Bergs & More: «Dubai è la via per il grande business in Africa»
La città è sempre più hub per il mercato africano, con in testa gli investimenti nelle infrastrutture logistiche ed è qui che le aziende italiane e trivenete della filiera delle infrastrutture che vogliono cogliere il potenziale di sviluppo dell’Africa nei prossimi anni devono accreditarsi e localizzarsi
VICENZA. Dubai sempre più hub per il mercato africano, con in testa gli investimenti nelle infrastrutture logistiche. Pertanto le aziende italiane e trivenete della filiera delle infrastrutture che vogliono cogliere il potenziale di sviluppo dell’Africa nei prossimi anni devono accreditarsi e localizzarsi negli Emirati Arabi Uniti (UAE) o in Qatar o in Arabia Saudita.
Lo suggerisce Eugenio Bettella, l’avvocato corporate padovano esperto di Africa e di Paesi del Golfo Arabo (GCC – Gulf Cooperation Council), fondatore e partner dello studio legale, tributario e di business advisory Bergs & More con sedi a Padova, Dubai, Doha e Nairobi.
Bettella spiega infatti che i grandi fondi finanziari e i principali operatori di logistica e trasporti dei Paesi GCC sono sempre più attivi in Africa, dove vogliono sviluppare per tempo un’adeguata rete di piattaforme, a partire da quelle aeroportuali, in vista della progressiva implementazione nel prossimo decennio della grande area di libero scambio del continente africano: l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), a cui hanno aderito 54 Stati.
Un esempio è l’attivismo di DP World, multinazionale di logistica merci, operazioni portuali, servizi marittimi e zone di libero scambio con sede a Dubai. Il colosso emiratino opera in Ruanda, in Senegal dove sta costruendo il secondo porto di Dakar, in Congo, è interessato all’Uganda, e sta trattando l’acquisizione di Imperial Logistics, società quotata alla borsa JSE di Johannesburg che consente l’accesso alle piattaforme di molti Paesi africani. Un altro esempio sono gli importanti investimenti di Abu Dhabi in infrastrutture logistiche in Mauritania, Repubblica Democratica del Congo e per il raddoppio del Canale di Suez.
«L’espansione in Africa di alcuni Paesi del Golfo, UAE in testa, avviene sia perché vogliono contare di più geopoliticamente, per esempio nel Corno d’Africa anche per contrastare la nascita e lo sviluppo di sacche islamiste estremiste, sia perché l’Africa è una partita economica molto rilevante da giocare», osserva Bettella. Non solo infrastrutture portuali ma anche aeroporti, in Africa ancora deboli ma con un grande potenziale. Per esempio Qatar Airways, oltre ad aver acquisito la maggioranza di RwandAir, si sta anche portando a casa la realizzazione del nuovo aeroporto di Kigali, un investimento da 1,3 miliardi di dollari che le consentirà di operare dall’aeroporto del Ruanda, una delle economie africane più dinamiche.
A ciò si aggiunge l’agricoltura, visto che i Paesi del Golfo perseguono in Africa politiche acquisitive di terreni e di risorse per garantirsi la sicurezza nell’approvvigionamento alimentare. E anche altri settori, come il crescente sviluppo dell’e-commerce di prodotti di consumo e di centri commerciali legato agli impetuosi processi di urbanizzazione e di ampliamento della classe media in molte zone del continente. Tra i grandi fondi dell’area GCC più impegnati sul mercato africano si segnala in particolare il Mubadala di Abu Dhabi, che assieme alla banca d’investimenti francese Bpifrance investirà 415 milioni di dollari in startup e piccole e medio-aziende private africane.
Rimanendo sul tema delle infrastrutture logistiche, Bettella sottolinea che per intercettare le opportunità di business che l’Africa offre, per esempio nella costruzione di porti e interporti, le imprese italiane dovrebbero preferibilmente posizionarsi su Dubai. O comunque in area GCC. «Occorre mettersi in scia ai grandi investitori del Golfo, ed entrare nei progetti nel continente africano in regime di subfornitura e subappalto. Nel settore delle infrastrutture siamo molto ben visti nel mondo arabo, in particolare in UAE e in Qatar, ma anche in Arabia Saudita che fa asse con Dubai. Ma serve un approccio industriale, non da esportatori, cioè occorre dimostrare di avere nei Paesi GCC una sede operativa, instaurare relazioni tecnico-commerciali continuative con gli operatori di logistica, perché le infrastrutture richiedono anche il servizio con magazzini e personale tecnico di assistenza, e se non si dimostra di essere pronti a fianco del cliente si fa fatica ad accreditarsi».
