Flextronics, a Trieste lo spettro dei tagli

Fra reshoring e delocalizzazioni la crisi della logistica investe anche il settore dei componenti per l’elettronica 

epa03861218 Factory workers assemble phones on the factory floor during the opening of the new Motorola Flextronics factory in Fort Worth, Texas, USA, 10 September 2013. The new Moto X smartphone will be assembled at the factory in Fort Worth. EPA/LARRY W. SMITH
epa03861218 Factory workers assemble phones on the factory floor during the opening of the new Motorola Flextronics factory in Fort Worth, Texas, USA, 10 September 2013. The new Moto X smartphone will be assembled at the factory in Fort Worth. EPA/LARRY W. SMITH

TRIESTE La crisi del costo delle materie prime e i rischi di delocalizzazione nell’Est Europa hanno investito la triestina Flextronics fino allo spettro degli esuberi: 280 secondo i sindacati.

L’azienda di componenti per l’elettronica è controllata dal colosso Flextronics International, sede a Singapore, un gruppo globale con 30 filiali nel mondo, 200 mila dipendenti, e 26 miliardi di dollari di fatturato, quotato al Nasdaq di New York. La multinazionale Usa nasce nel 1969 nella Silicon Valley in California, e ha sedi in tutto il mondo: in Italia, oltre che a Trieste, a Milano, Treviso e Somaglia.

Da due anni Ceo è l’indiana Revathi Advaithi, una delle donne manager più potenti del mondo secondo la classifica di Fortune e co-presidente del World Economic Forum. Per Advaithi la pandemia è stato «il momento più difficile» che ha affrontato nella sua carriera. Ma ora la attendono altre sfide. 

Il ceo di Flextronics Revathi Advaithi, una delle donne manager più potenti al mondo secondo Fortune
Il ceo di Flextronics Revathi Advaithi, una delle donne manager più potenti al mondo secondo Fortune

Le interruzioni delle catene della logistica mondiale innescate dalla pandemia, che oggi sta di nuovo investendo la Cina,  stanno paralizzando i mercati. Le difficoltà causate dalla carenza di componenti hanno poi complicato lo scenario industriale soprattutto per un gruppo dipendente dalle forniture in arrivo da Taiwan che controlla il 51% del mercato mondiale.

La regionalizzazione del reshoring (con lo spostamento delle catene di produzione nell’Est Europa e nel Sud Est Asiatico) e i forti investimenti in produttività sono la strategia adottata da Flex per reagire a questa nuova fiammata della crisi. Anche a prezzo di un ridimensionamento dell’occupazione a causa della tempesta perfetta sul mercato. Come rischia di accadere a Trieste.

La triestina Flex attiva nel ramo delle telecomunicazioni, specializzata in materiali elettronici, fa parte del distretto industriale delle tecnologie digitali del Friuli-Venezia Giulia che comprende anche l’israeliana Telit.

L’azienda triestina, con circa 600 addetti (interinali compresi), specializzata negli apparati per trasmissione in fibra ottica, è entrata nella galassia Flex dopo essere stata acquisita nel 2015 dalla francese Alcatel-Lucent. Sono anni di grandi rivolgimenti nel settore.

Quello stesso anno Alcatel sarà comprata dal gruppo finlandese Nokia, già leader mondiale nella produzione di cellulari in cerca di una difficile riconversione industriale, per 15,6 miliardi.

Gli americani di Flex arrivarono a Trieste con un programma ambizioso che prevedeva la trasformazione del sito in un centro globale di eccellenza e un piano di investimenti in zona industriale da 7,5 milioni.

Queste promesse però non bastarono a evitare proteste sindacali con scioperi e presidi nel timore già all’epoca di delocalizzazioni in Romania. A sei anni di distanza preoccupa i sindacati il trasferimento di ordini nello stabilimento romeno di Timisoara dove sono state trasferite le attività dello stabilimento ucraino chiuso per la guerra.

Il gruppo guidato da Revathi Advaithi ha preso una posizione netta sul conflitto predisponendo subito forme di aiuto per i suoi dipendenti: sulla home page del sito del gruppo campeggia la bandiera ucraina in segno di solidarietà.

Ma non c’è solo la guerra. Nel febbraio 2020 a causa di un problema di approvvigionamento di materiali provenienti dall’area di Wuhan, epicentro del coronavirus in Cina, a Trieste furono chieste tredici settimane di cassa integrazione.

Nonostante le sfide causate dalla carenza di componenti (la crisi dei microchip sta mettendo in crisi i mercati globali) nell’ultima semestrale il fatturato di gruppo di Flex è però cresciuto dell’8% a 26 miliardi di dollari. Il reddito operativo è stato di 1,169 miliardi di dollari (+13%).

Riproduzione riservata © il Nord Est