Visite guidate, degustazioni, showcooking: ecco WeFood, il sapore del territorio
La due giorni nelle aziende del Nord Est. Il turismo si unisce al gusto in un’unica esperienza collettiva


Chissà se Jean Brunhes da Tolosa avrebbe mai immaginato che una sua frase , più di cento anni dopo averla proferita, avrebbe rimbalzato su Instagram e nelle pubblicazioni di promozione turistica, nei video di YouTube e nelle analisi sul cibo e il territorio. Probabilmente non si sarebbe scomposto. Lui era un uomo di confini.
Il primo confine che attraversò è quello delle epoche: visse percorrendo la linea tutt’altro che sottile tra l’Ottocento e il Novecento. Il secondo confine è quello dei temi di studio: figlio di un professore di fisica e fratello di un affermato meteorologo Bernardo, tradusse in francese la Costituzione di Atene di Aristotele; e tra Digione e Parigi approfondì scienze umane e scienze esatte, sì, entrambe le cose, come accade solo a certi grandi. Scelse alla fine la geografia. Ma si chiamò geografia umana, e divenne una disciplina.
Mangiare, è incorporare un territorio
Questo è l’aforisma celebre che porta Brunhes ancora oggi a spasso tra le pagine web e i vigneti, tra i libri e i messaggi whatsapp. E plana anche qui, tra queste righe, in un testo di carta e digitale, che introduce la nuova edizione di un viaggio collettivo, un viaggio lento e interessato: WeFood primavera 2025.
WeFood è un festival, ma non come si può immaginare di solito. Non è come Sanremo, come Cannes o come una deliziosa raccolta di incontri pubblici, dove le persone si riuniscono, assistono e si confrontano in uno o più punti di coordinate precise, a proposito di geografia. WeFood è sparso, anzi, come si ama dire oggi è “diffuso”: una costellazione di esperienze, una serie di luci più connesse e luminose dei famosi satellitini in navigazione notturna. WeFood ha a che fare con il cibo e il vino, con l’olio e le essenze. È una storia di sapori e di profumi. Di memorie. Di procedure. E di parole per raccontare.
Le eccellenze enogastronomiche dei territori (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna) permettono alle aziende – le cosiddette Fabbriche del Gusto, mai espressione fu così chiara – di raccontare al pubblico la propria storia e i propri valori e di far conoscere ad appassionati e curiosi la qualità di Made in Italy che percorre il Paese e il mondo, per concludere il suo viaggio in un approdo fondamentale: la nostra tavola.
Un festival che è qui è anche là. Decine di luoghi: acetaie, aziende vinicole, distillerie, coltivazioni di frutta e di verdura, salumi, formaggi e bollicine. Si svolge sabato 22 e domenica 23 e conduce i visitatori direttamente e gratuitamente nelle aziende, con showcooking, conferenze, tour, laboratori. Un’azienda si iscrive: sceglie gli orari e poi accoglie i viaggiatori del gusto, nell’esaltazione di quel turismo di prossimità che è tanto amato dagli operatori: un’ora di viaggio, al massimo due, a volte solo pochi minuti. E conosci un mondo speciale, fatto di verde e di cura. Mangiare è incorporare un territorio, dice Brunhes. Ed è così: accade ogni primavera e ogni autunno.
Visite guidate, dimostrazioni di cucina, seminari o mini dibattiti. Le aziende aprono le proprie porte e le produzioni escono dagli scrigni: è il senso della comunicazione. Nord Est Multimedia, il gruppo che edita sei testate in questo quadrante decisivo per l’Italia e per l’Europa, promuove e valorizza questa festa del gusto con diverse modalità. Post Eventi con una squadra di professionisti cura la regia: dà consulenza nel definire il programma, seleziona chef, organizza conferenze, raccoglie le registrazioni e le prenotazioni attraverso il sito web e distribuisce contenuti comunicativi attraverso le piattaforme social. Tra poche ore centinaia di persone illuminate si metteranno in viaggio tra Modena e Udine, tra Verona e i Colli Euganei o Orientali, per degustare, conoscere, assaggiare, sorseggiare, camminare, imparare. È il chilometro zero percorso alla rovescia: siamo noi ad andare lì, non il contrario.
La geografia umana, o antropica, cara a Jean Brunhes, studia come si distribuiscono, e come si localizzano, i fatti umani. Studia i progetti dell’uomo e i loro esiti, con un occhio al cielo e uno alla terra, tra clima, agricoltura e relazioni sociali. Cerca di capire se e come le nostre azioni si rapportino con l’ambiente. Andare sul posto è un buon modo per diventare consapevoli e più felici. Non c’è un modo migliore per capire un luogo che “incorporarlo” attraverso il cibo che offre.
La rete green
«Sosteniamo ogni mezzo che possa garantire il mantenimento delle migliori con-dizioni ambientali nelle zone in cui operiamo». Così la rete delle Tenute Leone Alato presenta se stessa. E il primo punto di forza è la scelta strategica della coltivazione di vitigni autoctoni. Ad oggi, nel portfolio delle tenute, si contano 47 varietà differenti. È un’operazione economica, certo; ma anche sociale, ambientale, culturale. Per esempio nella di-fesa dell’unicità di ogni terra: «l’unico modo per garantirlo è il rispetto della biodiversità». Leone Alato – che figura in un quartetto di partner di WeFood, con Lattebusche, Io sono Friuli Venezia Giulia e Strada del vino e dei sapori (sempre Fvg) – come noto è espressione di Generali. Unisce terre in alcune delle regioni italiane a più alta vocazione vinicola. 780 ettari complessivi di vigneti in cui si custodiscono conoscenza e tradizione enologica. Portiamo sul mercato le aziende vinicole che qui hanno le loro radici, valorizzando le diversità e le peculiarità territoriali di ognuna. Delle tenute fanno parte tre realtà del Nord Est: Torre Rosazza (nel Friuli dei Colli Orientali) e Costa Arènte (Valpantena, nel veronese); Tenuta Sant’Anna a Loncon di Annone Veneto, nel veneziano. Poi c’è spazio per Bricco dei Guazzi, in Monferrato. Quest’anno partecipa a WeFood Tor-re Rosazza, che ha radici antichissime, romane, poi medioevali e nobiliari.
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