Donne al lavoro, i passi avanti a Nord Est: «Le madri non rinuncino alla carriera»

Intervista a Maria Raffaella Caprioglio, presidente agenzia Umana: «La rete sociale resta ancora fragile ma  le donne devono fare scelte più consapevoli»

Maria Chiara Pellizzari
Un’addetta dello stabilimento di Trevignano della Novation Tech
Un’addetta dello stabilimento di Trevignano della Novation Tech

«Se confrontiamo i dati dell’occupazione femminile del Nord Est con quelli dei Paesi europei più virtuosi come Estonia o Svezia siamo decisamente messi male». Parole di Maria Raffaella Caprioglio, presidente dell’agenzia per il lavoro Umana, che martedì primo aprile interverrà negli spazi dell’azienda agricola Borgoluce a Susegana durante l’evento “Le donne nel futuro delle imprese del Nord Est”, prima tappa del tour di Top 100.

Presidente, dall’osservatorio di Umana che dati e che trend registrate sull’occupazione femminile?

«L’Italia in generale è messa male. Il Nord Italia va meglio, meglio ancora il Nord Est sul resto dell’Italia attestandosi a oltre il 68% di occupazione femminile. In particolare in Veneto le donne tra i 15 ed i 64 anni occupate costituiscono il 62,8% della popolazione femminile in età lavorativa, e i numeri stanno crescendo. Detto questo, i dati vanno contestualizzati. Io credo che le aziende del nostro territorio abbiano fatto grandi passi avanti».

Quali iniziative virtuose osservate da parte delle imprese?

«Oggi le aziende parlano di sostenibilità sociale, di genitorialità e non solo di maternità, cercano di bilanciare i carichi familiari che non sono solo in capo alle donne. La certificazione di genere è diventato un driver importante. Noi stessi, in Umana, azienda dove l’85% dei dipendenti è donna, certificati da due anni, e attivi nella pubblicazione volontaria del Bilancio di Sostenibilità da quattro, da sempre affrontiamo questi temi con estrema serietà cercando di fare il possibile per la nostra comunità».

Si sta facendo abbastanza?

«Molto c’è ancora da fare, ma la direzione è questa. Credo ci sia da lavorare con più forza soprattutto sull’empowerment femminile. E credo, anche se mi attirerò qualche critica, che siano le donne stesse a dover fare delle scelte più coraggiose e consapevoli. Non devono rinunciare a diventare madri ma al contempo la maternità non deve più essere un freno alla propria carriera. Non lo può più essere culturalmente, non può esserlo economicamente. Le donne non devono accettare di essere messe nella condizione di abbandonare il proprio lavoro o di non poter crescere in competenze, opportunità e carriera. Oggi non più».

Le istituzioni stanno facendo la loro parte?

«La rete sociale è ancora giovane e perciò fragile e le istituzioni possono agevolare molto i processi che sostengono le donne nel loro percorso. Penso a politiche sulla famiglia, e non solo in tema di genitorialità o di asili nido, ma anche in quello di servizi di cura e assistenza agli anziani, che ancora oggi sono ambiti familiari di cui prevalentemente la donna si fa carico».

Oltre al divario occupazionale è forte il gap retributivo. Anche le donne manager sono pagate meno dei colleghi manager uomini. Perché?

«Non c’è alcuna ragione perché esista una differenza retributiva fra pari grado e funzione fra maschi e femmine. E non c’è alcuna ragione perché le donne non scelgano ambiti professionali tradizionalmente e culturalmente maschili. Penso alle materie Stem in cui, proprio in quanto donne, possono portare un contributo straordinario, di valore. Come Umana su questo ci stiamo spendendo, con percorsi di orientamento, attivando bandi per tesi di laurea scientifiche come “Ingenio al Femminile”, l’iniziativa con il Consiglio nazionale degli Ingegneri, o erogando borse di studio come quella con la Cisl dedicata a Tina Anselmi. Poi è vero, le donne manager sono poche e sono spesso pagate meno. I dati lo confermano inequivocabilmente. Ma, anche qui, per le aziende credo il tema sia prevalentemente culturale, non economico. E il contesto sta mutando radicalmente, anche se ancora con troppa lentezza».

Alle donne il compito di rivendicare con forza la loro competenza, la loro posizione, il loro valore. E nel caso, anche cambiare azienda. Cosa dovrebbero fare le donne per inserirsi al meglio nel mondo del lavoro?

«Voglio citare un esempio fra i tanti. Il progetto “Donne in Fabbrica”, che ci ha coinvolto insieme al Gruppo Metalmeccanico di Confindustria Veneto Est. Dieci donne disoccupate, dai 25 ai 55 anni, che si sono rimesse in gioco chi dopo una maternità, chi dopo una lunga assenza dal mondo del lavoro. Hanno affrontato un percorso formativo di reskilling in un ambito a loro sconosciuto: sono diventate addette alla logistica per lavorare in magazzino. Hanno ottenuto persino il patentino per portare il muletto. Non hanno mollato, con umiltà, sfidando il mondo del lavoro. Oggi sono tutte occupate in aziende metalmeccaniche del territorio. Mi pare un grandissimo successo, per loro e per le aziende che cercavano queste figure».

Lei è presidente di una fra le più importanti agenzie per il lavoro a livello nazionale. Che consigli si sente di dare alle donne che puntano a rompere il soffitto di cristallo?

«Non mi sento di dare consigli, ma credere in sé stessi è fondamentale. Personalmente non ho mai pensato di essere una donna che lavora. Ma una persona che aveva qualcosa da dare alla mia azienda. Non ho mai guardato al genere quando ho assunto un collaboratore. Sono convinta che il merito, l’impegno, la competenza siano le uniche chiavi di accesso al mondo del lavoro. Scontato direbbe qualcuno. Ecco, io credo importante siano proprio le donne a dover dare per scontate alcune cose che le riguardano».

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