Dubai è la «meeting room of this area of the world». Così la descrive Rita Ricciardi, business advisor di Bergs & More con 22 anni di esperienza lavorativa e di vita in Africa orientale. «La pandemia è stata gestita con chiusure solo nei primi due mesi. Tra aziende italiane e africane è quasi sempre stato possibile quindi incontrarsi a Dubai, opportunità che abbiamo colto. Mentre per esempio i cinesi ancora oggi non viaggiano perché hanno molte restrizioni», racconta la consulente. «Inoltre, rispetto alla concorrenza del Dragone questo è un momento da sfruttare commercialmente anche perché, a causa del forte aumento dei costi della logistica, oggi è più conveniente fare arrivare le merci in Africa dall’Italia che non dalla Cina. Abbiamo vinto contro i cinesi delle trattative molto importanti sui macchinari sfruttando il fattore prezzo divenuto oggi più vantaggioso, la qualità e il servizio migliori offerti dai prodotti e dalle soluzioni italiane, il supporto in materia di credito e pagamenti di Sace».
Le tecnologie per la produzione di materie plastiche, agrifood e materiali di costruzione sono le aree di mercato di maggior interesse per l’industria italiana in Africa. Ma c’è un grande potenziale anche nella sanità, con crescenti investimenti pubblici oltre che privati in nuove infrastrutture e nell’estensione delle esistenti. «Però occorre che le imprese italiane adottino di più la formula del TTP – Technology Transfer Project, come stanno facendo i francesi e gli spagnoli, in cui con il supporto di un gruppo bancario l’investimento si recupera in un periodo più lungo ma con margini molto più alti», consiglia Ricciardi.
Da avvocato con 25 anni di esperienza in diritto civile e societario internazionale e in complesse negoziazioni contrattuali, Bettella osserva come i paesi africani target più interessanti siano quelli di matrice anglosassone: Ghana, Nigeria, Kenya, Ruanda, Zambia, Uganda, Tanzania, Sudafrica. «Le ex colonie britanniche hanno storicamente un diverso approccio al business, avendo recepito la common law offrono un ambiente giuridico molto agevolato». Bergs & More in particolare ha stabilito la sua sede africana a Nairobi in Kenya, Paese dove tra l’altro ha supportato il Gruppo di costruzioni vicentino ICM nel processo di tendering, aggiudicazione, negoziazione e closing del contratto per la smart city Konza, con il supporto finanziario di Sace e Simest.
«Abbiamo scelto di localizzarci in East Africa perché vediamo quest’area come la più reattiva, promettente ed omogenea del continente. L’approccio è quello di un grandissimo network di aziende africane volto a creare sinergie con impresa e finanza italiana, europea ed araba, per trovare opportunità di affari», spiega Bettella. «In Kenya assistiamo da un lato aziende italiane e straniere presenti nel Paese, dall’altro imprese kenyane nelle attività di internazionalizzazione».
Altre due nazioni molto interessanti dell’Africa sud-orientale sono il Malawi e l’Uganda. Nota Ricciardi: «In Malawi ho trovato una struttura imprenditoriale vibrante, che non mi sarei immaginata considerandone il PIL». Mentre l’Uganda è stata recentissimamente protagonista a Roma di un incontro, organizzato da Bergs & More, tra una delegazione del Ministero ugandese dell’energia e Sace, sul tema del supporto italiano allo sviluppo industriale ed energetico del Paese africano. «L’Uganda per troppo tempo è passata inosservata nei radar delle aziende Italiane, pur essendo un Paese pieno di opportunità, sicuro e politicamente stabile. Questo incontro è una grande opportunità che spero le imprese italiane inizino a cogliere!», chiosa Bettella.
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