Donne, i passi avanti che dobbiamo ancora fare

Il Global Gender Gap mostra il grave ritardo del nostro Paese. Nell’ultimo anno siamo scivolati di tredici posizioni, passando dal 63° al 79° posto su 146 nazioni. Ma serve un cambio di passo culturale ed etico per gettare le basi di una svolta reale

Massimiliano CannataMassimiliano Cannata

Sui diritti conquistati dalle donne non si può arretrare di un millimetro. Questo l’imperativo categorico che connota un 8 marzo da vivere in ottica planetaria per celebrare una festa che attraversa tanti mondi diversi.

Il Global Gender Gap mostra il grave ritardo del nostro Paese. Nell’ultimo anno siamo scivolati di tredici posizioni, passando da 63° al 79° posto sulle 146 nazioni prese in esame. A questi ritmi l’ipotetica parità potrà arrivare tra più di un secolo, se mai arriverà.

Intanto una donna viene uccisa ogni due giorni, un sacrificio sull’altare di un patriarcato ancora radicato, figlio di una logica arcaica, che non conosce il rispetto, l’amore come donazione, il dialogo come strumento di superamento delle divergenze.

I diritti delle donne sono diritti dell’uomo in universale, senza distinzioni di genere né di condizioni economiche e sociali. Questa evidenza non è ancora patrimonio diffuso, viene infatti disattesa nelle dinamiche private e familiari, per non parlare dei luoghi di lavoro. Serve un cambio di passo culturale ed etico per gettare le basi di una svolta reale.

«La rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale» sancita dall’articolo 3 dalla Costituzione obbliga le istituzioni repubblicane a difendere e promuovere il “pieno sviluppo della persona umana”, persona che non può essere declinata né pregiudizialmente condizionata da distinzioni ideologiche di genere. L’articolo 51 completa questa visione alta della parità sostanziale, estendendo il criterio di uguaglianza alla libertà di accesso alle cariche elettive e quindi alla vita democratica. Non ci possono essere discriminazioni per chi vuole concorrere alla crescita e allo sviluppo armonioso della Repubblica, il benessere è un valore da condividere e da ricercare investendo nel talento, in un esercizio autonomo dello spirito e dell’intelligenza che ci fa essere pienamente donne e uomini, animati dalla ricerca perenne del progresso esistenziale e materiale. Un passo avanti decisivo è stato scandito dall’approvazione e applicazione del Codice delle Pari Opportunità, mentre è in arrivo la legge che punisce la violenza di genere.

L’evoluzione della normativa, non ha cancellato purtroppo il gender pay gap della discriminazione salariale, il soffitto di cristallo per le posizioni di vertice permane, mentre gli ostacoli alla realizzazione professionale delle donne tardano a essere abbattuto. La tecnologia che ha fatto irruzione nelle nostre vite sarà una ulteriore frontiera di lotta, rivendicazione, affermazione della parità.

Dobbiamo ancora innovare i modelli organizzativi rendendoli più inclusivi e già si parla di digital gender gap crescente. Riusciremo ad affermare un “Algoritmo dell’eguaglianza”? La tecnologia è uno strumento che non ci assolve e non ci condanna, non emenda in automatico le nostre pratiche da stereotipi e pregiudizi che tendono a escludere ancora una volta le donne ritenute non “idonee” a padroneggiare le discipline tecno-scientifiche.

Nuovi strumenti e vecchi retaggi alimentano una stridente contraddizione, spia eloquente di una civiltà digitale avanzata e nel contempo primitiva, incapace di liberarsi dalle tante “maschere del male” che agiscono nella storia, generando dolore e indicibile sofferenza. 

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