La rabbia delle Camere di Commercio: «Tav solo fino a Vicenza, schiaffo al Veneto. Noi tagliati fuori dallo sviluppo»
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VICENZA. Signori, si scende. Vicenza capolinea della Tav, tagliato fuori il cuore del Veneto nel triangolo Padova-Treviso-Venezia. «Inaccettabile, un danno enorme, è necessario completare l’opera altrimenti la nostra regione, intera, sarà destinata a un futuro di marginalità. Le risorse, se non arriveranno dal Recovery fund, ora le trovi lo Stato». È la rabbia, per nulla dissimulata né ammorbidita nei toni, dei cinque presidenti delle Camere di commercio del Veneto.
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Il video-forum
Li abbiamo invitati tutti attorno a un tavolo, in videoconferenza, e ne abbiamo parlato con loro: a parte le divergenze su di chi siano le colpe di questo pugno allo stomaco che spezza il respiro allo sviluppo nordestino, sono tutti concordi sulla gravità dell’occasione persa e sulla necessità di trovare un piano B, immediatamente. È mancata la sintesi, la capacità di mettersi d’accordo sulle priorità. Colpa della Regione? Del Governo? Alle domande del direttore di Nordest Economia, Paolo Possamai, i presidenti ci hanno detto come la pensano. E ci hanno dato la lista delle loro priorità: 12 opere irrinunciabili per le imprese del Veneto e di tutto il Nordest.
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Colpo pesante
Rapida cornice: la linea dei treni ad alta velocità si ferma a Vicenza. Almeno nell’orizzonte da qui al 2025 che caratterizza il Recovery fund che il governo Draghi sta per presentare alla Commissione europea al fine di ottenere i fondi per la ripartenza post Covid. Gli interventi proposti sull’asse padano sono «il tratto Brescia-Verona (47 km) e il tratto Verona-Bivio Vicenza (44 km)». Questo perché è già stata realizzata la progettazione, compresa la nuova stazione alta velocità di Vicenza Fiera. L’Europa chiede interventi immediatamente cantierabili, e dopo Vicenza non ci sono: attorno a Padova manca ancora la progettazione sia per il raddoppio e il potenziamento dei binari tra Grisignano e la città del Santo, sia per la nuova stazione del capoluogo.
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«Siamo costretti a competere con il nostro Paese, non con aziende di altri Paesi – attacca Mario Pozza, presidente di Treviso e Belluno – è imbarazzante che un’opera come la Tav si fermi alle porte di Vicenza, tagliando fuori l’asse Padova Treviso Venezia, cuore produttivo del Veneto, dove ciascuna provincia da sola vale l’economia dell’intero Friuli. Questo è un Governo che sa leggere e scrivere, potevamo avere dubbi su quello precedente ma non su questo. E nonostante i ministri bellunesi, di Venezia e di Trieste, il Veneto che produce è tagliato fuori».
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«Una situazione che potrebbe innescare processi di decadimento economico di tutto il territorio – rincara Antonio Santocono, Padova – emarginando Venezia e i suoi 32 milioni di turisti, Padova e l’università, Treviso e le sue imprese. Lo scorso anno, per la prima volta, l’Emilia Romagna ha superato il Veneto per Pil: l’alta velocità è fondamentale, da Bologna a Milano si viaggia in un’ora e mezza, da Padova a Bologna la rete ferroviaria è ridicola. Restiamo isolati». «Capitali e competenze così si spostano, è un pericolo concreto», denuncia Giorgio Xoccato, Vicenza.
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Le colpe
Proprio Vicenza diventa il binario morto della Tav, «ma io non voglio essere la città di frontiera – dice ancora Xoccato – mi sento parte del sistema Nordest». Ma se siamo rimasti fuori non è colpa in primis di noi stessi? «Ci assumiamo le colpe di una mancanza di sintesi – dice Xoccato – ma abbiamo lavorato tanto, spostando l’equilibrio economico da ovest a est. E non si può essere un gigante economico senza un apparato infrastrutturale adeguato a supporto».
«È mancata una regia a livello regionale, questo è vero, grosso limite nostro – dice Pozza – ma al pari è mancata al Governo la volontà di imporsi. Se le autonomie locali non danno risposte, è il Governo centrale a dover intervenire. Ma siamo sempre sotto scacco elettorale, e spesso vince la voglia di non scontentare nessuno». «Non vorrei dare la colpa all’amministrazione regionale, e non certo per piaggeria – dice Santocono – nessuno aveva messo in discussione che l’alta velocità sarebbe passata su Padova e poi verso Bologna. Siamo mancati sul progetto cantierabile, Vicenza invece l’ha promosso».
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Il piano della Regione Veneto sul Recovery plan è composto da 400 pagine: non è marcata alcuna priorità. Non è normale, in queste condizioni, che il Governo dica «io non capisco cosa vuoi»? «Quel piano è fuffa, le cose vanno giocate strada facendo – dice Massimo Zanon, presidente della Camera di commercio di Venezia e Rovigo – i bisogni c’erano già prima, non ci si può giocare tutto sul Recovery. Dobbiamo fare un discorso senza l’emergenza scritta lì».
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Le soluzioni
Sottolineando che «l’imprenditoria veneta ha sottovalutato il problema di essere scarsamente rappresentata politicamente, e ce ne accorgiamo quando c’è il danno – dice Giuseppe Riello, Verona – ora non so da dove debbano arrivare i soldi per l’alta velocità in Veneto se non dal Recovery, di certo è un’opera incompiuta che va riprogrammata in tempi brevi. Per importanza, pensiamo alle imprese e al turismo da Venezia a Verona, è una linea pari a quella tra Milano e Roma, ma evidentemente è meno politica». «Dove trovare i soldi? Tagliando iniziative demenziali come il cashback e la lotteria degli scontrini, miliardi sprecati», chiude Pozza, «E se serve affidare tutto a un commissario, modello ponte Morandi, lo si faccia».
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