Ferrieri Caputi, donna arbitro in A: «Ho imparato a reagire all’ignoranza di tanti»

Il fischietto internazionale ha mosso i primi passi nella sua Livorno fino all’esordio in campionato: «Devi calibrare le parole per non farti ferire. Alle ragazze dico: non fermatevi»

Leandro Barsotti
Maria Sole Ferrieri Caputi, 34 anni, arbitro internazionale
Maria Sole Ferrieri Caputi, 34 anni, arbitro internazionale

«Ci ho messo sedici anni ad arrivare in serie A. Non è stato un percorso semplice». Maria Sole Ferrieri Caputi, 34 anni, arbitro internazionale, prima donna arbitro in serie A. Capelli neri sciolti sulle spalle, sguardo profondo, parlata toscana: il 6 marzo era ospite della sezione arbitri di Este, nel Padovano, introdotta dal presidente di sezione Ilie Rizzato e dalla delegata Aia Marinella Caissutti.

«Mi sono innamorata del calcio quando il babbo mi portò allo stadio a vedere il Livorno. Il giorno dopo a scuola scrissi un tema su quanto mi era piaciuta quella giornata. Avrei voluto giocarlo, ma la mamma non era d’accordo. Così ho aspettato fino ai 16 anni, quando ho trovato un volantino sul motorino. Parlava di corsi per arbitri».

Un inizio nei campi di provincia a Livorno. Non deve essere stato semplice.

«L'impatto iniziale è stato gestire la partita con giocatori e panchine, imparando a reagire alle tante mancanze di rispetto e all’ignoranza».

Un episodio lo ricorda?

«Avevo 17 anni. Un allenatore continuava a insultarmi, anche dopo la prima ammonizione. A un certo pensai: me ne vado. E invece ho reagito, l’ho buttato fuori. C’era un commissario in quella partita e alla fine mi disse: ricorda che, di fronte alla violenza verbale, non sei mai tu il problema».

Che palestra emotiva è stata?

«Ho imparato a dare il giusto peso alle parole, calibrando anche gli insulti per non farmi ferire. Di fronte alle scorrettezze ci sono i cartellini per farsi rispettare. Le parole fanno male. Quando arrivi tra i prof c’è più rispetto. Ma nei campi di provincia la violenza è un tema importante per i giovani arbitri. Bisogna cambiare l’aspetto culturale, l’arbitro non è un nemico».

Molte ragazze vedono in lei un esempio. Cosa si sente di dire loro?

«Spero di esserlo. Ho coltivato la mia passione con semplicità e naturalezza. Se poi ti piace veramente, scopri che è come l’amore. Ci sono periodi bellissimi e altri difficili. Ma così ho amato l’arbitraggio: superando molti ostacoli».

Di che tipo?

«A un certo punto, nella crescita di categoria, ho capito che dovevo impegnarmi di più sul lato atletico, correre di più. Non volevo ci fossero scuse per tenere fuori una donna».

Nel calcio permane un atteggiamento maschilista?

«Si stanno facendo grandi passi avanti, ma restano retaggi da superare. Dopo il fischio d'inizio non conta il genere, ma la decisione giusta. L'aspetto culturale esterno richiede evoluzione».

La sua partita più bella?

«L’esordio in Serie A: Sassuolo-Salernitana. Il momento più emozionante della mia carriera».

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