Cna Padova, crollano i fatturati degli artigiani è allarme liquidità
PADOVA. Il presidente degli artigiani Luca Montagnin: «Quadro di estrema sofferenza: è necessario utilizzare i fondi europei del Recovery Fund per piani strategici che coinvolgano anche le piccole imprese. Riformare il rapporto Stato-imprese per eliminare la burocrazia».
Nell’anno del Covid sono le micro e piccole imprese a soffrire di più nel comparto dell’economia padovana: sono gli stessi imprenditori a prevedere un crollo del fatturato 2020 in media del 31%, con un’impresa su cinque che prevede addirittura un dimezzamento del giro d’affari.
Ed è allarme liquidità, con oltre la metà delle imprese che dichiara di avere “cassa” per non più di 2 mesi. I dati emergono da una rilevazione online raccolta da CNA Padova tra i propri iscritti nel periodo dal 22 luglio al 3 agosto, a cui hanno partecipato poco meno di 300 imprese.
Un’indagine che nasce per evidenziare i tratti distintivi di questa particolarissima crisi economico-sanitaria, le ripercussioni e le reazioni del tessuto economico padovano. Una prospettiva nettamente peggiore rispetto alle stime più recenti sull’economia padovana, per la quale nel 2020 i dati Prometeia-Istat prevedono una flessione dell’11%, con un salto indietro di 10 anni.
«Siamo di fronte ad un quadro di estrema sofferenza», dichiara il presidente di CNA Padova Luca Montagnin. «Previsioni sul fatturato, liquidità, rapporti con clienti e dipendenti: tutti i parametri sono negativi. Non c’è tempo da perdere, bisogna agire in fretta su più fronti. In particolare i fondi europei del Recovery Fund vanno utilizzati per piani strategici che coinvolgano anche le piccole imprese: misure come la Nuova Sabatini per agevolare investimenti in macchinari e beni strumentali, incentivi all'innovazione, una spinta su Impresa 4.0 anche per i più piccoli. Bisogna sostenere le imprese che vogliono investire e supplire alla mancanza di liquidità – aggiunge Montagnin – Allo stesso tempo è necessario attuare una profonda riforma del rapporto Stato-imprese per tagliare uno dei costi più inutili: la burocrazia».
Se il calo medio complessivo del fatturato toccherà dunque il 31%, sono le imprese dei servizi a prevedere mediamente i cali maggiori (-34%), seguite dal comparto produttivo (-30%) mentre un po’ meno ampie, sebbene importanti, dovrebbero essere le perdita per il comparto edilizia ed impianti (-23%). Dati che si spiegano da soli se si considera che oltre sei aziende su dieci nel periodo di lockdown sono rimaste chiuse, per obbligo o scelta, con punte del 73% nel caso dei servizi, ed il 32% ha ridotto significativamente l’attività.
Le ripercussioni più importanti si fanno sentire sul fronte della liquidità: oltre un terzo delle imprese dichiara di avere “cassa” sufficiente a pagare dipendenti, fornitori, rate di prestiti, tasse e contributi al massimo per 1 mese, quasi la metà del campione si spinge al massimo ad un paio di mesi, mentre solo una impresa su cinque dichiara di non avere problemi.
Massiccio il ricorso alle agevolazioni messe a disposizione dalle istituzioni statali e locali, con quasi 8 imprese su 10 che hanno richiesto il bonus da 600 euro per i mesi di marzo e aprile, 6 su 10 che attendono il contributo a fondo perduto per le flessioni di fatturato nel periodo emergenziale e oltre 4 su 10 che hanno richiesto il finanziamento garantito dallo Stato di 25 mila euro a tasso agevolato.
Il lockdown ha deteriorato i rapporti con clienti e fornitori: la metà delle aziende afferma di avere avuto difficoltà consistenti nell’incassare le proprie competenze, e circa un terzo vede il rischio concreto di perdere clienti nei prossimi mesi. Mentre oltre 4 imprese su 10 hanno avuto notevoli problemi ad adempiere ai propri obblighi di pagamento. L’unica soluzione all’orizzonte in questo senso sembra essere (62%) la riduzione delle forniture, anche in prospettiva dei cali generalizzati di lavoro già pronosticati.
Le previsioni per il futuro sono per lo più negative, con 7 imprenditori su 10 che si dichiarano pessimisti su una risoluzione a breve o medio termine della crisi, con punte dell’82% per chi opera nella produzione. Per quanto riguarda le azioni da mettere in campo per ripartire più rapidamente le opinioni si dividono tra chi cercherà nuovi mercati o segmenti di clientela, chi svilupperà nuovi prodotti o servizi, chi punterà sul digitale o tenterà collaborazioni con altre imprese anche in ottica di introdurre innovazioni nella propria azienda.
Emerge la necessità che il sostegno pubblico non venga meno, anzi, si irrobustisca, in particolare attraverso riduzioni della pressione fiscale (83%), attraverso la semplificazione della macchina burocratica (62%), o permettendo alle imprese l’accesso a finanziamenti a tasso zero (40%); sul fronte fiscale si confida in nuove agevolazioni fiscali (37%), nella moratoria delle scadenze (32%) o quantomeno nello spostamento delle stesse (16%).
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