Troppi annunci, arriveremo già stufi a Sanremo

L’eterno ritorno del sempre uguale è rassicurante. Specie poi se il suo contenuto è prevedibile, lenitivo e ipnotico come un discorso di Forlani o di De Mita

Alberto MattioliAlberto Mattioli
Alessandro Cattelan e Carlo Conti
Alessandro Cattelan e Carlo Conti

Sanremo, sempre Sanremo, fortissimamente Sanremo. D’accordo: è il rito nazionaltelevisivo italiano che riunisce e racconta il Paese come nessuno, il record d’ascolti garantito, il grande affare pubblicitario, il nostro Golden Globe, il nostro Super Bowl, la nostra notte degli Oscar, eccetera eccetera, tutto detto, ridetto, stradetto.

Ma non si starà esagerando?

Uno va a farsi un viaggetto all’estero, torna e trova l’Italia ferma dove l’aveva lasciata: alle anticipazioni su Sanremo. Che, oltretutto, è la tipica istituzione in cui ogni innovazione riuscita diventa subito tradizione, e la tradizione è subito più inattaccabile e indiscutibile delle tavole della Legge. Quindi anche quest’anno si è ripetuto il copione consolidato.

Prima, spasmodica attesa per sapere chi sarà il bravo presentatore; poi annuncio che sarà Carlo Conti; poi annuncio da parte dell’Abbronzatissimo del nuovo complicatissimo regolamento, peraltro l’unico più o meno rispettato in questo Paese; poi dei partecipanti in gara, trenta sedicenti Campioni e quattro giovani ipoteticamente emergenti; poi dei conduttori del Prima Festival; poi del co-conduttore dell’ultima serata, che sarà Alessandro Cattelan; poi dei co-conduttori delle altre serate, troppo numerosi per citarli tutti e che comunque avete letto sul giornale. Il tutto con solenni interventi al Tg1 delle 20, davvero la messa più cantata che ci sia, presentati e seguiti con attenzione spasmodica.

Insomma, Sanremo non è il festival della canzone: è la festa dell’Annunciazione. E naturalmente non è finita qui. Perché adesso ci toccheranno i giudizi dei critici ammessi ad ascoltare in anteprima le canzoni con relative pagelline; i primi scatti rubati della rutilante scenografia; la canonica copertina di “Tv Sorrisi e canzoni”; più anticipazioni, interviste, pettegolezzi. È già molto se delle previsioni sul festival non si parla in quelle del tempo.

Ora, sfottere Sanremo fa parte del gioco e il fascino sadomasochistico che continua contro ogni logica a esercitare sugli italiani (una variante della sindrome di Stoccolma in cui un’intera Nazione viene presa in ostaggio da un festival musicale e, invece di odiarlo, se ne innamora) deriva anche dalla sua ripetitività.

L’eterno ritorno del sempre uguale, come l’avrebbe chiamato Nietzsche, è rassicurante. Specie poi se il suo contenuto è prevedibile, lenitivo e ipnotico come un discorso di Forlani o di De Mita, a conferma che l’Italia, quindi anche Sanremo, sono congenitamente democristiani.

Per carità, l’attesa del piacere è essa stessa un piacere: ma, posto che è tutto da discutere se il mostruoso spettacolo che va implacabilmente in scena ogni anno all’Ariston sia effettivamente un piacere, dilatarlo su mesi di anteprime rischia di farci arrivare a Sanremo già stufi di Sanremo.

Un po’, si parva licet, come succede con il Natale. E tuttavia gli italiani continueranno a dividersi in due categorie: quelli che ammettono di guardare Sanremo e quelli che mentono. Salvo poi il 16 febbraio, a festival finito ma già con le prime anteprime sul ’26, parafrasare Riccardo Garrone in un indimenticato Vacanze di Natale: e anche questo Sanremo ce lo siamo tolti dalle p***e! —

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