Enoitalia e Iwb, nasce il colosso del vino italiano
Giorgio Pizzolo, presidente dell’azienda veronese: «Con questa operazione creiamo un player in grado di competere sul mercato globale»

VERONA. Enoitalia, uno dei principali produttori vinicoli italiani, è appena stata acquisita Italian Wine Brands spa, public company del segmento Aim di Borsa italiana, tra i primi player attivi nella produzione, distribuzione e vendita di vini italiani.
È stato infatti firmato l’accordo per l’acquisizione della totalità del capitale della società di Calmasino (Verona), fondata venticinque anni fa e controllata dalla famiglia Pizzolo, sulla base di un valore di 150,5 milioni di euro.
Nordest Economia ha intervistato in proposito Giorgio Pizzolo, numero uno di Enoitalia.
Si tratta di un'operazione "carta contro carta", per cui alla valorizzazione di Enoitalia per 150 milioni corrisponde il 16% circa di Wine brands, o c'è stato un effettivo esborso economico, per cui con parte del ricavato farete altro?
«Una parte consistente del ricavato sarà reinvestito in Italian Wine Brands Spa, perché crediamo in questa aggregazione, che porterà crescita e continuità al gruppo, di cui Enoitalia sarà una parte fondamentale. Io stesso rimarrò in carica come presidente e amministratore delegato di Enoitalia e assumerò la carica di vicepresidente esecutivo di Italian Wine Brands. La reazione dei mercati azionari, con un forte apprezzamento del titolo IWB dopo l’annuncio dell’operazione, è di buon auspicio per l’aggregazione».

Il futuro della famiglia Pizzolo è quindi ancora nel vino o guardate anche ad altri ambiti imprenditoriali?
«Enoitalia nasce nel 1986 proprio con l’intento di diversificare le aree di business ed intuendo l’interesse che il vino italiano avrebbe avuto in tutti i mercati internazionali. La nostra famiglia da generazioni è attiva nel campo agroalimentare con investimenti in tutto il comparto agricolo. Il nostro futuro rimane ancorato a questo mondo».
Ricavi aggregati per 405 milioni, che fanno della nuova realtà il primo produttore di vino nazionale per fatturato. Quale nome e quali prospettive future?
«Il gruppo si chiama Italian Wine Brands, le società operative sottostanti manterranno il loro nome. Confermo che, sulla base dei dati di bilancio aggregati al 31.12.2020, saremo il primo gruppo vinicolo privato italiano. Sul futuro siamo ben determinati a seguire la nostra visione, che è quella di posizionare ovunque un nostro prodotto con un nostro brand. Lavoreremo incessantemente quindi sulla creazione e posizionamento di prodotti innovativi e di marchi su ogni mercato e in ogni segmento. Già oggi il gruppo Italian Wine Brands esporta l’80% del fatturato e la crescita sarà ancora determinata dai mercati internazionali».

C'è chi la vede più come un'operazione finanziaria che industriale e di mercato. Cosa rispondete?
«Che è l’operazione più importante fatta nel mondo del vino italiano negli anni recenti, non solo per la dimensione del fatturato aggregato, ma anche per il progetto industriale e commerciale che ne sta alla base. Chi conosce bene i mercati internazionali sa quanto sono determinanti le dimensioni e quindi l’organizzazione, gli investimenti in marketing e la disponibilità di capitali. Ci confrontiamo con gruppi stranieri che fatturano miliardi di dollari, che investono nello sviluppo dei mercati e dei brands: chi pensa di confrontarsi con loro deve esserne all’altezza, altrimenti si rimane marginali. E noi, con Italian Wine Brands, non ci tiriamo indietro e vogliamo giocare la nostra partita».

Quali sinergie e quali opportunità potranno venire da questa operazione, per voi, per il Veneto e per il mercato del vino nazionale?
«Gli stabilimenti veneti (Calmasino e Montebello, ndr) avranno un ruolo centrale nello sviluppo del gruppo Italian Wine Brands: sono localizzati strategicamente, dotati di tecnologie all’avanguardia, con una squadra ben allenata a produrre qualità in modo efficiente. Per cui non potranno che crescere, con beneficio per l’economia locale. Per quanto riguarda il vino italiano, abbiamo l’ambizione di contribuire ad un posizionamento più premium sul mercato. Questo potrà avvenire solo con grandi investimenti di marketing, altrimenti l’Italia non raggiungerà mai la Francia, ad esempio, che riesce a vendere i propri prodotti a prezzi decisamente superiori. Solo valorizzando il prodotto finito, si può redistribuire ricchezza lungo tutta la catena produttiva».
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