Delrio: "Mai più sogni, solo progetti utili"
Avviso ai naviganti. Finito il tempo delle grandi opere scritte nei libri dei sogni, stile Lunardi. Per dirla con Renzo Piano, va rammendato l’esistente, prima di avviare nuovi cantieri che rischiano di essere infiniti. «Programmare opere utili e prioritarie, con risorse certe e tempi certi, manutenere, rafforzare le infrastrutture ferroviarie e l’intermodalità dei trasporti». Graziano Delrio, ministro alle Infrastrutture e ai trasporti, afferma questa tesi senza remore e la applica a Nordest annunciando un piano «non velleitario» sulla Tav, per le autostrade, per la logistica, per i porti soprattutto.
Il ministro dice chiaro e tondo che «i porti hub sono solo due, Genova in testa al Tirreno e Trieste guida per il mare Adriatico. Abbiamo una missione come Italia: dobbiamo intercettare i container che viaggiano verso i porti del Mare del Nord e poi sono in effetti diretti all’area padana. Parliamo di circa 1,5 milioni di Teu. Se il business dei container in Italia genera 20 miliardi fatturato, ne deriva che perdiamo 2-3 miliardi di euro a favore di Rotterdam, Amburgo, Anversa».
Significa che viene assegnata una leadership a Genova e Trieste.
«Dobbiamo avere chiaro che le grandi navi anziché andare a Genova o a Trieste vanno a Marsiglia o appunto nel Nord Europa. La graduatoria e l’attrattività dei porti italiani sono state definite dal mercato. Il sistema portuale italiano ha enormi potenzialità se si pensa appunto come un sistema e smette la concorrenza interna: se offre buoni servizi può attrarre grandi traffici. Penso a Genova-Savona come hub da una parte e sull’altro mare Trieste capofila e punta più avanzata di un sistema unitario che comprende e dà valore a Venezia e Ravenna».
Come possono collaborare Trieste, Venezia e Ravenna, dato anche che sono rimaste Autorità portuali separate?
«Devono ragionare come un unico sistema portuale, devono viversi come poli integrati. Autonomia non deve essere competizione ma diversificazione a seconda delle caratteristiche. Da un punto di vista logistico devono imparare a strutturarsi e a lavorare insieme. Tutto il sistema italiano pesa come Rotterdam da sola. Sono fortemente municipalista, ma non sono sciocco e dunque preferisco lavorare con il paese accanto anziché svanire nella competizione globale. Per esempio, sulla logistica a Nordovest abbiamo appena siglato un protocollo con le tre regioni interessate insieme, adesso il lavoro va replicato nel Nordest e dunque chiederemo a breve un incontro ai tre governatori. Le infrastrutture per competere esistono, non servono immensi investimenti e vanno messe a sistema».
In questo senso il suo pensiero pare una chiusura al tema del porto off shore coltivato a Venezia.
«Il porto off shore è una proposta complessa e innovativa, che stiamo valutando in sede tecnica senza pregiudizi. I tempi della conclusione dell’iter non sono lunghi. In generale, prima di intraprendere investimenti in nuove opere, come metodo vogliamo valutare se esistano infrastrutture che rispondono già alle stesse esigenze».
I porti sono poca cosa se non sono legati a moderni corridoi europei, ferroviari e autostradali.
«Esatto. Tutti i corridoi devono diventare anche merci. Finora mai è passato nemmeno un treno merci sulla rete ferroviaria ad alta velocità, lo faremo dal 2018. Contiamo di cambiare modalità di trasporto, da gomma a ferro, perché ce lo chiede l’Unione europea, e lo vorrei fare nei prossimi cinque anni. Ci sono già le linee Fs e sono capaci se si interconnettono efficacemente porti e interporti. Pensiamo per esempio al corridoio Adriatico-Baltico: una delle esperienze più straordinarie del porto di Trieste consiste nel ruolo della intermodalità, con il 70% dei camion che girano sui treni e arriveremo a 100% con le Ro-La. Trieste è un esempio di come si può spostare merci da gomma a ferro, in questo caso con un valido accordo con l’interporto limitrofo di Fernetti».
In termini di infrastrutture sui corridoi siamo però alla classica serie di incompiute all’italiana.
«Vero. Ma dobbiamo essere consapevoli anche del fatto che i corridoi del Brennero, Adriatico-Baltico e Reno-Alpi visualizzano la potenzialità enorme dell’Italia di diventare pontile Sud dell’Europa».
Prendiamo in esame la incompiuta Tav per eccellenza, ossia la Transpadana. A che punto siamo con cantieri, progetti e finanziamenti?
«Vorrei rassicurare tutti. Completeremo l’opera. Stiamo pianificando tempi e finanziamenti, senza voli pindarici e però senza dubbi. Con i cantieri arriveremo a Brescia a fine anno. La tratta fino a Verona è finanziata, ma sui tempi di esecuzione dei lavori preferisco non sbilanciarmi perché dipende da come affronteremo la costruzione di due gallerie in zona Garda. Abbiamo finalmente avviato a soluzione il nodo Vicenza e trovato con il Comune la giusta soluzione, la più conveniente e adatta dal punto di vista trasportistico. La revisione dell’opera ha portato il fabbisogno da 6 a 5 miliardi, di cui ne abbiamo disponibili 1,9 e però in aggiornamento del contratto di programma con Fs stanzieremo nuove risorse. Passo passo vinceremo la sfida».
