A Nord Est bosco che vai folletto che trovi
Sbilfs e Aganis, Krivapete e Anguane: alla scoperte delle creature leggendarie. A “Lis Aganis” è intitolato l’Ecomuseo delle Dolomiti friulane, mosaico di luoghi per addentarsi nel mito


Sbilfs e Aganis, Krivapete e Anguane. Bosco che vai, folletto (o affini) che trovi: vuoi immerse e nascoste nel rigoglio della natura, vuoi legate ai corsi d’acqua – versione rivisitata e corretta delle ninfe di greca e latina memoria –, le creature leggendarie che secoli di tradizione orale e scritta collocano ai margini della civiltà, vitalmente legate agli ambienti naturali, caricano di atmosfera leggendaria le selve, i fiumi, gli stagni del Nordest. Una passeggiata in natura fra i primi segni del risveglio primaverile, così, può associarsi ad un percorso di riscoperta carico di suggestioni.
Gli Sbilfs
Ogni angolo della Carnia, per esempio, è buono per immaginare l’apparizione degli Sbilfs (e già il nome è magnifico: potenza dei fonemi in marilenghe), fra gli esseri fatati più noti in Friuli: sfuggenti, capaci di mimetizzarsi tra il fogliame, popolano il sottobosco, prediligendo come “casa” le cavità negli alberi.
Hanno piccole dimensioni, sono intelligenti, inafferrabili e spesso burloni; eterni fanciulli, amano la musica e il gioco, adorano vestirsi di rosso e sono ghiotti di Zûf, minestra di zucca e farina di mais. Hanno nomi e ruoli diversi, a seconda delle zone: il Licj è esperto nell’annodare corde e fili, al Brau piace scucire vestiti e tende, il Bagan (che non disdegna l’avvicinamento al mondo degli uomini) è avvezzo alla frequentazione delle stalle.
Agli Sbilfs è dedicato un sentiero, che porta al rifugio De Gasperi, in Comune di Prato Carnico. Il contesto è quello della Val Pesarina e il tracciato è raggiungibile da Ovaro: si parte da quota 1236 metri, si arriva a 1770.

Aganis
Dal latino popolare “aquana”, ninfa dell’acqua, deriva il termine Aganis, altra “eccellenza” mitologica del Friuli Venezia Giulia: trattasi appunto di naiadi, alpine, dal momento che l’ambientazione prevalente, pure qui, è quella della Carnia.
Spiriti di fonti, ruscelli, torrenti e fiumi, hanno sempre sembianze femminili, per quanto il loro aspetto possa presentare – a seconda delle varianti – differenze anche marcate, soprattutto a livello “anagrafico” , perché talora vengono descritte come avvenenti fanciulle, altre volte come anziane.
I momenti migliori per avvistarle sono le notti di plenilunio, quando avvolte da abiti bianchi si riuniscono per danzare, mettendo poi ad asciugare le proprie vesti al chiaro di luna.
Un luogo strettamente associato alle apparizioni delle Aganis è il torrente Macilla, nei pressi di Chiusaforte. A “Lis Aganis” è intitolato l’Ecomuseo delle Dolomiti friulane, mosaico di luoghi che permette di addentrarsi alla scoperta di aspetti storico-culturali e paesaggistici della fascia dolomitica nostrana, dei Magredi, del sito Unesco Palù del Livenza, delle valli Cellina, Colvera, Meduna, Cosa, Arzino.
Le Anguane
I boschi del Montello, la foresta del Cansiglio, gli scorci naturali che attorniano il Piave sono a loro volta intrisi di magia: l’elenco delle figure fatate che li popolano include la versione veneta delle Aganis, qui le Anguane, “rilettura” delle sirene in chiave fluviale. Dalla vita in su sono incantevoli donne, nella parte inferiore, invece, anguille o pesci (per quanto vi siano pure versioni che le propongono in chiave senile e decadente, con piedi caprini). Alla capacità di tramutarsi in altre creature, come serpi, lontre e salamandre, pronte a dileguarsi al primo segnale di pericolo, parrebbe essere associato il detto “Ndar via come n’anguana”.

I Crodères
Tra gli anfratti e le guglie delle Marmarole, gruppo dolomitico del Cadore, in provincia di Belluno, si aggirano invece i Crodères, uomini figli delle rocce, dai cuori di pietra, e proprio per tale motivo incapaci di provare sentimenti. In un solo giorno all’anno si riposano, fermando, di conseguenza, frane e valanghe. A comandarli è una regina di ghiaccio, Tanna. E sempre in Cadore incontrerete le Comelle, le signore delle cascate, creature evanescenti che si confondono nella nebbia e che assumono aspetti mutevoli: talvolta si trasformano in pesci, altre in uccelli o in cerbiatti.

Quando anche la flora diventa leggenda
Fatata, a volte, è pure la flora. Basti pensare al “Mamai” , chiamato, non per nulla, anche “Lino delle fate” . Il fusto della pianticella arriva fino a 60 centimetri e nel periodo estivo, quello della fioritura, si riempie di pennacchi piumosi attorno alla base. Narra la leggenda che le fate, sempre alla ricerca di tessuti speciali per creare abiti degni della propria bellezza, si rechino nelle vallate delle foreste per raccogliere i lunghi e soffici fiori del “Mamai” , garanzia di vesti luccicanti.
El Maziariol si aggira nel Bellunese
Si aggira nei fitti boschi della sinistra Piave e nelle più remote e impervie vallate del Bellunese: “el Mazariol”, creatura schiva e solitaria, sfugge il contatto con gli uomini ed è abilissimo nel governare il bestiame. Guai, per un umano, calpestare le sue orme: chi posa il piede su una di esse perde fatalmente la memoria e la strada di casa. Il magico ometto è anche autore di autentiche imprese: “el Mazariol” riuscì infatti a salvare la città di Opitergium (Oderzo) dall’invasione degli Unni di Attila.
Nel buco delle danze del Tanzerloch
Nell’umido e ombroso orrido di Tanzerloch, nella Val d’Assa? Lo si incontra sull’altopiano dei Sette Comuni, tra le province di Vicenza e Trento, in località Camporovere di Roana. Chiamato anche buco delle danze o voragine dei danzatori, ha un diametro di circa 40 metri e una profondità di 80 ed è facilmente raggiungibile. Si dice che scrutando a lungo nell’oscurità del Tanzerloch si scorgano ombre spaventose e immagini di inquietanti personaggi.
Riproduzione riservata © il Nord Est