Muti: se Dio toglierà la Musica e non le canzonette

Il direttore racconta il suo nuovo libro: «Il messaggio misterioso è dietro le note». Una riflessione su cultura e tradizione

Jacopo Guerriero
Riccardo Muti © Todd Rosenberg Photography - Courtesy of riccardomutimusic.com
Riccardo Muti © Todd Rosenberg Photography - Courtesy of riccardomutimusic.com

Non ha nostalgie e non vive lontano dalla storia, ma per il suo nuovo libro a quattro mani con Armando Torno – Recondita armonia, Rizzoli –Riccardo Muti ha scelto di confrontarsi con due stelle polari di carisma antico: Wolfgang Amadeus Mozart e Giuseppe Verdi. Manda un messaggio forte dalla prima all’ultima riga: non è necessario essere musicisti per potere amare in profondità la musica. «Bisogna intendersi bene, pure, su che cosa significhi conoscenza musicale», spiega il Maestro.

Riccardo Muti con Armando Torno. Recondita Armonia, Rizzoli, pp. 224, euro 18,50
Riccardo Muti con Armando Torno. Recondita Armonia, Rizzoli, pp. 224, euro 18,50

«Da un punto di vista oggettivo vuole dire conoscere la partitura, la scrittura, l’architettura musicale. Ma il punto non è comprendere come è costruito un pezzo di musica. Il punto profondo, difficile, misterioso è, come diceva Mozart, capire ciò che sta dietro la musica. Il messaggio misterioso è dietro le note. E ci può arrivare una persona priva di conoscenza musicale per sintonia, per intuizione. Paradossalmente, invece, a un musicista può capitare di non arrivarci».

A proposito di Mozart: il suo nome è tornato nel dibattito, accostato a quello di alcuni rapper. Ma è un accostamento che ha senso?

«La musica di Mozart va talmente diretta all’anima che, in certi casi, se ne fa anche un uso spropositato, improprio, che nulla c’entra con quelle note. Pensi al tema della sinfonia in sol minore: quella melodia così meravigliosa è stata utilizzata per ogni tipo di spot commerciali. Questi compositori, le cui note ci perseguitano per la loro bellezza, vengono usati in modo sbagliato: è lo scotto che si paga a un mondo che si poggia solo sulla commercializzazione. Questo, anche, spiega perché musiche che hanno successo in un certo momento possano essere accostate al genio mozartiano. Le due cose oggi, con la poca educazione musicale e certa confusione che caratterizza il nostro tempo, non sono distanti come sembra».

Ancora su Mozart: lei più volte ha messo l’accento sulla nostra tradizione italiana. Un paragrafo del suo libro si intitola «Influenza di Cimarosa su Mozart». È una provocazione?

«Quando Mozart, giovanissimo, viene in Italia, scrive a suo padre di non vedere l’ora di scendere a Napoli per incontrare i grandi della musica napoletana: Cimarosa, appunto, e poi Paisiello, Iommelli. Al suo arrivo a Napoli, addirittura, scrive due arie da aggiungere al Demofoonte, talmente è rapito dalla musica di Iommelli. Ancora, scrivendo al padre, gli dice che un’esibizione a Napoli ne vale più di duecento in Germania («anche se pagano poco»). Cosa significa questo? Napoli, solo per fare un esempio, è stata una delle capitali della musica, insieme a Madrid, insieme a San Pietroburgo, ma non ha tenuto conto abbastanza delle proprie radici».

Perché?

«Per decenni i nostri valori non hanno ottenuto la giusta importanza, non sono stati comunicati. A Salisburgo, qualche anno fa, io proposi alcune musiche della scuola napoletana ma bisogna dire che, in termini di repertorio, i veri tesori ancora giacciono nella biblioteca del Conservatorio di Napoli. Negligenza condannabile. Non si può non dare un accento formidabile a queste radici».

Se ne parla da tanto: è anche un problema istituzionale che riguarda l’educazione musicale.

«È un punto dolente da decenni. Non da oggi. Semplicemente la musica non è mai stata contemplata. È colpa antica. Il punto è che bisognerebbe avviare le ragazze e i ragazzi non al solfeggio ma a quell’insegnamento che genera innamoramento».

Questo governo sta facendo meglio o peggio?

