Quei simboli seminati nella cerimonia del giuramento a Capitol Hill

Tra i messaggi più espliciti l’allineamento gomito a gomito della “tecnodestra”

Massimiliano Panarari
l reverendo Frank Mann parla durante la cerimonia di inaugurazione della presidenza Trump
l reverendo Frank Mann parla durante la cerimonia di inaugurazione della presidenza Trump

Inauguration Day indoor. Il freddo (polare), che non guarda in faccia a nessuno, ha sferzato così tanto Washington in questi giorni da suggerire lo svolgimento della cerimonia del giuramento al coperto, dentro Capitol Hill. La giornata dell’insediamento rappresenta una macchina cerimoniale complessa e articolata, e questa “seconda volta” di Donald J. Trump, accanto all’eccezionalità dello svolgimento al chiuso, ha rappresentato un marcato manifesto comunicativo di ciò che sarà il «trumpismo 2.0». Esemplarmente effigiato da quello che si poteva vedere già lunedì 20  sul portale della Casa Bianca (whitehouse.gov) nelle stesse ore dell’insediamento, che si apriva con un video trionfale del nuovo presidente al termine del quale l’home page “si fissa” con la sua immagine e lo slogan «America is back». Corollario perfetto di uno dei momenti clou del discorso di insediamento trumpiano, quando ha pronunciato la frase «il declino americano è finito», uno dei messaggi fondamentali della sua campagna elettorale.

Valenze simbolica e antropologica

Le cerimonie hanno una valenza simbolica e una “antropologica”, che trovano nell’architettura comunicativa con cui vengono costruite la modalità di rendersi appunto palesi all’opinione pubblica. E, accanto al “nocciolo duro” rappresentato da quanto è avvenuto nella sala della Capitol Rotunda, c’è stato un “prima” e un “dopo” che vanno considerati sul piano comunicativo (e propagandistico) quali parti integranti di questo secondo insediamento (che qualcuno, non a torto, ha già etichettato nel frattempo come «Trump 2, la vendetta»).

Cena per cento invitati

Per gli eventi preparatori, va segnalata la cena riservata a cento invitati – i maggiori finanziatori e il comitato presidenziale per l’insediamento – svoltasi domenica al National Bulding Museum di Washington, che ha offerto l’istantanea di quanto il Trump 2 sia la versione aggiornatissima di quello che i marxisti chiamerebbero il «governo comitato d’affari della borghesia» (anche se di quella classe sociale nell’accezione novecentesca in quest’America post-modernissima rimane ben poco). Ovvero la “plutocrazia di Big Tech” e dei feudatari digitali (e, per molti versi, la “tecnodestra”), al cui riguardo è risultato veramente emblematico l’allineamento gomito a gomito, durante la cerimonia a Capitol Hill, di Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e Sundar Pichai. Non per nulla, con il fiuto per il business che lo contraddistingue, Donald Trump si rivela anche il primo «cryptopresidente», al punto che, già paladino in passato del bitcoin, nella notte fra venerdì e sabato della scorsa settimana ha varato una propria criptovaluta, presentata come una “moneta meme”. Così, la “meme coin” Official Trump ha scatenato un’autentica febbre di acquisto e tempesta speculativa che in un paio di giorni l’ha portata al valore nominale di 12 miliardi di dollari.

Il post cerimonia

Il post-cerimonia della sfilza di ordini esecutivi in presa diretta, dopo il discorso fiume (autentico manifesto ideologico), ha fatto da corrispettivo alla fotografia diffusa dallo staff come immagine ufficiale della sua seconda presidenza, che lo ritrae accigliato, severo e corrucciato, secondo uno stile assai diverso da quello sorridente e disteso del primo mandato.

Nonostante abbia cercato di “rassicurare” rispetto a un’America non soltanto bianca, l’idea dell’abolizione dello ius soli ha trovato una rappresentazione plastica nel colpo d’occhio sugli invitati in larga prevalenza wasp – con l’eccezione dei vip di origine indiana, dalla moglie del vicepresidente JD Vance (in iconica cravatta “rosso trumpiano”) al ceo di Google e a Vivek Ramaswamy. Non per nulla, a intonare la canzone America the Beautiful è stata una biondissima star della musica country, Carrie Underwood (la cui notorietà è stata consacrata dalla vittoria in un popolarissimo talent show, American Idol). E a vestire la first lady Melania, prontamente ritornata in versione moglie devota, è stato uno stilista rigorosamente made in Usa, Adam Lippes. Mentre il predicatore ufficiale è stato il pastore evangelicoFranklin Graham, considerato uno degli ispiratori dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio del 2021. Come dire, se il «buongiorno» si vede dall’omelia del mattino... —

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