Renzo Guolo svela le trame fasciste nel Corno d’Africa

Nel libro “Una missione civilizzatrice” il professor Renzo Guolo racconta come il regime italiano usò l’etnologo francese Griaule per giustificare l’invasione del regno africano

Paolo Marcolin
In alto Renzo Guolo, sotto la copertina del libro. A destra truppe coloniali italiane avanzano verso Addis Abeba
In alto Renzo Guolo, sotto la copertina del libro. A destra truppe coloniali italiane avanzano verso Addis Abeba

L’Africa degli anni Trenta del secolo scorso sembrava uscita dalle pagine di un romanzo di Graham Greene. Politica, armi, intrighi, avventurieri e spedizioni scientifiche, un po’ di tutto questo si agitava nell’Etiopia di Hailé Selassié. 

Il regno del Negus era al centro degli appetiti italiani, con i servizi segreti del regime fascista che mettevano a punto tentativi di colpi di stato, doppiogiochismi, alleanze scritte sulla sabbia. Dietro si stendeva l’ombra della grande politica, con Francia e Gran Bretagna che tentavano di allontanare Mussolini dalla minacciosa amicizia con Hitler.

Sotto il sole degli altopiani etiopici si muovevano strani avventurieri come il barone Raimondo Franchetti, una specie di Lawrence d’Arabia del Ventennio che viveva, quando non era in Africa, a Venezia, in un palazzo vicino al ponte dell’Accademia assieme alla moglie, discendente dei dogi Mocenigo.

O l’ex governatore dell’Eritrea, il trevigiano Jacopo Gasparini che dalla sua grande tenuta agricola al confine con il Sudan britannico gestiva il più rilevante centro d’informazione italiano sulla vicina Etiopia, tessendo una stretta rete di contatti con i capi abissini locali ostili ad Hailé Selassié. Il che non gli impediva, però, di invitare nella sua villa di Volpago del Montello lo stesso Negus d'Etiopia.

In questo scenario scoppiettante era capitato quasi per caso un etnologo francese, Marcel Griaule, che mentre era impegnato in una missione per scopi scientifici si trovò, lui malgrado, nel bel mezzo di un’affaire diplomatico militare. Griaule venne utilizzato a sua insaputa dal console italiano a Gondar, Raffaele Di Lauro, che voleva attizzare la crisi con l’Etiopia, e per farlo non esitava a usare ogni mezzo.

Il libro di Renzo Guolo

Una spy story a tutti gli effetti, dunque, quella raccontata da Renzo Guolo, professore ordinario di Sociologia all’Università di Padova, in “Una missione civilizzatrice. Marcel Griaule, l’Etiopia e l’Italia fascista” (Meltemi, 178 pagg., 16 euro).

Il libro analizza le vicende legate al colonialismo italiano nel Corno d’Africa e giunge a comporre il quarto volume che Guolo ha dedicato all’etnologia francese tra le due guerre. Ma perché l’etnologia era così importante allora? Raccogliendo informazioni, gli etnologi giocavano un ruolo di supporto alle amministrazioni degli Stati impegnati nella politica coloniale.

La missione di Griaule aveva lo scopo di colmare il ritardo che la Francia soffriva rispetto agli altri paesi coloniali in materia etnografica, anche in vista dell’Esposizione di Parigi del 1931.

Griaule, dopo aver combattuto nella Prima guerra, era entrato al Ministero degli Esteri, aveva studiato lingue etiopiche ed amarico e seguito i corsi di Marcel Mauss.

Quando parte per la missione, per cui la Francia aveva stanziato oltre un milione di franchi, che deve condurlo da Dakar a Gibuti, ha poco più di trent’anni. Le autorità di Addis Abeba lo tengono d’occhio perché sono ostili al barcamenarsi della Francia tra Etiopia ed Italia, così lo obbligano a cambiare itinerario.

Griaule allora si dirige a Gondar, ospite del consolato italiano. Non è, però, la cortesia diplomatica che spinge il console ad aprire le porte alla missione dell’etnologo francese.

Di Lauro, attivissimo funzionario coloniale, che ha come compito specifico quello di perseguire attivamente la politica italiana di espansione in Etiopia, vuole sfruttare l’indagine sulla schiavitù a Gondar quale esempio di “barbarie” per screditare il paese africano, incapace di debellare il fenomeno schiavistico.

Accusa, quella italiana, tesa a legittimare la prospettiva di un intervento “civilizzatore” di Roma. Lo scopo è quello di mettere le mani sull’Etiopia.

Una politica che Roma persegue, con sempre maggiore intensità, dopo la “svolta espansionistica” del 1929, anche attraverso la rete informativa e operativa costruita nel tempo dall’ex governatore dell’Eritrea Jacopo Gasparini.

Gli italiani volevano presentare l’Etiopia come un paese barbaro: stigma che consente, appunto, di legittimare l’intervento militare italiano nella prospettiva della “missione civilizzatrice” e per farlo utilizzarono le ricerche di Griaule sullo schiavismo.

Guolo si muove su una “doppia narrazione”: mostra quello che succede sul terreno in Etiopia e cosa si muove contemporaneamente in Italia e Francia, a livello di governo e diplomazie.

Una volta scoppiata la guerra che avrebbe portato alla proclamazione dell’Impero, Griaule, resosi conto di essere stato usato dagli italiani, si schiera dalla parte di Hailé Selassié, al punto che salire con lui a bordo dell’Orford, la nave britannica che nel maggio 1936 conduce il Negus verso l’esilio in Inghilterra.

«Vestito di bianco, un lungo mantello che lo copre sotto il quale si percepisce una toga abissina. Gli zigomi prominenti, la capigliatura e la barba nere fanno risaltare ancor di più la sua carnagione chiara».

Così l’etnologo francese descrive l’ex imperatore, raccogliendo il suo punto di vista sulla guerra d’Etiopia. Ne sortirà un memoriale pubblicato dal supplemento della rivista “Vù” nel luglio successivo sotto l’esclusiva firma del Negus. Ma in realtà a scriverlo era stato Griaule.

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