«Qualcosa, forse, oggi si muove. Stiamo a vedere».

Qualche settimana fa la citava Crepet. Perfino di fronte a personaggi come il maestro Muti – spiegava – ormai ci interessano i segreti della fama, non più le idee.

«È un problema che non sembra avere soluzione, questo. Il nostro è un contesto che si nutre di superficialità. Non voglio atteggiarmi a Socrate, sono un uomo come tutti gli altri. Ma è una civiltà dell’intrattenimento, la nostra. Non c’è mai una proposta per la sostanza e per l’arricchimento vero. Le rubriche sui temi musicali, nei tg, si annunciano sempre come intrattenimento. «E, ora, musica! ».

Invece cosa si potrebbe fare?

«Invece la cultura non è entertainment. Anche i media hanno le loro colpe in questo. Non è questione di essere quaresimali dalla mattina alla sera. È giusto lo spazio per l’alleggerimento ma la profondità è una dimensione che abbiamo perso. L’arricchimento dello spirito invece è un rifugio».

Gli stili sono molto cambiati anche nella direzione d’orchestra, però.

«È vero. I direttori spesso si presentano in modo clownesco. Il pubblico, del resto, vuole vedere e spesso non ascoltare. Non si vuole più immedesimare in ciò che sente. Un tempo i direttori – pensi a Fritz Reiner o a Eugene Ormandy– usavano la direzione di un testo come concertazione di una idea musicale. Non come possibilità istrionesca».

Anche Bernstein? Faccio un nome importante.

«Bernstein esprimeva in pedana la sua dinamica interiore. Era una torcia elettrica piena di musica. Nulla a che vedere con i più deteriori delle giovani generazioni».

Dal palco di Vienna, quest’anno, lei ha invocato pace, fratellanza e amore. Il mondo pure, non sembra andare in questa direzione. È anche una questione culturale?

«Tutta l’Europa ripiega su se stessa. Abbandona il suo passato. Non creiamo abbastanza orchestre, non riapriamo i teatri. Come ho spiegato nel libro: in Corea, in Cina, in Giappone, si hanno più a cuore i nostri valori che nei nostri paesi, c’è più amore lì per l’Occidente».

Arriviamo a Verdi. Recondita armonia riflette anche sulla sua grande capacità drammaturgica, sul suo rapporto con Piave, il librettista veneziano cui, anche per lettera, dava spesso del «mona».

«Verdi, oltre a essere stato il grandissimo musicista che è, è stato anche un immenso uomo di teatro. Già con la sua musica egli traccia una regia. Significa che dobbiamo seguire pedissequamente le sue indicazioni? Certo che no. Ma le novità, le idee nuove non possono non tenere conto della sua lettera. Non si possono violentare le linee registiche che lui ha lasciato scritte come spesso i registi di oggi fanno. Nella sua musica tutto è perfetto».

Le daranno del conservatore.

«Tra gli anni ’70 e gli ’80 io ho lavorato a nove diverse produzioni teatrali con Luca Ronconi. Mi sembra strano accusarmi di conservatorismo. Quando diressi Nabucco, a Firenze, talmente era sconvolgente la regia di Ronconi, che alla fine dell’opera qualcuno gridò «Ronconi in Arno». Luca era però rispettoso della musica. Oggi le regie stravolgono, spesso confondono lo spettatore».

Ci salutiamo con una delle sue citazioni più amate, da Sant’Agostino: «Fare musica è proprio di chi ama».

«Però le cito anche una frase di Cassiodoro di cui mi ha detto il cardinal Ravasi e che ho messo nel libro: «Se noi uomini continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci punirà togliendoci la musica». E attenzione: non ci toglierà la canzonetta. Toglierà la Musica».

L’unico concerto a Nord Est

Riccardo Muti dirigerà l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini domenica 20 luglio a Villa Manin a Codroipo (UD). L’Orchestra eseguirà la sinfonia tratta dalla Norma di Vincenzo Bellini, le quattro stagioni di Giuseppe Verdi da I Vespri Siciliani. Protagonista della serata anche Nino Rota e le sue indimenticabili colonne sonore composte per Il Gattopardo (1963) e Il Padrino (1972). Infine spazio al Boléro di Maurice Ravel.

La linkeria

 

 

 

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