Il Covid costa oltre 3.300 euro a testa a quasi un lavoratore veneto su due

Stipendi in diminuzione nel 46% delle dichiarazioni, mentre il 29 per cento ha migliorato la propria condizione economica. In media l’erosione complessiva è di 585 euro

VENEZIA. Il Covid costa oltre 3.300 euro a testa a quasi un lavoratore veneto su due. Sono numeri drammatici, quelli sul calo di reddito nel 2020 rispetto all’anno precedente: il 46% dei lavoratori veneti ha visto ridursi il proprio reddito annuo, con una perdita media di 3.326 euro: quasi due mesi di stipendio, passando da 21.466 euro lordi del 2019 a 18.556 del 2020.

Lo studio

A fornire i numeri è la Cgil del Veneto, che scatta una prima fotografia delle dichiarazioni dei redditi delle lavoratrici e dei lavoratori della nostra regione. Gli effetti della crisi economica determinata dalla pandemia sono evidenti. Il raffronto è stato effettuato su una platea di 35.526 lavoratori. Il 32% di loro (11.219) ha usufruito di ammortizzatori sociali. La situazione è eterogenea: a fronte del 46% di lavoratori che ha visto ridursi significativamente il proprio reddito, il 29% ha migliorato la propria condizione. Nel complesso, mettendo nello stesso calderone sia chi ha guadagnato di più, si chi meno, la perdita media rispetto al 2019 è di 585,50 euro.

Le differenze

Le donne hanno perso meno reddito (513 euro di media contro i 658 degli uomini), ma partono da uno svantaggio di genere conclamato (nel 2020 dichiarano 16.878 euro di media contro i 23.315 dei maschi). Non mancano le differenze tra province, ad esempio nei redditi delle fasce più giovani: a Venezia il calo medio è di 1.241 euro, mentre a Treviso si registra una crescita di 304 euro e a Vicenza di 240. Complessivamente la perdita dei lavoratori giovani è contenuta in 198 euro, partendo però da un reddito 2019 molto basso, 18.559 euro lordi.

Il commento

«Che la crisi avesse colpito pesantemente il mondo del lavoro – dice Christian Ferrari, segretario generale Cgil Veneto – era intuibile, i numeri che emergono dalla campagna fiscale del nostro Caaf lo confermano senza possibilità di smentita. Le donne arretrano ulteriormente nei loro redditi, scendendo sotto i 17 mila euro lordi, confermando come la pandemia abbia esasperato le diseguaglianze di genere che già caratterizzavano il nostro mercato del lavoro sul piano delle condizioni salariali, dei diritti e delle tutele. Insistiamo nel chiedere una proroga del divieto di licenziamento fino alla fine di ottobre: consentirebbe sia di aspettare un consolidamento della ripresa, sia di non lasciare scoperto chi perde l’occupazione».

«L’attenuarsi della pandemia, il buon ritmo della campagna vaccinale, la ripartenza di quasi tutte le attività economiche, comprese quelle commerciali e del turismo, inducono a sperare che il peggio sia alle spalle – prosegue Ferrari – Questo però non vuol dire che per risolvere tutti i problemi di cui soffriamo basti tornare alla situazione pre Covid. Senza affrontare la questione salariale, senza favorire l’occupazione femminile, senza dare un lavoro dignitoso e sicuro alle nuove generazioni, nessuna crescita duratura sarà possibile in Italia e nel Veneto, che soffrono innanzitutto di un calo strutturale della domanda interna, che non può essere compensato semplicemente dall’export. Occorre cambiare il modello di sviluppo, per renderlo socialmente, tecnologicamente ed ecologicamente sostenibile. E lo si fa rimettendo al centro il lavoro di qualità. Altrimenti le diseguaglianze rischiano di aumentare e la stessa capacità produttiva del nostro sistema corre il pericolo di essere ulteriormente indebolita».

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