Le troppe esitazioni sono la vera zavorra dell’Unione Europea
Negli ultimi quindici anni, con sfide provenienti sempre più dall’esterno dell’Unione, le istituzioni europee hanno mostrato crescenti difficoltà nel formulare risposte adeguate


L’iniziativa di riarmo europeo, ReArm Europe, probabilmente destinata a essere rinominata Prontezza 2030, Readiness 2030, rappresenta un tentativo di rispondere al rinnovato timore di conflitti nel continente europeo. Ma è una soluzione che, basata essenzialmente sul potenziamento degli arsenali nazionali, appare largamente insufficiente. Purtroppo un’altra delle risposte inadeguate date dall’Unione europea, con un crescendo di mezze misure e di rinvii negli ultimi dieci, quindici anni, alle paure che avevano giustificato, e ancora giustificano, il progetto europeo: la paura della guerra, il timore della povertà e l'ansia per la perdita dell'identità culturale.
Il progetto europeo originario, quello di Adenauer, De Gasperi e Schumann, era riuscito, a piccoli passi à la Monnet, a fornire fino alla prima decade di questo secolo risposte progressivamente più efficaci a queste preoccupazioni. Ma è riuscito a farlo perché le cause e gli ostacoli da rimuovere rimanevano principalmente interne al continente. La pace veniva garantita attraverso l’allargamento dell’Unione, coinvolgendo gradualmente antichi nemici: prima attraversando il Reno, poi l’Oder-Neisse, infine nei Balcani occidentali. La lotta alla povertà si concretizzava nella condivisione dei benefici derivanti dal mercato unico interno, fondato sulle quattro libertà di circolazione di persone, beni, servizi e capitali, e successivamente dalla moneta unica.
L’identità culturale europea trovava nel 2000 un importante definizione comune nella Carta dei diritti fondamentali, e si rafforzava grazie a iniziative come l’Erasmus, che dal 1987 favorisce lo scambio culturale tra studenti di diversi Paesi membri.
Ma negli ultimi quindici anni, con le sfide alla pace, alla prosperità e all’identità culturale europea provenienti sempre più dall’esterno dell’Unione, le istituzioni europee hanno mostrato crescenti difficoltà nel formulare risposte adeguate.
La radice del problema sta tutta nell’incapacità dell’Ue di darsi istituzioni in grado di farla agire prontamente e come un’entità coesa alla scala del suo potenziale. In un mondo sempre più interconnesso, “scala” e “tempestività” sono diventate conditio sine qua non del successo politico ed economico. E invece l’Ue, nonostante rappresenti un bacino (ed un mercato) di 450 milioni di abitanti, continua a perdere terreno in termini di prosperità rispetto agli Stati Uniti (340 milioni di abitanti), come evidenziato dal rapporto Draghi sulla competitività europea.
In assenza di un adeguato supporto statunitense, questa mancata federazione si rivela poi un nano militare nei confronti della Russia (146 milioni di abitanti). E, pur dovendo affrontare un calo demografico di almeno 10 milioni di abitanti entro il 2050, l’Unione non riesce a trasformare in opportunità la pressione migratoria proveniente da diverse parti del mondo.
Oggi, nonostante sia evidente che solo attraverso una scala dimensionale adeguata e risposte tempestive si possa garantire un futuro dignitoso ai nostri figli e nipoti, molti governi europei, incluso quello italiano, persistono nel difendere spazi nazionali ormai inadeguati nella competizione globale. Così, paradossalmente, alla «paura della guerra» rispondiamo ancora con iniziative di riarmo frammentate e disomogenee, lasciate alla volontà e alle capacità fiscali dei singoli Stati membri. Insomma al riarmo della Germania e poco altro. —
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