. Li precede un testo dell’autore, sull’ecologia, mai uscito in volume. Ecco uno stralcio

Mario Rigoni Stern

Per gentile concessione di Ronzani editore pubblichiamo un estratto da “La questione ecologica nell’opera di Mario Rigoni Stern”

 

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Dalle nostre montagne lo sguardo si perde lontano, verso sud e anche verso nord. Verso est e verso ovest il vasto paesaggio viene contornato dalle quinte del Grappa e dal Pasubio; due nomi importanti nella storia d’Italia. Dal Cansiglio alla riva orientale del Lago di Garda, lungo le Prealpi, si estende un territorio affascinante per natura e paesaggio, ancora fortunatamente non intaccato dalle speculazioni perché la sua selvatichezza e l’isolamento l’hanno salvato.

È chiaro che non intendo dire la pianura ai piedi dei monti che, ormai, è una continuità di capannoni e case come ben sanno urbanisti e poeti, ma quelle colline e quei monticelli e quelle vallette che risalgono le montagne tra Livenza e Brenta, tra Brenta e l’Agno, tra l’Agno e l’Adige e rive del Garda. Insomma tra Prealpi Bellunesi e Monte Baldo. Anche, viene da aggiungere, quelle due isole dentro l’affollata pianura, che sono i Colli Berici e i Colli Euganei. Questi luoghi apparentemente selvaggi dovrebbero essere in futuro la salvezza del nostro Veneto che si è avviato verso il Terzo Millennio con, mi pare, poca lungimiranza.

Ho voluto riguardare questo paesaggio dell’anima aprendo ancora una volta atlanti e carte geografiche. Ripensando le montagne, i corsi d’acqua, i centri abitati, le città, la campagna e i poeti, i pittori, i musicisti, gli architetti che hanno lasciato testimonianze.

Mi soffermo a guardare la carta fisica delle Alpi nel grande Atlante Internazionale del T. C. I. e la confronto con l’immagine del satellite per meglio studiarla. Lo scruto, questo nostro Veneto, nei particolari dei corsi d’acqua, nei rilievi, nelle lagune. Sono riportati anche i torrentelli che scorrono solamente con il disgelo e con le piogge autunnali. Immagino come potevano essere le valli diecimila anni fa quando i ghiacciai si ritiravano e gli uomini del mesolitico risalivano il mio Altipiano per cacciare i camosci, i cervi, gli stambecchi. Ma perché, dopo centocinquanta anni nei boschi dei Merk Wisen, Marcesina, è ricomparso un orso? Cosa è venuto a dirci? ... Vedo le colline con gli olivi e le viti; più sopra le montagne, e in quella fascia tra olivi e vigne sotto, conifere e latifoglie sopra, si fermano i pensieri e gli occhi; ritornano ricordi e immagini e la sensazione precisa che le leggi degli uomini non devono ignorare le leggi della natura, ma anche che le leggi dovrebbero rinaturalizzare le norme (…).

Della vita degli uomini fanno parte anche le contrade tra montagna e pianura dove, con la povertà ma anche con una certa libertà di custodi, vivevano, ma ancora qualcuno vive, abitanti con poco reddito ma tanta ricchezza di memorie, ed è qui che vorrei richiamare l’attenzione dei programmatori con uno sguardo al futuro. Ora, nelle più selvagge colline tra montagne e pianura mi pare di scorgere i luoghi dove vivere una vita più accettabile e più civile (…).

A rivalutare questi luoghi abbandonati e fuori mano non dighe, non deviazioni di torrenti, non ponti su abissi, autostrade, grandi edifici. Bastano occhi attenti alle cose discrete e non rumorose, buon gusto, amore per il paesaggio. A quelli che saranno i fortunati e saggi abitanti di questi luoghi letteralmente riscoperti, siano di auspicio le parole che Anton Cechov scriveva a un amico di città «... qui ogni albero l’ho piantato io e mi sono cari.

Ma ciò che importa non è questo, è il fatto che prima che io venissi qui non c’era che un terreno incolto e fossi pieni di pietrame e cardi selvatici. Ho trasformato quest’angolo perduto in un luogo bello e civile». —

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