E riguardo al posizionamento della nuova stazione Tav di Padova, che negli ultimi anni era stabile come una saponetta?
«Intanto abbiamo stabilito che la tratta Verona-Vicenza va in affiancamento alla linea esistente e che la stazione di Vicenza resta in viale Roma. Lo stato della progettazione tra Vicenza e Padova è ancora embrionale e onestamente il nodo di Padova lo dobbiamo ancora affrontare davvero. In sede di aggiornamento del contratto con Fs nel giro di un paio di mesi dovremmo avere un aggiornamento del cronoprogramma».
E riguardo alla disgraziatissima tratta ferroviaria Mestre-Udine-Trieste?
«Pensare alla Tav è utopistico. Puntiamo alla velocizzazione della linea esistente. Serve poco più di un miliardo e mezzo, con tempi di esecuzione molto più stretti e molto minore impatto. Non ha senso, per guadagnare 15 minuti di tempo di percorrenza, spendere 7 miliardi in più. Del resto in Europa solo in Spagna e Francia i treni viaggiano oltre i 250 chilometri orari. I primi lavori sono già in atto, servirà tempo».
Procedono invece assai spediti i lavori sulla nuova galleria di base ferroviaria del Brennero.
«Sul tunnel del Brennero stiamo correndo. Abbiamo approvato in Cipe il quarto lotto costruttivo pochi giorni fa. L’Italia ha già tutti i 4 miliardi del proprio contributo alla costruzione del tunnel, contiamo di averne ancora dall’Ue riducendo la quota di fabbisogno nazionale. Il ritmo di spesa è molto importante, contiamo di spendere in opere 400 milioni quest’anno e 600 il prossimo. Sono le gare più importanti sui corridoi europei. Contiamo di mettere sulla nuova linea oltre 400 treni merci al giorno, quasi raddoppiando rispetto al dato storico. E decongestionare così l’autostrada».
Ma come sta, rispetto a questo obiettivo, la richiesta di completare l'autostrada Vicenza-Trento, alias Valdastico? Tema su cui pende anche un contenzioso con il concessionario della A4 Serenissima.
«In tema di metodo, siamo abbastanza rigidi. L’Italia ha maturato disastri non facendo una valutazione progettuale di qualità e una seria pianificazione delle infrastrutture. Dobbiamo saper valutare se un’opera è davvero utile, se diviene un doppione, se ha sostenibilità finanziaria. Quanti danni abbiamo avuto da concessioni autostradali miliardarie e senza alcuna possibilità di realizzare opere faraoniche. Lo Stato è stato inteso come un bancomat. Venendo al punto, non è che siamo pregiudizialmente contrari alla Valdastico. Si farà. Ma non può essere intesa come una infrastruttura di grande impatto e con flussi di traffico previsti del tutto fuori scala. E una autostrada così non sarebbe coerente con la volontà di spostare traffico da gomma a ferro. Se avessimo fatto correttamente i piani finanziari e le stime di traffico e le esigenze reali di trasporto avremmo avuto meno problemi con la Brebemi o la Pedemontana Veneta o la Pedemontana Lombarda. Lo stesso discorso vale oggi per il passante autostradale di Bologna come per il porto off shore di Venezia».
Peraltro la concessione della A4 Serenissima è appena passata di mano e ora sta agli spagnoli di Abertis.
«Parliamo di una operazione tra privati, su cui non entriamo. Di sicuro il subentrante deve confermare gli impegni assunti con lo Stato».
Tutt’altro scenario per le altre due concessionarie chiave del Nordest, Autovie e Autobrennero, dove avete scelto di restituirle in toto al socio pubblico.
«Sono un uomo semplice. A4 e A22 vanno in house perché erano da sempre società in sostanza pubbliche, ma bloccate a causa di concessioni scadute. A questo punto avremo più investimenti e maggior controllo sulle tariffe. Autovie già può proseguire sulla terza corsia. Autobrennero ha varie opere in project financing, tra cui la Campogalliano-Sassuolo. Ma soprattutto sblocca centinaia di milioni di euro introitati per finanziare la nuova ferrovia del Brennero».
A proposito di project financing, nelle grandi opere autostradali a Nordest resta da dire della Mestre-Orte con inclusa Nuova Romea.
«Sulla messa in sicurezza di questa direttrice abbiamo appena messo 540 milioni. L’Anas aveva sempre rinviato l’ammodernamento in attesa di vedere l'esito del project, pur in presenza di gravi tassi di incidentalità. Abbiamo detto a Anas di fare subito la manutenzione straordinaria e di investire in sicurezza. Contestualmente valutiamo la proposta di project, che ha avuto osservazioni dalla Corte dei conti. Attendiamo una rivalutazione da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Non approvo nuove opere se non sono credibili. Non voglio commettere errori di cui abbiamo già troppi precedenti».
Riguardo al ruolo dell’Anas, che senso assegna il governo alla fusione che state studiando con Fs?
«La fusione Anas-Fs è idea interessante per rafforzare la capacità progettuale e competitiva di entrambi. Una unica grande azienda comporta vantaggi importanti, anche per vendere la nostra capacità industriale all’estero e guadagnare molte più commesse. Vedremo i parametri della fusione e decideremo in tempi celeri».
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