
Carriera o famiglia: a Nordest una scelta (ancora) obbligata per sette donne su dieci
Sulle spalle delle donne la gestione della casa, dei figli, oltre al lavoro: risposte e proposte per migliorare la situazione nel questionario realizzato in collaborazione dell’Università di Padova e promosso dal gruppo Nem, Nord Est multimedia
Qui 2025. Qui Nordest. Benessere economico, disponibilità di lavoro, cultura: no, non bastano.
Tra Veneto e Friuli Venezia Giulia sette donne su dieci hanno detto no alla carriera perché sono arrivate al punto di saturazione, hanno dovuto scegliere tra progressione lavorativa e famiglia.
Cosa chiedono le donne per invertire la rotta? “Solo” smart working, flessibilità, permessi per gestire i figli, asili nido aziendali e part time per le neo-mamme, che però non finiscano per mettere una croce sopra sulla carriera.
Richieste sacrosante, ma che difficilmente potranno essere risolutive finchè non cambierà il dato principe: a Nordest, secondo l’81 per cento delle donne il carico familiare, (a prescindere dal lavoro) è quasi esclusivamente questione femminile: figli, casa, genitori anziani e tutto ciò che ne consegue. Una gabbia costruita da un vecchio retaggio culturale che tarpa le ali alle carriere, frena le aspirazioni e rende le donne insoddisfatte.
E’ un’immagine nitida quella che emerge dal questionario promosso da Nordest Multimedia, poi elaborato da Farestat, l’unità di consulenza del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università, in particolare da Nicoletta Parise e Bruno Scarpa.
In una manciata di giorni hanno risposto oltre 1500 persone, 1125 hanno portato a termine la compilazione del questionario. Le domande non erano rivolte esclusivamente alle donne, ma a rispondere agli interrogativi sul Gender Balance, l’equilibrio di genere (in questo caso lavorativo) sono state quasi esclusivamente le donne (83%), diplomate o laureate, per lo più di età compresa tra i 35 e i 65 anni, quindi in età lavorativa, per l’86 per cento dipendente. Come dire che per i più è un problema femminile.
«In riferimento al genere e alla condizione occupazionale, come era ragionevole attendersi l’argomento gender balance attrae principalmente l’interesse delle donne occupate, in particolar modo quelle che hanno un lavoro alle dipendenze», spiega Unipd.
Secondo i dati raccolti «la maggior parte delle persone che hanno risposto al questionario si è sentito o si sente in difficoltà nel conciliare vita lavorativa e vita privata».
Per lo più si fatica a trovare del tempo da dedicare alla cura di sé e ai propri amici (61%) e «nel corso della vita le persone che hanno risposto hanno dovuto fare scelte a sfavore di lavoro e carriera e/o a sfavore della famiglia».
Sulla difficoltà di trovare del tempo per sé e sulle rinunce emergono importanti differenze di genere, che diventano enormi quando si considerano le limitazioni sul lavoro a favore della famiglia. «La quota di coloro che dichiarano di aver rinunciato a lavoro e carriera per la famiglia è pari al 70% delle donne e al 37% degli uomini che hanno partecipato alla ricerca».
E per capirne il motivo è sufficiente scorrere in avanti le risposte. Si chiama welfare invisibile: non riconosciuto, non pagato, nemmeno considerato.
La gestione della casa, la cura dei figli, l’assistenza ai genitori anziani, a figli disabili. Il 95 per cento delle donne ha in carico la cura della casa, il 67 per cento la gestione dei figli, il 26 degli anziani.
Un peso fisico sulle spalle che si traduce nel carico mentale di chi deve pensare a “tutto il resto”.
Oltre il lavoro, sia chiaro. Ed ecco che nella scelta del lavoro alcuni parametri diventano fondamentali: «Questa differenza nel carico di lavoro domestico risulta avere importanti ripercussioni sul tipo di lavoro che le donne desiderano e riescono a svolgere».
Il questionario ha «evidenziato le differenze di genere nei criteri utilizzati per la scelta sul lavoro. Le disparità maggiori si osservano in relazione alla conciliazione vita privata e vita lavorativa, agli aspetti che la favoriscono (flessibilità di orario e vicinanza casa-lavoro) e al riconoscimento sociale».
Ma c’è un particolare in più che evidenza come le donne non siano poi così felici di scegliere un lavoro poco impegnativo e vicino a casa: «Rispetto a questo ultimo aspetto (il riconoscimento sociale), infatti, si osserva che il “poter essere orgoglioso del proprio lavoro” risulta fondamentale più per le donne che per gli uomini».
E’ anche una questione di prestigio quindi, anche se poi sempre sul gender pay gap (la differenza di genere nella retribuzione) che si va a sbattere: «Secondo il 42% delle donne e secondo il 15% degli uomini che hanno partecipato alla ricerca le retribuzioni risultano tendenzialmente a favore dei maschi».
E pure nel il grado di soddisfazione nell’equilibrio tra lavoro e vita privata le più scontente sono sempre le donne: i giudizi negativi vengono espressi dal 43% delle donne e dal 33% degli uomini. «Sia fra gli uomini -rileva Unipd - sia fra le donne la quota di insoddisfatti risulta maggiore fra coloro che lavorano come dipendenti, che sono impegnati a tempo pieno e che non hanno la possibilità di lavorare in smart working. Sembra però che questi aspetti del lavoro contino più per le donne».
Per il genere maschile problemi sono altri: «Il fattore che risulta spiegare maggiormente il grado di soddisfazione per l’equilibrio tra lavoro e vita privata è un altro: il riconoscimento nel lavoro delle proprie capacità. Gli uomini più si sentono apprezzati nel lavoro più si dichiarano soddisfatti del proprio livello di conciliazione».
In altre parole, le donne sono contente del proprio lavoro se le agevola dal punto di vista pratico, gli uomini se da quel lavoro sono gratificati.
E poi arrivano le proposte per migliorare la situazione: lo smart-working è menzionato da una persona su due. Lavoro agile che tuttavia diventa ingestibile se il carico è insostenibile. Molti chiedono orari di lavoro adattabili alle esigenze personali, con entrate e uscite flessibili. Qualcosa forse si muove nella cultura di genere, quando alcuni chiedono «Parità di congedi tra uomini e donne, maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli». E perché no, la settimana corta (a parità di stipendio).
L’analisi di Unipd però si chiude con una riflessione che cerca l’origine dei problemi di bilanciamento tra vita lavorativa e familiare: «Coloro che hanno risposto segnalano molti interventi che fortunatamente almeno alcune aziende stanno già mettendo in atto per favorire la conciliazione vita lavorativa e vita privata di lavoratrici e lavoratori.
Segnalano, inoltre, la mancanza di asili nido la cui offerta si mantiene nettamente inferiore alla domanda, anche nel Nord Est, nonostante il calo demografico.
Si tratta in tutti i casi di misure che possono aiutare a migliorare la qualità della vita di uomini e donne ma che possono incidere limitatamente sulle disparità se anche in famiglia non vengono adottate “misure” per suddividere in modo più equo il carico di lavoro e gli impegni che, come evidenziato, risultano ancora gravare principalmente sulle donne».

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